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Castigat ridendo mores

Ma la legge elettorale che c'azzecca? Soldi buttati in un altro inutile referendum

All'Italia servono esecutivi stabili che non siano in balia dei partitini ribaltonisti. E che abbiano gli stessi poteri degli altri governi occidentali. Per far questo è necessario cambiare l'architettura istituzionale, la madre di tutte le riforme

Un nuovo referendum incombe sulle nostre teste fatue. "Ancora?!", direte giustamente voi. Ebbene sì, per cambiare la legge elettorale, in modo da permettere ai cittadini di scegliere i candidati, che invece oggi sono nominati dalle segreterie di partito.
Sembrerebbe un'iniziativa degna di lode. E in effetti lo é, almeno se giudicata nell'ottica di una maggiore trasparenza del sistema elettorale. Peccato però che un modo diverso di votare potrà essere pure bello e biondo, ma non risolverà neanche uno dei problemi legati al malfunzionamento della democrazia in Italia, per quanto i promotori di questo referendum (un po' tutta la sinistra in ordine sparso, con altri pronti ad accodarsi) cercheranno di convincerci del contrario. E ovviamente non ci risparmieranno neppure le solite trombonate sul trionfo della democrazia partecipativa, del popolo sovrano, eccetera eccetera, di cui ormai siamo pieni fin sopra i capelli.
D'altra parte lo sapete benissimo, senza che ve lo spieghi un trascurabile blog, quanto i politici siano bravi a girare intorno ai problemi, senza risolverli mai. Ed è esattamente ciò che avverrà anche questa volta.
Un sistema elettorale in cui i cittadini possano mettere una croce non solo sul partito, ma anche sul nome e sul volto del candidato, è cosa buona e giusta. Tuttavia la nostra democrazia parlamentare oggi ha ben altre priorità. Tipo consentire a chi è stato scelto per governare di farlo senza essere continuamente condizionato dai ricatti dei partitini ribaltonisti, come è accaduto in questi anni a Berlusconi, Prodi e D'Alema, o dei cosiddetti "franchi tiratori", come avveniva nella prima Repubblica, con inevitabili ripercussioni negative sull'azione dell'esecutivo. Il fatto che dal 1946 al 2001 la durata media dei governi sia stata di 11 mesi, è un dato che non può essere accettato con rassegnazione come si è sempre fatto, solo perché in Italia esistono numerose culture politiche che hanno diritto tutte ai loro spazi di democrazia, anche se spessissimo entrano in contrasto tra di loro, mandando i governi a gambe all'aria. Nella prima Repubblica poteva anche starci, perché, oltre all'efficacia e alla rapidità delle decisioni, bisognava garantire anche la difesa della democrazia da eventuali derive autoritarie fascio-nostalgiche o comuniste, sicché ciò che contava era far sì che la Dc fosse al governo, non importava con chi e per quanto tempo. Quella fase storica, però, è ormai chiusa e perciò è arrivato il momento che l'Italia prenda esempio dalle altre democrazie occidentali.
Speranza vana. Tanto per cambiare i partiti si arrovellano sulla forma, ignorando bellamente la sostanza. Adesso ci spiegheranno che il ritorno al "mattarellum" (la precedente legge elettorale con collegi uninominali) garantirà anche la stabilità delle maggioranze, se accompagnata da un premio di maggioranza da assegnare alla coalizione vincente. Balla colossale. Anche con l'attuale legge elettorale, infatti, chi vince ha un premio di maggioranza alla Camera (il 55% dei deputati), ma proprio in questa legislatura abbiamo visto come un'ampia maggioranza numerica possa essere messa a repentaglio se 40 parlamentari decidono di passare all'opposizione.     
La verità è che le leggi elettorali non c'entrano un bel niente con la stabilità. La verità, se vogliamo dire le cose come stanno, è che i salti della quaglia devono essere impediti, come cercò di fare il centrodestra con la riforma del 2005, ispirata alla "sfiducia costruttiva" vigente in Germania (per capire meglio basta aprire questo link http://it.wikipedia.org/wiki/Sfiducia_costruttiva).
Il problema, in definitiva, è che ai governi bisogna fornire gli strumenti necessari per decidere con efficacia e rapidità, il che può avvenire solo con una organica riforma dell'architettura istituzionale dello Stato, che comprenda anche l'eliminazione del bicameralismo perfetto per accorciare i tempi parlamentari. E soprattutto un ampliamento delle prerogative del potere esecutivo, rispetto sia al Parlamento che al Presidente della Repubblica. Purtroppo in Italia, quando si tira fuori l'argomento, ti guardano come se stessi bestemmiando, salvo poi lamentarsi che i governi governano male.
Eppure basterebbe prendere esempio dalle democrazie più avanzate (Germania, Inghilterra, Francia, Usa), dove i capi di governo hanno un forte potere decisionale e per farli cadere deve verificarsi un cataclisma, mentre invece da noi si paventa il rischio di elezioni anticipate ad ogni maledetta primavera e il presidente del Consiglio è solo un primus inter pares. Il che vuol dire che se hai il carisma di un Craxi o di un Berlusconi puoi restare in sella a lungo; in caso contrario rischi di saltare per un qualsiasi capriccio del più anonimo dei parlamentari.
La riforma elettorale? Non serve a un tubo e lascerà tutto com'è. Cambierà solo il fatto che metteremo una croce sul bel faccione di un parlamentare, ma il premier che sceglieremo continuerà ad avere la stessa durata che ha un'insalata fuori dal frigo. Poi magari arriverà il Berlusconi di turno (o chi per lui) che se la prenderà con i soliti "lacci e lacciuoli" che gli impediscono di governare e che per questo motivo "il centrodestra intende fare la riforma istituzionale". Già, il centrodestra, quello che doveva abbassare le tasse.  

