Il blog aperto a tutte le idee orginali, alle opinioni coraggiose, alle riflessioni espresse senza peli sulla lingua
Castigat ridendo mores

Cambiamento radicale del sistema politico. O sarà astensione di massa

Chi crede di farci votare con questo sistema elettorale e con l’attuale distribuzione dei poteri si sbaglia di grosso. Dalla legge elettorale all’architettura istituzionale, ecco cosa si potrebbe fare affinché le prossime elezioni non siano l’ennesima presa in giro

Al di là delle dichiarazioni di principio circa l’importanza di andare a votare per esercitare un diritto fondamentale, devo dire in tutta franchezza che se si dovesse votare domani mi sentirei un emerito stupido al momento di entrare nella cabina elettorale. E non tanto per quella diffusa sensazione di nausea verso la classe politica e per la sua incapacità di governare il paese, che di per sé sarebbe già un valido motivo; mi sentirei uno stupido, semmai, perché ancora una volta approverei un sistema di voto e di governo che è la causa principale di quella incapacità. In parole povere, mi recherei al seggio elettorale sapendo già in anticipo che la nuova legislatura si rivelerebbe, ancora una volta, un sostanziale fallimento politico.

UNA PRESA IN GIRO
Ergo, risparmiamoci le solite frasi retoriche sul diritto di voto che in democrazia è anche un dovere morale, eccetera eccetera, perché a fare i tromboni ci pensano già i politici, quindi evitiamo almeno di scimmiottarli. Oltretutto è evidente a tutti che si può andare a votare anche dieci volte all’anno, ma ciò nonostante la democrazia è letteralmente in balia delle banche che prosperano sui debiti pubblici, dei kapò dell’euro e dei loro adepti, alcuni dei quali sono noti primi ministri di importanti paesi.
La democrazia appunto. Che negli ultimi sei mesi, in Italia, ha raggiunto forse il punto più basso, tanto che ormai possiamo considerarci, senza esagerazione, un paese a sovranità limitata. Qui finisce la lunga premessa e passiamo alle idee, alle proposte che forse potrebbero far cambiare proposito a tutti coloro (e c’è da giurarci, sono tantissimi) i quali oggi come oggi, se dovessero seguire l’istinto (guai a demonizzare l’istinto), userebbero volentieri la scheda elettorale al posto della carta igienica. 
Votare in queste condizioni, fra meno di un anno, sarebbe un insulto all’intelligenza degli Italiani. In primo luogo perché l’attuale sistema elettorale è quanto di peggio si possa concepire in fatto di rappresentanza dei cittadini. In secondo luogo perché l’attuale distribuzione dei poteri tra gli organi dello Stato, concepita nell’immediato dopoguerra quando l’Italia era appena uscita da una dittatura ventennale, oggi è la causa di gran lunga principale della mancanza di governabilità, come spiegato più volte in questo blog, e come dimostra soprattutto la durata media dei governi (circa un anno) nella storia della repubblica: una roba che non esiste in nessuna, e sottolineo nessuna, democrazia del pianeta.

NUOVO PARLAMENTO
Può la nostra democrazia ritrovare un briciolo di credibilità? Può farlo, certo, ma a condizione che aggiorni se stessa, se non vuole che decadano anche i principi sui quali è fondata. Bisognerebbe, innanzitutto, ridurre il numero dei parlamentari ed eliminare il bicameralismo perfetto, con l’elezione di una sola Camera (composta da non più di 400 o 420 membri) affiancata da un’altra assemblea che rappresenti le autonomie regionali (circa 150 delegati delle Regioni).

