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Castigat ridendo mores

Ecco perché l'Euro non funziona e rischia di crollare

I problemi della moneta unica spiegati ai non intenditori: non è una vera unione di patrimoni nazionali, non ha una vera banca centrale e nemmeno un vero Paese di riferimento

Pubblichiamo l'articolo di Fosca Bincher, "Sì, è una valuta strana. Per salvarla uniamo i debiti", uscito su Libero del 29 ottobre.
Che cosa manca all'euro per farne una moneta vera? E' semplice: un Paese di riferimento. La debolezza dell'euro è proprio quella. Perché è come se il dollaro rappresentasse non gli Stati Uniti, ma un pezzettino di ciascuno degli Stati che li compongono, che pensano gelosamente a mantenere la propria virtù, ma sono attaccabili uno per uno. Sotto l’euro esiste solo un paese virtuale, l’Europa, che però non ha messo insieme economie, ricchezze e debiti facendone una cosa sola. Ognuno va per conto suo. Chi è ricco si gode la ricchezza e semmai dà la mancia agli altri. Chi è povero resta povero. Chi ha debiti deve arrangiarsi per conto suo. Per sorreggere l’euro, ad esempio, abbiamo costruito la Banca centrale europea, quella che adesso andrà a guidare Mario Draghi. Quella in sé non è stata in grado nemmeno di difendere la Grecia dall’attacco della speculazione nell’ultimo biennio, figurarsi se era in grado di dare una mano a Italia e Spagna.
Basta citare qualche cifra: la Bce ha riserve in oro per 17 miliardi di euro, crediti in valuta per 39 miliardi, titoli in portafoglio di paesi dell’area dell’euro per 17,9 miliardi. Mettendo tutto insieme l’attivo ammonta a 163 miliardi d euro. Una nocciolina appena a fronte del fabbisogno della moneta unica. Dal 5 agosto al 21 ottobre scorso i soli acquisti di titoli di Stato sul mercato secondario effettuati per dare una mano a Italia e Spagna sotto attacco sono ammontati a 95 miliardi di euro. Non li ha compiuti la Bce, che non ne aveva le risorse, ma il cosiddetto eurosistema, che mette insieme tutte le risorse nazionali delle banche centrali dei paesi dell’euro. Di titoli pubblici in portafoglio ora hanno più di 220 miliardi di euro, cifra assai superiore all’attivo della Bce.
Cosa significa questo? Che più che l’euro, risulta attaccabile ogni paese che si è unito per creare la moneta più strana del mondo. Quando si costruisce una unione di paesi o di Stati che si riconoscono in una moneta, nessuno di loro dovrebbe essere attaccabile. E invece è esattamente quel che è accaduto e che sta accadendo. Con il risultato di deprimere i paesi che sono stati schiacciati dall’unione, e di essere costretti a inseguire con i tempi lenti della politica e lunghissimi della burocrazia comunitaria le rapide emergenze che scoppiano a macchia di leopardo.
L’Italia è sicuramente uno dei paesi più depressi dall’euro. Ha ottenuto una certa stabilità dei prezzi che però è stata molto sulla carta: l’inflazione è stata bassa, ma il prezzo di cambio del change over è stato così alto e sconveniente, da avere fatto subito lievitare i prezzi così tanto da valere per dieci anni. Le imprese italiane da sempre sono diverse da quelle degli altri paesi: medie e piccole, non sono in grado di investire in ricerca e tecnologia, si aggrappano alla qualità della manifattura e da sempre si sostenevano con la spinta del cambio: un po’ di svalutazione metteva le ali e le faceva entrare in mercati con più facilità. Eravamo fino all’euro un po’ i cinesi di Europa. Non essendo più possibile, dal 2002 questo paese non cresce più.
Che soluzioni restano per dare un corpo alla moneta che non ha nemmeno un’anima? Una sola, ed è quella su cui insiste Giulio Tremonti da tempo: unire patrimoni e almeno la quota del 60% del Pil dei singoli debiti. Che non devono più essere in Bund o Btp, ma in eurobond. O così, o salterà l’Euro.

