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Castigat ridendo mores

Al magna-magna partecipiamo un po' tutti

Dagli imprenditori agli operai, dai politici agli insegnanti, in Italia sono in molti ad aver beneficiato degli sprechi. Ecco perché ora è più difficile cambiare

Agosto non è il momento più adatto per avventurarsi in riflessioni sullo stato dell'economia. I potenziali lettori non hanno alcuna intenzione di annoiarsi su argomenti che per di più, oltre a tediare, provocano anche un travaso di bile. Ma poiché giornali e tv negli ultimi mesi non hanno fatto altro che bombardarci di notizie legate alla crisi e agli inevitabili sacrifici che essa comporta, per l'articolo inaugurale del blog il tema non può che essere questo. Giusto per esordire, insomma, dopodiché sarete lasciati in pace fino alla conclusione delle ferie. Promesso.
La situazione dell'economia occidentale è seria: la speculazione finanziaria, la concorrenza dei mercati asiatici, un mercato del lavoro nel quale una parte importante della domanda (nei lavori giudicati più usuranti e meno "alla moda") non viene soddisfatta, con conseguente iper-saturazione di altri settori.
L'Italia, negli ultimi dieci anni, è stato uno dei Paesi più virtuosi del mondo nel tenere sotto controllo il deficit annuale e il debito pubblico complessivo. Il problema, però, è che il debito pregresso è enorme (quasi 2 mila miliardi di euro) e nella congiuntura attuale ci toccherà sopportare sacrifici più pesanti del solito. Prepariamoci, perché la Manovra sarà una batosta epocale, tanto più che il Governo ha deciso di anticiparla di un anno, il che vuol dire che la mannaia sarà azionata già dall'anno prossimo.
Fatta questa doverosa premessa, veniamo al punto, e cioè ai sacrifici chiesti ai cittadini. I quali, non a torto, considerano un furto i tagli e le tasse, sparse qua e là nella Manovra. Apparentemente, sono in tanti ad avere buone ragioni per lamentarsi: come al solito si fanno tagli lineari, perché, come ha scritto recentemente Davide Giacalone, "la spesa pubblica non si riduce mai dal momento che nessuno ne conosce veramente la composizione". Molto più facile, di conseguenza, togliere un pochino a tutti.
E qui ci addentriamo in un tema che fa salire il sangue alla testa agli italiani, secondo i quali a pagare sono sempre i più deboli. Dispiace dirlo, ma la realtà non è esattamente questa. D'accordo, la classe politica gode di privilegi sfacciati, irritanti e totalmente fuori luogo, tanto più in tempi di crisi; di sacrifici, inoltre, ne fa ben pochi, dal momento che le indennità e le prebende erano e restano tra le più alte del mondo, le inutili province sono tutte lì, i consigli regionali stanno pian piano superando il Parlamento in fatto di stipendi spropositati e così via. Assodato questo, siamo proprio sicuri che i politici siano gli unici a beneficiare dello sperpero di denaro pubblico?
Prendiamo il caso degli imprenditori: è vero che in Italia la pressione fiscale su chi produce è elevatissima, ma è altrettanto vero che il grosso dell'evasione fiscale è da addebitare proprio alla categoria dei lavoratori in proprio, per non parlare del fatto che molti di loro in passato hanno goduto di aiuti consistenti dalle casse pubbliche. Qualcuno obietterà: solo le grandi imprese. Bene, allora vogliamo parlare dei fallimenti e delle successive riaperture di aziende, intestate, con nome diverso, a parenti o amici? O del fenomeno del lavoro nero? Gli imprenditori, insomma, hanno tanti buoni motivi per lamentarsi, ma quanto a manolesta non sono secondi a nessuno, nemmeno ai politici.
Persino i lavoratori dipendenti hanno partecipato al grande banchetto negli ultimi decenni. Hanno le loro valide ragioni, per carità, a dire tutto il male possibile dei politici, dei padroni eccetera eccetera, ma le loro argomentazioni sarebbero molto più valide e credibili se negli ultimi quarant'anni in Italia si fosse lavorato, nel privato e (soprattutto) nel pubblico, in funzione di una produttività ispirata al modello Marchionne o al modello tedesco, se qualcuno non conoscesse l'amministratore delegato della Fiat. Senza voler fare di tutta l'erba un fascio, bisogna riconoscere che a partire dagli anni '70 il nostro modello ha avuto molte più analogie con Fantozzi che con le fabbriche teutoniche.
Abbiamo accennato alla produttività dell'apparato pubblico. A tal proposito, una delle categorie che da sempre si auto-considera tra le più tartassate è quella degli insegnanti, gli unici (assieme ai postini) ad essere stati sempre precari anche quando non esisteva il precariato. I loro stipendi, oltretutto, sono ai livelli della manovalanza medio-bassa. Due argomenti, questi, che giustificano in gran parte i loro continui piagnistei. Ma della loro produttività vogliamo parlarne? Parliamone, anche se sappiamo che nel farlo si rischia di essere sepolti da un diluvio di pernacchie. Semplificando brutalmente, le cose stanno più o meno così: la scuola, sempre a partire dai famigerati anni '70, è stata considerata né più né meno che un ammortizzatore sociale, per dirla con una frase fatta: una spugna che ha assorbito disoccupati effettivi o potenziali con livelli di istruzione molto vari, dal più basso al più alto. Per quanto riguarda gli insegnanti, va detto che nelle medie e nelle superiori svolgono al massimo 18 ore settimanali di lezione (obiettivamente poche), il che ha permesso di assumerne oltre ogni ragionevole limite, per non parlare di tutti quelli che, proprio grazie a tale sistema, hanno la possibilità di lavorare nella scuola come precari. Non è uno spreco, questo? Eccome se lo è. Di conseguenza, è bene che la categoria (la quale ha tutto il diritto di difendere ciò che ha conquistato) sia consapevole di questi dettagli, prima di accusare il prossimo di essere un privilegiato o un affamatore (anche se magari questo lo è veramente).
Sarebbe auspicabile che tale consapevolezza la maturassero, per esempio, i militari che affollano l'esercito, la marina e l'aeronautica, assunti a frotte negli ultimi quindici anni (in particolare al Sud). Un discorso valido, più in generale, per tutti quelli (e sono tanti, tantissimi) che poppano dalla mammella dello Stato con voracità più o meno insaziabile, e sotto varie forme che qui non ci dilungheremo ad elencare, perché ognuno di voi lo sa da solo, senza che glielo spieghi un trascurabile blog, come e quanto ha succhiato dalla Grande Madre. Il tutto, ovviamente, con il beneplacito di quei "ladroni" dei politici, che però in tutto ciò sono sempre stati i nostri più fedeli alleati.
Questa è la realtà, che piaccia o meno. Un debito pubblico nasce, si forma e si ingrossa con il contributo di tutti, con sprechi e privilegi distribuiti su larghissima scala, in misura proporzionale alla propria posizione sociale. Politici, impresari, professoroni, impiegati, facchini: tutti uniti sulla base di un accordo che può essere sintetizzato più o meno così: "Tu mangia pure quanto vuoi, a patto che lasci mangiare un po' anche me". Perché a conti fatti, per dirla con una celebre battuta di un film di Benigni dei primi anni '90, "qui è tutto un magna magna".