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Castigat ridendo mores

Così l'Euro ci distruggerà

Disoccupazione e povertà crescono di mese in mese e il peggio deve ancora venire. Ma potrebbe essere evitato se la nostra politica ricominciasse ad agire nell'interesse dell'Italia

C'era una volta la quinta economia del mondo per prodotto interno lordo, quella dell'Italia, un paese con un debito pubblico molto elevato, ma con il risparmio privato più alto in Europa e un export senza eguali nel continente. Il tenore di vita degli abitanti di questa repubblica era fra i migliori al mondo, finché un giorno di circa vent'anni fa gli italiani furono costretti a cominciare un periodo di sacrifici: bisognava entrare in un sistema monetario di cui facevano parte nazioni con monete dotate di maggior potere d'acquisto rispetto alla Lira italiana. C'erano anche dei parametri da rispettare, in particolare il rapporto tra la ricchezza del Paese (Pil, ovvero la somma dei redditi lordi dei cittadini) e il debito dello Stato, anche perché gli accordi prevedevano sì una moneta unica, ma non un debito unico. Ognuno si teneva il suo e se lo pagava per conto proprio. La nuova moneta unica era fondata sul principio di stabilità: della moneta, del bilancio e dell'inflazione. 
L'Italia accettò la sfida: passando ad una moneta più forte decise di rinunciare alla competitività dei propri prodotti, già minacciata dal nuovissimo fenomeno della globalizzazione, in cambio di tassi di interesse più bassi che una moneta con un maggior potere d'acquisto avrebbe di certo garantito, alleggerendo in tal modo il pagamento del debito.
I sacrifici furono finalizzati a ridurre il rapporto debito/pil. Bisognava fare presto e di conseguenza la soluzione più immediata era una politica di tagli alla spesa pubblica e di aumento delle entrate tributarie. Meno spesa e più tasse, quindi, uno sforzo non da poco, accompagnato anche dalla (s)vendita di diverse aziende pubbliche, alcune delle quali in attivo. Va da sè che in questo quadro l'Italia dovette rinunciare quasi del tutto alla possibilità di gestire il bilancio pubblico in deficit, e di coprire il disavanzo (o una parte di esso) con l'emissione di nuova moneta. Nell'Europa unita, infatti, la parola "inflazione" doveva essere cancellata dai dizionari e non era ammessa neanche come rischio ipotetico. 
L'Italia, comunque, riuscì nell'impresa e nel gennaio del 2002 la nuova moneta unica europea entrò in corso.
Oggi, quasi 11 anni dopo, l'eurozona è entrata in una crisi senza via d'uscita e l'Italia, con il suo debito pubblico molto alto, è uno dei paesi che stanno pagando il prezzo più salato. La crisi è stata provocata da uno shock esterno (il crac del sistema finanziario statunitense) i cui effetti si sono rapidamente propagati in tutte le economie occidentali e non solo. E qui è emerso in tutta la sua drammaticità ciò che l'Euro davvero rappresenta: una trappola per la sovranità democratica e per le economie meno solide.
Tralasciando il fatto che gli italiani, con questa moneta, hanno avuto un pessimo rapporto fin dall'inizio, a causa della paradossale inflazione verificatasi per via di un cambio particolare e sfortunato, che ha fatto raddoppiare in pochi mesi i prezzi di una vasta gamma di prodotti (già, un paradosso mai visto prima, considerando che eravamo passati da una moneta debole a una moneta forte); al di là di questo dettaglio, dicevamo, il motivo per cui l'Euro è una trappola è un altro ed è legato al fatto che della stabilità (principio stupendo al quale tutti noi cerchiamo di ispirarci nella vita) ha fatto un vero e proprio culto. Per chi è entrato nell'Euro, infatti, è impensabile poter fare deficit, vale a dire avere entrate inferiori alle spese, anche per un breve periodo. Chi legge penserà: è logico che sia così. E invece no.