Europa, pensioni, governo: è tutta una recita

Continua il teatrino delle finte richieste della Ue e delle finte risposte del governo. La verità è che l'Unione Europea è solo una somma di economie e quindi non può pretendere nulla dagli Stati membri

Alcune considerazioni sulle pensioni e sulla sempre più traballante Unione Europea. La prima: l'Europa ci ha chiesto, in sostanza, di cambiare il sistema pensionistico in modo da ottenere risparmi consistenti e il più rapidamente possibile. Tradotto in parole povere, significa modificare i requisiti necessari per la pensione di anzianità, quindi elevare la somma età + anni di lavoro. In alternativa (ma è una via difficilmente percorribile, anzi fantascienza) far passare tutti al sistema contributivo, vale a dire anche quei pensionati che  al 31 dicembre 1995 avevano 18 anni di contributi e che, come prevede la legge Dini, vengono pagati col sistema retributivo, che costa molto di più (per capire aprite questo link http://www.inps.it/portale/default.aspx?lastMenu=4756&iMenu=1&iNodo=4756&p1=2 ).
Tutto questo per dire cosa? Che il piano del governo per elevare l'età della pensione di vecchiaia (da 65 attuali a 67) con cui Berlusconi si presenta a Bruxelles è praticamente inutile, diciamo pure la solita recita nella quale i soloni dell'Europa sono attori co-protagonisti, e fra un attimo spiegheremo perché.
Considerando che l'età pensionabile arriverebbe a 67 anni non prima del 2020-25, si può affermare fin da subito che non ci sarà tutto questo gran risparmio. Anche perché dal 2013 l'età pensionabile sarà adeguata alle aspettative di vita e si stima che nel 2022 dovrebbe essere già a 66 anni, nel 2031 a 67, fino ad arrivare ai 70 anni nel 2050 (ribadiamo, si parla di pensioni di vecchiaia e non di anzianità).
Sopra parlavamo di recite. L'Europa che chiede al governo italiano di liberalizzare ulteriormente il mercato del lavoro, l'Europa che chiede di riformare le pensioni, l'Europa che a tutti gli Stati membri chiede misure per il risanamento e altre per la crescita e via fumeggiando. Smettiamola con questo teatrino: la verità è che l'Unione Europea non è nelle condizioni di pretendere nulla dagli Stati membri, i quali fanno sì parte di un unico sistema monetario all'interno di un'area sovranazionale in cui vige la libera circolazione degli uomini e delle merci, ma i bilanci sono sovrani (cioé degli Stati sovrani) e naturalmente pure i debiti. E di conseguenza anche i provvedimenti che si prendono per ripianarli spettano ai singoli Paesi, che alle lettere dell'Europa potrebbero rispondere anche con un biglietto di ringraziamento con l'immagine di Winnie the pooh, chiaro adesso?
L'Europa unita è una somma di economie, non un'economia unica. Questo perché agli Stati economicamente più forti (leggi Francia e Germania) conveniva che fosse così. Ecco perché adesso se la fanno sotto. Altro che ridere. Gli scambi di lettere, di sollecitazioni e di rassicurazioni, nel frattempo, continuano, in una recita paradossale che sembra scritta dal miglior Beckett.  

Se non la spunta sulle pensioni, Silvio stavolta va a casa

Solo in quel comparto si possono recuperare risorse preziose per incentivare la crescita. Ma le resistenze sono tante, a cominciare dalla Lega che sembra diventata il partito della spesa pubblica