NUOVA LEGGE ELETTORALE
A questo punto, sarebbe quanto mai opportuno tornare al sistema maggioritario uninominale, come i cittadini italiani indicarono inequivocabilmente nel referendum più drammatico della nostra storia recente, quello del 1993 promosso da Mario Segni. Il sistema di voto potrebbe essere elaborato come una via di mezzo tra quello francese parlamentare e quello inglese, ovvero come nella seguente ipotesi:
a) divisione del paese in 330 collegi, in ognuno dei quali viene eletto alla Camera un solo deputato;
b) i candidati devono essere espressione non di una coalizione, ma di un singolo partito. È da ricordare che, come tutti gli esperti dimostrano, nel maggioritario uninominale l’elettorato si orienta naturalmente verso i grandi partiti (il cosiddetto voto utile) i quali finiscono così per ottenere percentuali di voto che non otterrebbero con altri sistemi. Fra i partiti minori, invece, gli unici ad essere favoriti dall’uninominale puro sono quelli con forte radicamento territoriale;
c) una possibile distorsione di tale sistema è l’eventualità – verificatasi alcune volte in Inghilterra – che un partito abbia il maggior numero di preferenze a livello nazionale sui propri candidati (sommando i voti dei collegi in cui ha vinto e quelli dei collegi in cui ha perso), ma non il maggior numero dei seggi, cioè dei collegi in cui ha prevalso il proprio candidato, che poi è il dato che conta per la vittoria a livello nazionale. Per mettere una pezza a questo problema si potrebbe adottare il sistema francese del doppio turno, ovvero prevedere che il seggio venga assegnato al primo turno solo al candidato che ottiene almeno il 35 o il 40% dei voti (in Francia, nelle elezioni parlamentari, è il 25%); in caso contrario vanno al ballottaggio i primi due candidati;
d) un'altra possibile situazione paradossale potrebbe verificarsi qualora un partito, pur ottenendo un numero abbastanza alto di preferenze a livello nazionale (ad esempio, il 12%), non riuscisse a vincere neppure in un collegio, rimanendo così fuori dal Parlamento. È successo, negli anni ’90, ancora in Inghilterra, al Partito Liberale, che rimase fuori dalla Camera dei Comuni pur avendo ottenuto il 18 per cento nazionale sommando i voti dei suoi candidati nei vari collegi. Una soluzione tampone sarebbe quella di far andare al ballottaggio, nei collegi in cui nessun candidato ha raggiunto il 40%, anche il candidato arrivato terzo, a patto però che abbia raggiunto una certa percentuale di voti, ad esempio il 10 o il 12%;
e) per garantire a chi vince una maggioranza solida, al partito che prevale con i propri candidati nel maggior numero dei collegi viene assegnato un premio di maggioranza di 90 deputati, scelti tra i propri migliori non eletti al primo turno. Un’ipotesi, quindi, potrebbe essere la seguente: partito A vince le elezioni perché ottiene, tra primo e secondo turno, 130 seggi su 330, ai quali si aggiungono i 90 del premio di maggioranza per un totale di 220 seggi su 420, una maggioranza più che sufficiente per governare in un sistema quasi monocamerale, tanto più che non sono esclusi accordi parlamentari successivi con altre forze politiche.

PIU’ POTERI AL GOVERNO E NORME ANTI-RIBALTONE
Il secondo passaggio fondamentale riguarderebbe invece l’architettura istituzionale degli organi politici. In questo senso, bisognerebbe finalmente rafforzare le funzioni del premier (il quale potrebbe essere il leader del partito vincitore), a cominciare dal potere di nomina e di revoca dei ministri. In generale, occorre rivedere l’equilibrio tra il capo dello Stato e il capo dell’esecutivo (che nel nostro ordinamento attuale, in realtà, non è un capo ma un primus inter pares, dal momento che ha solo il potere di coordinare l’attività dei ministri) modellandolo sull’esempio del premierato inglese e del cancellierato tedesco. Infine, per garantire stabilità al governo e continuità alla sua azione, bisognerà istituire delle norme anti-ribaltone, prendendo spunto dalla “sfiducia costruttiva” in vigore in Germania. In pratica, la mozione di sfiducia contro il premier o contro l’esecutivo può essere legittima solo a due condizioni: deve essere proposta da un adeguato numero di parlamentari della maggioranza (almeno 30) e deve prevedere l’indicazione obbligatoria di un nuovo premier e dei componenti di un nuovo esecutivo, cosa non facile da mettere in pratica perché richiede un accordo di ampio respiro tra i promotori della sfiducia.
Si tratta, naturalmente, di ipotesi e di proposte. Quello che interessa realmente è che si guariscano i mali cronici della politica repubblicana: il diritto dei cittadini di vedere il loro voto adeguatamente rappresentato, nonché la stabilità del governo, al quale devono essere finalmente assegnati poteri idonei per attuare il programma, come avviene del resto in tutte le democrazie (sicuramente più che in Italia), senza essere continuamente sottoposto ai ricatti dei partitini e dei voltagabbana, con le conseguenze catastrofiche alle quali in 64 anni di repubblica abbiamo fatto mestamente l’abitudine.
Rendere dunque più credibile il sistema politico, questo è ciò che va fatto prima ancora dei provvedimenti economici; altrimenti nessuno si dovrà meravigliare se si registrerà un’astensione di massa. Anche quest’ultima, peraltro, è un diritto legittimo come quello di voto. E non è detto inoltre che possa essere meno utile. Sarebbe interessante, in effetti, verificare le reazioni della nostra classe dirigente di fronte ad un’astensione senza precedenti. Probabilmente avrebbero la faccia tosta di dare avvio comunque alla legislatura. Ma in quel caso resterebbe ai cittadini un’altra forma di protesta, più devastante e forse più legittima dell’astensione: quella fiscale. L’importante, in ogni caso, è svegliarsi dal torpore senza lasciarsi travolgere dagli eventi. E dai tromboni.