Già per un comune cittadino è quasi impossibile pensare di non poter fare mai un debito in tutta la propria vita, anche piccolo, figuriamoci per uno Stato. Anzi, è assolutamente indispensabile per uno Stato fare un po' di deficit di tanto in tanto. Il motivo è semplice: solo lo Stato può immettere ricchezza al netto nel contenitore dei cittadini privati, tra i quali la ricchezza circola in tondo, senza che nessuno ne crei di nuova. Solo lo Stato può farlo, aumentando la spesa a parità di entrate oppure - come sarebbe il caso di fare in questo momento - diminuendo le entrate (quindi il prelievo fiscale) a parità di spesa. In entrambi i casi il bilancio registrerebbe un disavanzo, ovviamente da fare per un breve periodo, il tempo necessario per dare ossigeno al circolo della ricchezza privata quando questo rallenta o si arresta lasciando molti cittadini in condizioni di difficoltà o di povertà.
C'è un altro fatto importante: non sempre lo Stato può coprire il disavanzo affidandosi solo al mercato privato. Vale a dire che lo Stato, a differenza di un privato cittadino indebitato, può coprire una parte dei propri debiti e degli interessi emettendo nuova moneta, correndo sì il rischio ipotetico dell'inflazione, ma con la certezza di poter rilanciare l'economia, perché è chiaro che un deficit prodotto, ad esempio, attraverso una riduzione delle tasse, favorisce una ripresa degli investimenti, del lavoro, dei consumi. I redditi crescono, cresce la ricchezza da tassare e quindi tornano ad aumentare le entrate tributarie. La possibilità di emettere nuova moneta senza il cambio con l'oro era stata una grande conquista degli Stati democratici, mai così sovrani come allora. Finché qualcuno non ha cominciato a tirare fuori la storia che il debito dello Stato è un qualcosa di molto pericoloso, quando invece i fatti dimostrano che un'economia con un buon tessuto produttivo può avere un collasso non a causa del debito dello Stato (ad esempio per Italia e Giappone il debito pubblico è stato un volano), ma per il debito privato, quello dei cittadini con le banche, come dimostra il caso della Spagna, il cui debito pubblico era invece molto contenuto.
A proposito di Spagna, veniamo finalmente al punto. I dati della Spagna oggi sono questi: disoccupazione al 25% (avete letto bene, roba da far venire la pelle d'oca), tagli e tasse a tutto spiano, tradicesima sospesa ai dipendenti pubblici, un grosso prestito già avuto dagli euro-partner e un altro sarà richiesto prossimamente al Fmi. Duole essere così pessimisti, ma non di pessimismo si tratta, bensì di realismo: la Spagna di oggi rappresenta la fotografia dell'Italia tra meno di dieci anni, se le condizioni per rimanere nell'Euro restano quelle attuali, ovvero un rapporto debito/pil inferiore al 100 per cento di fatto irrangiungibile per tutti i paesi mediterranei se non in un lontano futuro, un bilancio obbligatoriamente in pareggio, una moneta stabile come i macigni di Stonehenge.
Il motivo è presto detto: senza deficit lo Stato non può fare altro che avvitarsi su se stesso: sposta la ricchezza di qua per metterla di là, poi la toglie di qui per portarla di lì e così via, senza mai risolvere un tubo. La disoccupazione intanto aumenta, diminuiscono i consumi, aumentano le difficoltà delle aziende, si riduce la ricchezza complessiva e calano anche le entrate dello Stato, che per non accumulare nuovo debito (non quello "buono" di cui sopra, ma quello fatto per tappare le falle), anche perché così comanda l'Europa, è costretto ad aumentare le tasse, in una spirale senza fine. E se qualcuno vi dice che è necessaria la patrimoniale ridetegli in faccia, perché l'unico risultato che otterrebbe sarebbe una fuga oceanica di capitali e aziende all'estero, come già sta avvenendo in Francia. Se qualcun altro invece vi dice che bisogna vendere le ultime aziende pubbliche in attivo, mandatelo direttamente a quel paese, perché le aziende, pubbliche o private che siano, non si vendono se producono utili, a maggior ragione se appartengono alla collettività. Se qualcun altro ancora vi dice che i soldi si possono recuperare dall'evasione dategli una pacca di incoraggiamento sulla spalla, perché l'evasione va combattuta e con mezzi sempre più efficaci e duri, ma pretendere di cancellarla è come pretendere di eliminare la delinquenza dalla faccia della Terra. Ditegli anche che persino la Germania ha 160 miliardi di euro di evasione - pensa un po' - e che in Italia il settore privato vanta svariate decine di miliardi di crediti nei confronti di Stato e soprattutto Regioni, a dimostrazione aritmetica del fatto che l'evasione non è la gallina dalle uova d'oro che molti pensano.