Berlusconi al capolinea? Possibile. Se il premier non riuscisse a vincere le resistenze di Bossi verso una riforma previdenziale che innalzi l'età pensionabile, difficilmente il governo potrebbe rimanere in vita. E in questo caso le elezioni sarebbero la prospettiva più realistica.
Il comportamento della Lega Nord lascia veramente sconcertati. Nel 2004, l'allora ministro del Welfare, Roberto Maroni, esponente di primo piano del Carroccio, oggi in forte polemica con i vertici del partito, mise la firma sulla prima riforma della storia d'Italia con cui si aumentava l'età pensionabile. Fu la famosa riforma degli scalini, che poi il governo Prodi avrebbe modificato rallentando l'aumento della somma età+servizio.
Stiamo parlando del 2004, non del Paleolitico. E' mai possibile che in sette anni la Lega sia passata da "garantiamo la pensione ai giovani" a "garantiamoci il voto dei pensionati"? Evidentemente sì: anche i padani, a quanto pare, presentano marcati tratti di cinismo tipicamente italico.
Quanto al PdL, invece, la riforma delle pensioni era presente nel programma che fu presentato agli elettori nel 2008. Quindi, o Berlusconi riesce a convincere Bossi sull'assoluta necessità di andare a prendere lì le risorse che servono per favorire la crescita o al limite per assicurare il raggiungimento del pareggio di bilancio, oppure è meglio staccare la spina ad un governo la cui presenza, da diversi mesi, è poco più che figurativa. La riforma va fatta non perché lo suggerisce Sarkozy, il quale non ha nessun titolo per dare consigli in materia (lui ha provato a riformare la previdenza ma non ci è riuscito, quindi pensi piuttosto a salvare l'Euro di cui proprio Francia e Germania stanno mettendo a rischio la sopravvivenza con le loro scelte scellerate), ma perché la crisi economica è l'occasione giusta per adeguare la nostra spesa previdenziale a quella della media europea (il sito Linkiesta.it ne pubblica oggi un quadro dettagliato http://www.linkiesta.it/pensioni).
Insomma, se non ora, quando? Oppure, dal momento che non si ha il coraggio di fare altri tipi di tagli agli innumerevoli sprechi di cui il nostro Paese è ricco (caste, province, giustizia), e che in ogni caso non basterebbero, la domanda è: se non le pensioni, cosa? 

Indignados? La vera incazzatura viene nel leggere le loro proposte

Il programma è un orrido mix di statalismo e populismo che fotografa esattamente la pochezza politica dei giovani di oggi. Chiedono il cambiamento, ma sono più vecchi dei loro nonni