        

Per Scalfari Napolitano deve convincere il Parlamento a sfiduciare Berlusconi. E la Spinelli chiede al papa di scomunicarlo

No, non è un pesce d'aprile fuori stagione: è l'opinione delle due firme più autorevoli di Repubblica. E se la Spinelli si augura che Ratzinger imiti Pio XII, il fondatore del quotidiano spinge addirittura il Capo dello Stato a violare la Costituzione

La casistica degli anatemi contro Berlusconi si arricchisce con due "new entry", delle chicche memorabili. A sfornarle, tanto per cambiare, è stato il quotidiano La Repubblica, dalle colonne del quale, negli ultimi giorni, le due penne più autorevoli del giornale, ossia il fondatore Eugenio Scalfari e Barbara Spinelli, sono arrivati a chiedere, il primo, una incostituzionale "moral suasion" di Napolitano sul Parlamento affinché deputati e senatori sfiducino Berlusconi; la seconda, invece, ha addirittura invocato la scomunica del premier da parte di Benedetto XVI, così da rinverdire i fasti di papa Pio XII che nel 1949 scomunicò il Comunismo.
Se fosse il 1° aprile avremmo pensato subito al più classico degli scherzi. Invece no, tutto vero. Come d'altra parte è tristemente reale la Manovra che incombe sulle teste (e sul portafogli) degli Italiani, e della quale abbiamo già avuto un assaggio con l'aumento dell'Iva.
Ormai in Italia la realtà supera la fantasia, soprattutto quando si parla di politica. Ce ne accorgiamo osservando l'operato di chi governa (per non parlare dei comportamenti privati), ma anche leggendo o ascoltando le opinioni di numerosi commentatori. Se nel primo caso possiamo tranquillamente concludere che la stagione di Berlusconi sia irrimediabilmente vicina al capolinea, con grande sollievo dei più e buona pace di tutti, nel caso di molti intellettuali ci si augura che l'addio del Cavaliere possa automaticamente guarirli da quella che ormai per loro è un'autentica ossessione patologica.
Già, perché, passi il discutibile invito della Spinelli al Pontefice, ma se Eugenio Scalfari, ossia una delle firme più prestigiose del giornalismo italiano, nonché strenuo sacerdote della Costituzione, arriva ad invocare l'intervento di Napolitano affinché questi, in barba alla democrazia e alla Carta, faccia pressione sui deputati per togliere di mezzo l'odiato nemico di Repubblica, beh...chiunque penserebbe ad un simpatico scherzo. E invece è tutto vero.

Riduzione dei tribunali, una goccia nell'oceano della sprecopoli giudiziaria

Il ministero lavora per chiudere alcuni dei 1.300 tribunali sparsi nella penisola. Non è che uno dei tanti sprechi che rendono lentissima la nostra giustizia, la quale avrebbe bisogno di ben altra cura dimagrante. Ma i magistrati già protestano e tanto per cambiare finirà di nuovo a tarallucci e vino

