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Castigat ridendo mores

L'Italia dei "no" condannata al sottosviluppo

Sono 331 le infrastrutture arenate da Nord a Sud a causa delle barricate ambientaliste. Allucinante il dato sugli impianti che sfruttano fonti rinnovabili: il 62 per cento dei progetti è bloccato

Un Paese fermo. In tutti i sensi. La protesta dei "No Tav" in Val di Susa ha fatto riemergere un problema drammatico dell'Italia del terzo millennio, ovvero il dilagare della sindrome Nimby, acronimo dell'espressione inglese "Not in my back yard", "no nel mio cortile".
In Italia, il fenomeno dell'opposizione alla realizzazione di infrastrutture pubbliche, considerate dalle popolazioni locali invasive sul piano paesaggistico e ambientale, è determinato da cause di varia natura, e ha raggiunto dimensioni imponenti a partire dagli anni '90, ossia quando, in seguito alla progressiva concessione di maggiori competenze amministrative alle autonomie locali (poi sancita dalla riforma costituzionale del 2001), l'Italia è diventata un Paese dalla barricata facile.
Tante le ragioni, dicevamo: a) l'impresentabile riforma del 2001, che ha assegnato alle Regioni competenze su ambiti d'intervento che dovrebbero essere in capo esclusivamente allo Stato (vedi politiche energetiche, turismo e reti nazionali di trasporto); b) errori marchiani nella progettazione di alcune opere (un'esigua minoranza), la cui realizzazione sarebbe effettivamente uno scempio ambientale; c) la fame di visibilità di alcuni amministratori locali e, più ancora, di molta gente che vivacchia nell'anticamera della politica che conta, e che perciò cerca nei movimenti ecologisti un veicolo attraverso cui farsi notare; d) l'ambientalismo dilagante, utilizzato da certa sinistra come surrogato dell'ostilità contro la proprietà privatà; e) l'ignoranza a causa della quale molti cittadini in buona fede si "bevono" quelle che spesso sono delle stupidaggini prive di basi tecniche e scientifiche, e che quando sembrano averle - ci riferiamo alle motivazioni di tantissime proteste - è perché sono inventate di sana pianta.
Queste le cause. Ma il problema più grosso sono le conseguenze. L'Italia, infatti, è ormai diventata un Paese in cui non si realizza niente: infrastrutture ferroviarie e stradali, impianti idrici ed energetici, impianti di smaltimento o riutilizzo dei rifiuti. Secondo l'osservatorio nazionale Nimby forum, sono 331 le opere pubbliche bloccate in tutto il territorio nazionale a causa delle proteste dei cittadini del posto. Un dato impressionante.
Osservando la mappa degli impianti contestati fornita dal "Nimby forum", ciascuno di noi può controllare quante e quali infrastrutture sul proprio territorio sono fermate dai veti. Ed è bene precisare, peraltro, che quella mappa contiene solo i progetti già approvati.
Il dato più sconcertante, e per certi versi paradossale, è quello relativo al comparto elettrico, nell'ambito del quale è fermo il 62,5 per cento degli impianti progettati. La statistica include anche ben 156 casi di impianti di energia derivata da fonti rinnovabili (soprattutto eolico e biomasse, ma anche fotovoltaico). Già, perché da qualche anno, specie al Sud, queste infrastrutture sono sempre più spesso oggetto di contestazioni, anche da parte di quegli ambientalisti che tanto hanno glorificato le virtù dell'energia derivata dal sole e dal vento. Come dire, l'antagonismo di se stessi, l'ambientalismo al quadrato.
Naturalmente, non è sempre colpa degli ambientalisti "brutti e cattivi" se l'Italia sembra essere un Paese condannato al sottosviluppo causa arretratezza delle infrastrutture. Anche chi governa, a tutti i livelli, ha le sue responsabilità. Per non parlare della criminalità organizzata, le cui mani rapaci vanno ben oltre il Mezzogiorno. Ci sono poi i ritardi di una burocrazia troppo spesso inefficiente, ma anche l' "allegria", per dirla con un po' di ironia, con la quale molto imprese aggiudicatarie portano a termine i lavori, senza subire nessuna conseguenza.
Fatto sta che alle opere pubbliche bloccate dai "no", bisogna aggiungerne altrettante la cui realizzazione richiede cantieri ultradecennali (l'autostrada Salerno - Reggio Calabria è solo una delle tante), o che, come il ponte sullo Stretto o il Mose di Venezia, rimangono solo sulla carta. E sullo stomaco.