Tanti applausi ai giovani indignados per il coraggio e per le nobili intenzioni. Il fatto che i giovani, per un attimo, abbiano mollato gli "happy hour" per dedicarsi alle questioni politiche è già di per sè una notizia da accogliere con esultanza.
I complimenti, però, finiscono qui. Perché nel leggere le proposte che il movimento spagnolo sorto nel maggio scorso ha inserito nel proprio programma di cambiamento (e al quale si rifanno i vari "indignati" di tutto il mondo), cadono letteralmente le braccia.
Dai giovani ci si attende sempre qualcosa di profondamente innovativo. E visto il contesto nel quale questa protesta è maturata, ovvero una crisi economica che fa intravedere un futuro fosco per il sistema capitalistico e per tutto l'Occidente, sarebbe stato lecito aspettarsi, da giovani con un livello di istruzione medio-alto, una serie di proposte improntate sulla correzione dei difetti e dei limiti che il capitalismo (in particolare il modello europeo) ha manifestato negli ultimi quarant'anni: quindi l'abnorme spesa pubblica, l'invadenza della politica nella società civile e nell'economia, la presenza di burocrazie e caste colossali e insaziabili, l'assistenzialismo, il parassitismo, la mancanza di meritocrazia nella pubblica amministrazione. L'inevitabile ricorso al debito e l'altrettanto inevitabile aumento delle tasse per cercare di ripianarlo.
Poveri noi illusi! Dal ventaglio di proposte saltano fuori delle idee che, se venissero applicate anche solo per il 50 per cento, ci farebbero piombare nella miseria nel giro di due-tre decenni. Già l'inizio è da brividi: si propone una riduzione della giornata lavorativa in modo da poter impiegare più persone (!). Da accogliere positivamente, invece, la proposta dell'età pensionabile a 65 anni per tutti, nonché gli incentivi per chi assume a tempo indeterminato. Ma naturalmente non può mancare il sussidio di disoccupazione, fissato a 426 euro, e qui si ripiomba subito nell'assistenzialismo più smaccato.
Ma d'altra parte cosa ci si può aspettare da una generazione vissuta con la presunzione che lo Stato sia una specie di Grande Madre dispensatrice di sussidi e assistenza per tutti? Difficile uscire da questo solco per giovani abituati a vivere alla giornata e incapaci di vedere al di là del proprio naso. Chiedono il cambiamento, ma in un certo senso sembrano più antiquati dei loro padri e persino dei loro nonni. Basta scorrere il programma, per accorgersi che è tutto un susseguirsi di nazionalizzazioni (a cominciare dalle banche in crisi), tasse patrimoniali, espropri (delle case costruite da privati, ma rimaste invendute), finanziamenti pubblici a destra e a manca, assunzioni nel pubblico impiego, drastica riduzione dei costi per beneficiare di servizi pubblici come l'università.
Un po' di lungimiranza viene fuori, finalmente, laddove si propone uno stretto controllo sull’assenteismo e sanzioni specifiche per chi non onori le proprie funzioni pubbliche, nonché l'equiparazione dello stipendio degli eletti al salario medio con la sola aggiunta dei rimborsi indispensabili all’esercizio delle funzioni pubbliche. Si chiede inoltre di eliminare sia l’immunità associata all’incarico che la prescrizione dei delitti di corruzione. Obbligatoria, infine, la pubblicazione del patrimonio di chiunque ricopra incarichi pubblici. Proposte, queste ultime, nelle quali emerge una visione un pochettino meno allegra e facilona dell'economia e della società, benché nella parte restante dell'elenco concorrenza e meritocrazia siano quasi banditi. E in ogni caso è abbastanza sconfortante il fatto che le parti più avanzate del programma siano contrassegnate anche da un'evidente rabbia giustizialista.
Una pacca di incoraggiamento per averci provato, ma se il patrimonio giovanile delle idee (politiche) è questo, si capisce il motivo per cui il peso (politico) dei giovani è quasi nullo. E tale resterà, se non ci decidiamo a tirare fuori qualche idea che superi i modelli ormai avariati dei nostri predecessori.

           

Un altro condono e poi non sapremo più come insultarvi

54 miliardi di imposte in più rispetto alla media Ue; l'ottavo condono negli ultimi 38 anni. E i commercianti che cominciano a fare la cresta sull'Iva. Ma esiste un altro manicomio come l'Italia?

