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Castigat ridendo mores

Una nazione, milioni di banderuole

Dal Risorgimento ad oggi, i casi più clamorosi di trasformismo che hanno fatto dell'Italia il paese dei voltagabbana

Giovane leva della Democrazia Cristiana, poi iscritto a Forza Italia, quindi passato al Partito popolare italiano, poi ancora all'Udeur, prima di concludere la propria transumanza approdando all'Italia dei Valori. In mezzo, svariate esperienze in liste del presidente, per le elezioni provinciali e regionali. Questa è la storia di un politico pugliese della provincia di Lecce, Aurelio Gianfreda, sconosciuto a livello nazionale, ma nell’agone politico da più di vent’anni. Non si pensi, però, ad un caso isolato, perché di esempi del genere nella storia recente se ne potrebbero citare a iosa. E a dirla tutta, non solo nella storia recente.
In effetti, il “trasformismo”, termine coniato nella seconda metà dell’Ottocento ad indicare scelte e collocazioni politiche che andavano al di là delle convinzioni ideologiche, è un male antico della politica italiana. Gli antenati di Scilipoti e Mastella, infatti, sono numerosi e i loro “salti della quaglia” risalgono addirittura al Risorgimento. Ad inaugurare questo atteggiamento politico fu l’esponente della Sinistra storica (da non confondere con la Sinistra socialista) Agostino Depretis, il quale nel 1874 divenne presidente del Consiglio sostenuto da una maggioranza espressione della Sinistra liberale, ma che per i provvedimenti più importanti cercava e otteneva il sostegno di esponenti della Destra. Una sorta di maggioranza trasversale o di “larghe intese” d’antan, quindi non necessariamente da intendersi in un’accezione negativa. E in effetti all’epoca non veniva visto così, il trasformismo, anche se qualcuno storceva già il naso, soprattutto perché risultava utile ai “trombati” affinché questi si ricollocassero politicamente.
Esempi di voltagabbana risorgimentali a tutto tondo furono invece gli esponenti dell’aristocrazia meridionale di origine borbonica o spagnola, i quali riuscirono a ritagliarsi uno spazio nel nuovo Stato unitario e a conservare in gran parte i propri privilegi, grazie ad un atteggiamento che parecchi decenni dopo il siciliano Tomasi di Lampedusa avrebbe chiamato “gattopardismo”, ma che già a fine Ottocento il napoletano Federico De Roberto denunciò implicitamente nel romanzo “I Vicerè”: “Prima comandava il re e noi eravamo amici del re. Ora comandano i pezzenti e noi dobbiamo essere amici dei pezzenti”, sosteneva il principe Giacomo, uno dei personaggi principali del romanzo.
Poco più tardi, uno storico voltafaccia fu quello che vide come protagonista il socialista Benito Mussolini, che nel 1914 si schierò apertamente a favore dell'intervento dell'Italia nel conflitto mondiale e che, dopo essere stato espulso dal partito, dalle colonne del Popolo d'Italia, quotidiano da lui stesso fondato, diede vita ad un'accesa campagna interventista finanziata da influenti gruppi industriali. Dopo la guerra, Mussolini, che nel frattempo aveva fondato i "Fasci di combattimento", non si staccò dalle sue radici ideologiche, come dimostra l'impronta decisamente socialista data al programma del movimento. Ma quando la monarchia, gruppi conservatori e lobby industriali ne favorirono l'ascesa al potere, la svolta liberista fu inevitabile, almeno fino alla crisi del '29, in seguito alla quale fu avviata una politica sempre più statalista. Ma d'altra parte il Fascismo era poliedrico per definizione e il suo leader lo aveva precisato fin dall'inizio.
Forse fu proprio per questa ragione che un numero impressionante di fascisti, nel dopoguerra, riuscì a riciclarsi come democristiano e persino come comunista. Fra questi, anche molti intellettuali (Bocca, Scalfari, Guttuso, per citare solo alcuni dei più celebri, ma la lista è lunghissima), alcuni dei quali risultavano anche tra i firmatari del Manifesto sulla razza del 1938. D'altro canto, è arcinoto che per gran parte degli Italiani il passaggio dal fascismo all'antifascismo fu così fulmineo da indurre Whiston Churchill a liquidare questo fenomeno, ai suoi occhi sorprendente, con una delle sue battute: "Un giorno 45 milioni di fascisti, il giorno successivo 45 milioni tra antifascisti e partigiani. Eppure questi 90 milioni di italiani non risultano dai censimenti".
Ormai il fascismo era alle spalle e l'Italia aveva (ri)conquistato la democrazia. Ciò tuttavia non mise fine al malcostume dei funambolici cambi di casacca, anche se tale fenomeno, almeno fino agli '80, rimase circoscritto quasi esclusivamente all'ambito locale. A livello nazionale esplose invece mentre la prima repubblica emetteva gli ultimi palpiti di vita, con la precipitosa corsa a riposizionarsi dei pochi superstiti di Dc e Psi. Ne successero di ogni. Uno dei tanti casi noti (che qui, per motivi di spazio, è impossibile elencare), fu quello di Francesco Rutelli: giovane esponente dei Radicali, sul finire degli anni '80 passò ai Verdi, nelle liste dei quali fu eletto sindaco di Roma; dopo una breve esperienza nei Democratici, contribuì alla fondazione della "Margherita", partito che raccoglieva tutti i gruppi centristi del centrosinistra e che sarebbe confluito a sua volta nel Partito Democratico. Dal quale, però, un anno e mezzo fa, Rutelli è uscito per fondare "Alleanza per l'Italia".
L'ex leader della Margherita, se non altro, può rivendicare il fatto di essere rimasto sempre nell'area di centrosinistra. Un titolo che invece non può assolutamente sbandierare Clemente Mastella, le cui indimenticabili giravolte ne hanno contraddistinto la carriera. Esponente della Democrazia Cristiana, dopo il terremoto di "Manipulite", Mastella fondò con Casini il "Centro cristiano-democratico", alleato di Berlusconi nel centrodestra alle elezioni del 1994 e del '96. Quando il governo di centronistra, guidato da Romano Prodi, perse l'appoggio di Rifondazione comunista (1998), arrivò in soccorso del nuovo governo D'Alema la stampella di Ceppaloni e di altri suoi sodali anch'essi eletti nel centrodestra, e con i quali Mastella avrebbe poi fondato l'Udr prima e l'Udeur poi. Quando la sinistra tornò al governo nel 2006, fu proprio questa piccola formazione politica (quando si dice la Nemesi) a far cadere il governo Prodi. L'Udeur, nel frattempo, veniva travolto dalle inchieste giudiziarie, anche se Mastella, nel 2009, ha trovato il modo di farsi eleggere all'europarlamento nelle liste del Popolo della Libertà.
Quelli riportati sono solo i casi più clamorosi di un fenomeno, il trasformismo, ben più diffuso, e che nei decenni è diventato quasi il tratto distintivo della politica italiana. D'altronde, anche le due forze politiche attualmente più votate, PdL e Pd, ne sono un parziale esempio: da una parte neofascisti diventati "post" e poi "ex", nonché socialisti e finanche comunisti passati a destra; dall'altra ex comunisti convertiti al liberalismo, oltre ai vari democristiani erranti. Il resto è storia recente: da Fini a Scilipoti, da Dini alla Carlucci (ci scusino quelli che non vengono citati), le trasmutazioni politiche continuano a decidere i destini dei governi, facendo dell'Italia la degna patria di Niccolò Machiavelli. E di Gianfreda.      

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