Se infine qualcuno si straccia le vesti di fronte a voi se gli si prospetta l'ipotesi di mettere in discussione l'Euro, la stabilità della moneta, del bilancio e dell'inflazione, chiedetegli perché non se le straccia di fronte al dato di una disoccupazione all'11 per cento. Già che ci siete, se per caso vi risponde, riferite anche al sottoscritto, per il quale la questione è un vero enigma.
Cosa fare quindi, ora che non siamo più la quinta economia, il risparmio viene sempre più eroso pur rimanendo sempre uno dei più alti al mondo, l'export è andato a farsi benedire a causa soprattutto dell'Euro e solo in misura marginale della globalizzazione, gli interessi sul debito sono tornati a salire, facendo venire meno anche l'unico motivo per cui era valsa la pena entrare nella moneta unica?
Guardando il panorama politico cadono le braccia. Se la critica più "feroce" fatta all'Euro negli ultimi anni è quella espressa da Berlusconi ieri, pensa un po' come stiamo combinati. Un attacco, il suo, tardivo e minimalista, reso poi ancora più inconcludente dal livello della sua credibilità personale, del tutto azzerata. Peraltro ha detto cose ovvie: che lo spread è aumentato non tanto, o non solo a causa del rialzo dei tassi sul debito dell'Italia, ma anche per il contemporaneo abbassamento di quelli tedeschi; e che sarebbe giusto considerare non il debito pubblico, ma il debito aggregato, cioé la somma del debito dello Stato e del debito dei cittadini privati, cosa che ci farebbe all'improvviso diventare uno dei tre paesi più virtuosi al mondo, come spiegato in questo articolo del Sole 24ore. Sull'altra sponda politica non hanno avuto neanche l'intuito per cogliere la palla al balzo e far vedere che l'Italia assume per lo meno una posizione critica all'interno dell'Europa, una linea costruttiva certo, ma molto meno ossequiosa. Bersani invece si è affrettato a dichiarare che Berlusconi dice stupidaggini e chissà che non abbia anche chiamato la Merkel per scusarsi del fatto di avere un concittadino di cui si vergogna.
D'altra parte siamo in campagna elettorale, non è ancora adesso che Bersani dovrà affrontare il dramma di una disoccupazione quasi all'11 per cento e la tragedia di un fenomeno come la povertà, non nuovo in sè, ma certamente insolito dal punto di vista delle dimensioni. Con questi problemi dovrà vedersela quando sarà al governo, e non andremo lontano con le ricette suggerite dalla Merkel, da Van Rompuy, da kapò Schultz e da banchieri e multinazionali che li comandano a bacchetta.
La leggerezza con cui in Italia è stata perpetrata la vergogna dell'obbligo di pareggio di bilancio, dimostra senza ombra di dubbio che nessuno, nel Belpaese, ha abbastanza coraggio per mettere in discussione l'Euro, e nemmeno per ridiscuterne seriamente l'impianto, anche se ciò è indispensabile per salvarci dalla catastrofe. Dall'altra parte, nessuno in Europa è disposto a sacrificarsi più di tanto per gli altri, ad inglobarne il debito o ad accettare una svalutazione della moneta causata dai problemi altrui. Non ci resta quindi che sperare che l'Eurozona imploda. E gli occhi di chi spera sono puntati sulla Spagna e sulla Grecia.