In certi momenti ci si sente quasi stupidi nella veste di commentatori. Inutili e velleitari. Di fronte alla possibilità, sempre più fondata, che la maggioranza di governo possa varare un condono tombale (edilizio e fiscale), il quale andrebbe ad aggiungersi al teatrino cui abbiamo assistito in questi mesi su quella Manovra anti-crisi che ci ha portato in dote nuove tasse, l'unico commento appropriato sarebbe quello, molto spicciolo, che farebbe una comune madre di famiglia o una nonnina che ne ha viste di tutti i colori. Ma l'Attaccabrighe ha una pazienza inesauribile e perciò proverà ancora una volta a fare un ragionamento sensato su questa Italia che di sensato ha poco o nulla.
Il condono, dicevamo. L'ennesimo, l'ottavo dal 1973. Nella maggioranza c'è chi ha già dichiarato apertamente la propria contrarietà ad un provvedimento che cozzerebbe clamorasamente con l'annunciata intenzione di inasprire la lotta all'evasione fiscale. Quindi non è detto che il condono venga approvato, anzi tenderemmo ad escludere che nella maggioranza possano avere cotanta faccia di bronzo da presentarlo. Le notizie che arrivano in queste ore, tuttavia, sono assai confortanti per gli evasori del Belpaese: il governo prende seriamente in considerazione l'ipotesi del condono e qualche giornale scrive persino che si farà di sicuro. Se così fosse, ai poveracci che pagano le tasse non resterebbe che prendere in prestito la frase di uno striscione esposto anni fa a San Siro dai tifosi dell'Inter, indirizzato alla loro squadra: "Non so più come insultarvi".
Sarebbe una magrissima consolazione per un Paese ormai abituato a sopportare di tutto. Sì, perché il modo in cui viene gestita la politica economica in Italia è un vero capolavoro dell'horror, roba che nel tentare di fare un quadro generale, si rischia di essere colti da attacchi di vomito.
Questo significa che i politici sono delle capre e gli altri tutti degli scienzati? Assolutamente no. In politica non è indispensabile essere dei pozzi di scienza; quello che serve è la capacità di compiere delle scelte, magari rischiose o persino dolorose, purché finalizzate all'interesse più generale possibile. E magari aderenti ad uno straccio di logica. Ora, qualche politico del centrodestra, magari Berlusconi in persona, ci spieghi quale logica c'è nel fatto che, di fronte alla necessità di riequilibrare il bilancio, si aumentano sempre le tasse, quando poi questa scelta non fa altro che provocare un aumento dell'evasione, per l'ovvia considerazione che quanto più ingiuste sono le tasse, tanto più i contribuenti sono disonesti. Non sarebbe più logico fare tabula rasa delle spese inutili e degli sprechi delle caste, della giustizia, della sanità, delle Regioni e così via? Tanto più se poi le entrate non sono mai quelle previste e per recuperare il denaro si rendono necessari dei condoni? E' un concetto banale, ma un conto è pensare e un altro conto è avere il coraggio di chiudere le province, mettere alle strette i tribunali, aumentare l'età pensionabile, costringere le Regioni ad eliminare gli sprechi e via sognando.
Ed ecco come avviene che si passano 17 anni ad annunciare la riduzione delle tasse per rilanciare l'economia e invece poi si aumenta persino l'Iva, con i commercianti onesti costretti ad alzare i prezzi dell'1% e quelli più furbi che li aumentano del 3-4-5, in alcuni casi del 10%. Complimenti, un vero capolavoro di politica economica!
La nonnina di prima, magari, non se la prenderà più di tanto, perché ne ha le scatole piene dei neri, dei rossi e dei bianchi, ma noi più giovani siamo incazzati neri e se passasse pure il condono la misura sarebbe colma. Soprattutto per quelli che le tasse le pagano e che, secondo stime recenti, sono fra i più vessati in Europa (soltanto Danimarca e Svezia hanno una pressione fiscale più alta, ma con uno stato sociale e dei servizi rispetto ai quali i nostri non sono nemmeno paragonabili). Per l'esattezza, sui contribuenti italiani pesano 54 miliardi di maggiori imposte rispetto alla media Ue. Naturalmente sui contribuenti che pagano. Per gli altri ci sarà sempre un condono. Perciò rassegnatevi, perché un giorno o l'altro farete la fine della nonnina: non saprete più come insultarli.       

Ma che macello è la giustizia italiana?

Ultime dai tribunali: verdetti ribaltati dopo gogna mediatica, sentenza Mondadori emessa (forse) inventando un parere della Cassazione. E sulle intercettazioni ricomincia la bagarre

Giustizia nel caos, nel senso semanticamente più ampio del termine. Intanto perché l'immagine poco edificante offerta in mondovisione dal nostro sistema giudiziario con il processo Meredith, ha aperto un dibattito dal quale emergono giudizi assai critici anche da parte dei più strenui difensori della giustizia italiana.
Ben arrivati, verrebbe da dire a queste persone. E ci riferiamo anche a quella parte dell'opinione pubblica e della gente comune che generalmente ignora tali questioni, magari perché non ha mai avuto a che fare con la nostra giustizia se non per sentito dire, o perché deve pensare a cose molto più spicciole, tipo come rimediare uno stipendio per non soccombere di fronte alla crisi.
Già, l'opinione pubblica. Con i media (giornali, tv e internet) stringe sempre di più la nostra giustizia in una morsa micidiale. All'interno del sandwich ci sono le incertezze del sistema, dovute in parte alla mediocrità e alla superficialità che talvolta contraddistinguono le indagini, in parte agli errori del legislatore (leggi scritte male nelle quali sguazzano gli avvocati più astuti e riforme annunciate ma mai realizzate); il panino-killer viene chiuso, dall'altro lato, con i media che ci bombardano sui processi mediaticamente più appetibili pubblicando notizie filtrate dalle procure, in qualche caso coperte persino dal segreto istruttorio. Il desiderio di giustizia sommaria che, da che mondo e mondo, nasce nell'opinione pubblica di fronte ai delitti che suscitano maggiore indignazione, viene così alimentato in un modo così violento da condizionare inevitabilmente sia le indagini che il processo, che invece dovrebbro svolgersi nel più assoluto riserbo.
In pratica che cosa succede? L'imputato viene travolto dalla gogna, mentre invece dovrebbe valere la presunzione di innocenza fino a prova contraria e fino a condanna definitiva. La pressione della morsa media - opinione pubblica induce i giudici ad emettere sentenze di condanna frettolose e basate su prove deboli. E quando poi nei successivi gradi di giudizio la sentenza viene ribaltata come un calzino, ecco che la stessa opinione pubblica si scatena: "Ma allora chi ha ucciso Meredith?". Il tutto nell'illusione che nelle aule di tribunale vinca la giustizia, quando invece bisognerebbe sapere che a vincere è innanzitutto la giurisprudenza.
In Italia, addirittura, troppo spesso perdono tutte e due. Non siamo degli esperti di diritto, ma il buon senso ci porta a pensare che la prima cura che risulterebbe molto salutare per la giustizia italiana, sarebbe quella basata sulla tutela della riservatezza delle informazioni legate alle inchieste. E quando diciamo informazioni non sono escluse, naturalmente, quelle ricavate dalle intercettazioni.
Da "Vallettopoli" a "Calciopoli", da Tarantini a Berlusconi, l'uso che è stato fatto delle intercettazioni è una vergogna assoluta, un'infamia commessa in totale spregio del diritto e dei diritti. Tra questi ultimi non va certo dimenticata la libertà di stampa; tuttavia, come scrisse Alexis de Tocqueville, "per godere dei benefici che la libertà di stampa assicura è necessario sottomettere gli inevitabili mali che essa provoca". Quindi sarà il caso di smetterla di assecondare le campagne di certi giornali che, nel tentativo di tirare acqua al proprio mulino, pubblicano le foto dei loro lettori con il bavaglio sulla bocca (salvo poi sentire il giorno dopo le stesse persone lamentarsi che la giustizia non funziona, e non sanno spiegarsene il motivo).
Se poi Repubblica venderà meno copie ce ne faremo una ragione. E una soluzione ragionevole si troverà anche per Wikipedia - l'enciclopedia online che potrebbe essere danneggiata dal nuovo disegno di legge sulle intercettazioni - così come per tutti i siti web, Attaccabrighe incluso. In ogni caso, una rettifica non farà chiudere bottega a nessuno e con tutto il rispetto la giustizia italiana ha problemi più seri. Anche perché, non avete sentito l'ultima? Gli avvocati di Marina Berlusconi hanno presentato un esposto alla Procura generale della Cassazione perché a loro avviso la sentenza sul Lodo Mondadori troverebbe fondamento su un parere della Cassazione che i giudici avrebbero inventato, nel senso che la Cassazione non lo ha mai espresso. Voglia il cielo che tutto ciò non sia vero, perché sarebbe l'ennesimo colpo alla credibilità di una giustizia che assomiglia sempre più ad un macello.   
         

Pioggia di miliardi dall'Europa, ma il Sud ne spende meno della metà

Dal 2007 il trend è addirittura peggiorato rispetto al passato. Ancora una volta decine di miliardi torneranno indietro per insufficienza di iniziativa privata. Altro che scrivere libri sui torti subiti nel 1860                                            

La lezione evidentemente non è servita a nulla. Nelle regioni del Sud i fondi che l'Europa destina alle cosiddette aree sottoutilizzate continuano ad essere spesi con troppa lentezza o a non essere spesi affatto. Secondo il commissario europeo per i fondi regionali, addirittura, "solo la Romania fa peggio del Mezzogiorno d'Italia". I numeri parlano chiaro: dal ministero per i rapporti con le Regioni fanno sapere che dei circa 90 miliardi di euro destinati al Sud nel periodo 2007-2013, ad oggi ne è stato speso meno del 20 per cento e, per quanto riguarda la somma minima da spendere nell'anno corrente, siamo a meno della metà.
Insomma, un film già visto dal 1993 al 2006 (nei due settenni precedenti) e del quale quindi conosciamo il finale: decine di miliardi di euro regalati da Bruxelles al Mezzogiorno faranno il percorso contrario e dunque, come già accaduto in passato, torneranno nelle casse della Commissione.
Questo dato di fatto a dir poco penoso è da imputare solo in parte alla programmazione superficiale e troppo dispersiva delle amministrazioni regionali; la causa principale è invece l'insufficienza di iniziativa privata, nel senso che, da un lato, i progetti per ottenere i finanziamenti sono troppo spesso carenti (fatto in parte comprensibile se si considera che la burocrazia di Bruxelles è un qualcosa che va oltre la più fervida fantasia), dall'altro lato, sono proprio le richieste ad essere numericamente scarse. Mi rendo conto che, per certi versi, sembra quasi di leggere la relazione sul Mezzogiorno presentata al Parlamento da Sidney Sonnino nel 1876, ma la realtà è proprio questa e finora a poco sono valse le minacce di sanzioni (peraltro poco convincenti) da parte del governo. 
Chi scrive è del Sud e al Sud è cresciuto, ha studiato, ha lavorato. Lungi dall'autore di questo articolo l'intenzione di impartire lezioni ai propri conterranei. Non ne ha i titoli per farlo, tanto più che nei loro difetti riconosce se stesso pienamente. Detto questo, sarebbe comunque doveroso, quantomeno, di piantarla di pubblicare libri sulle ingiustizie subite dai meridionali, durante il Risorgimento, ad opera dei Piemontesi, perché, se pure ci sono state (e ci sono state, sul piano militare, su quello economico e su quello culturale), in più di un secolo di politiche meridionaliste questi soprusi sono stati abbondantemente risarciti. E in ogni caso non serve a nulla scimmiottare la Lega, di cui al Sud negli ultimi anni proliferano le brutte copie.
E' ora che la smettano di lamentarsi dei tagli anche i governatori del Sud, i cui piagnistei sono ingiustificati e ridicoli, alla luce degli intollerabili sprechi di denaro pubblico che le loro Regioni fabbricano a prescindere dal colore politico. Non che gli sprechi non ci siano anche nel resto d'Italia, ma chi ha di meno dovrebbe essere più serio e rigoroso degli altri, non il contrario.
In attesa di vedere concretamente il famoso Piano per il Sud che da oltre un anno viene rispolverato negli annunci del governo con cadenza trimestrale, vorremmo umilmente dare un paio di suggerimenti al governo stesso e all'Unione europea: il primo è di smetterla di regalare soldi a fondo perduto al Meridione, perché centocinquant'anni di storia unitaria dimostrano che questa politica, oltre ad essere economicamente semi-fallimentare, si è rivelata culturalmente controproducente. Il secondo è di mettersi d'accordo con un'apposita deroga affinché il governo nazionale possa gestire direttamente quella montagna di soldi fino al 2013 e impiegarli in alcune opere pubbliche strategiche. Anche se questo stonerebbe con il federalismo e, problema ancora più grande, non piacerebbe a quei politici meridionali che a fare la brutta copia della Lega ci hanno preso gusto.