Dal Governo moribondo è arrivato, nei giorni scorsi, un segnale di vita. Il neo-ministro della Giustizia, Nitto Palma, in seguito ad un'apposita delega ricevuta dalla famigerata Manovra finanziaria, sta lavorando ad un progetto di riforma della geografia dei tribunali della penisola, col dichiarato intento di ridurli.
I tribunali, in Italia, sono quasi 1.300, decisamente troppi; praticamente non c'è buco dello Stivale che non ne abbia uno. In un certo senso ricordano la situazione delle province, sia per il rapporto costi-benefici che per il loro peso sulla spesa pubblica.  Nel libro L'Ultracasta, l'autore Stefano Livadiotti, giornalista dell'Espresso, ricorda come l'Italia disponga "di 1.292 tribunali. Che sono piu' dei 595 dell'Inghilterra, dei 703 della Spagna, dei 773 della Francia e anche dei 1.136 della Germania (frutto della riunificazione di due paesi). Solo la Russia, con 2.696, ne ha di più''.
In tempi di crisi, l'iniziativa del ministro appare sacrosanta, benché alquanto tardiva. Ma tant'è, meglio tardi che mai, tanto più che gli sprechi del sistema giudiziario sono molteplici e scandalosi e, sebbene se ne parli poco, costituiscono uno dei più grossi buchi neri del bilancio dello Stato italiano. Già, perché i piagnistei ai quali le procure ci hanno abituato negli anni scorsi (del tipo "manca la carta", e non solo quella utilizzata per gli atti) sono totalmente ingiustificati. Non ci credete? Leggete quanto scrive sempre Livadiotti nel suo libro a proposito, per esempio, delle spese per il personale: "Il nostro sistema giudiziario - secondo la Cepej (la Commissione del Consiglio d'Europa per l'efficienza della giustizia) - puo' contare su 13,7 giudici professionali per ogni 100 mila abitanti. La Francia ne ha 11,9, la Spagna se ne fa bastare 10,1 e l'Inghilterra addirittura 7, per non parlare di Danimarca (6,6) e Irlanda (3,1). Accanto alle toghe, sono pagati a vario titolo per lavorare nella aule dei nostri tribunali 27.067 addetti. Poco meno del doppio di quanti ne impiega la Francia (15.199). Cinque volte piu' di quelli arruolati in Olanda (5.160). Poco meno della meta' rispetto al gigante russo (62.075). Il risultato e' che in Italia ogni magistrato gestisce 4,2 addetti. Una piccola corte di valletti. Che non esiste negli altri paesi: la Francia sta a quota 2, l'Olanda a 2,5 e la Germania a 2,9''. 
Ora è chiaro dove si bruciano i soldi che servirebbero a rendere più celeri i processi? ''Nel 2006 - spiega ancora l'autore de L'Ultracasta - il budget italiano per tribunali, pubblici ministeri e patrocinio per i non abbienti era pari a 4 miliardi 88 milioni 109 mila 198 euro. E vai a capire come diavolo fanno quei micragnosi degli olandesi con appena 1 miliardo 613 milioni 369 mila 748 euro. O gli spagnoli (2 miliardi 983 milioni 492 mila euro) e i francesi (3 miliardi 350 milioni di euro)". Secondo questi dati, "stanziamo per la giustizia lo 0,26% del prodotto interno lordo, molto piu' di quanto fa la Francia, ferma allo 0,19%. Dicono ancora quelli della Commissione, che in Italia la spesa pro capite per i soli tribunali è pari a 45 euro". 
Di fronte a numeri così impietosi, risulta evidente che l'accusa che da sempre viene fatta a governi di ogni colore, cioé di destinare al comparto giustizia poche risorse, dati alla mano, è clamorosamente infondata. Spiega ancora Livadiotti: "Se si sommano gli stanziamenti per i tribunali, quelli per i pubblici ministeri e quelli per il patrocinio per i non abbienti viene fuori, per ogni italiano, un conto da 70 euro. Contro i 53 che finiscono sulle spalle di una qualunque cittadino della Francia, paese dove pero' la giustizia funziona. La spiegazione è semplicissima: fatto uno il rapporto tra spesa e numero di processi conclusi in Olanda, l'Italia sta a 1,4. E la Francia a 2,2. Vuol dire che la stessa cifra spesa a Roma per decidere due giudizi basta a Parigi per farne tre. Una questione di efficienza. Punto e basta".
Si potrebbe continuare, parlando, per esempio, dei privilegi di cui gode la casta dei magistrati, la quale di sicuro non ha nulla da invidiare a quella dei politici. Basterà ricordare che il numero dei magistrati per diecimila abitanti e' risultato in costante aumento a partire dagli anni Cinquanta: da quel momento a oggi tale rapporto è quasi raddoppiato. E per di più gli stipendi raggiungono livelli ragguardevoli, nettamente superiori a quelli dei colleghi europei. "Un magistrato italiano - scrive Livadiotti - si mette in tasca il 360 per cento dello stipendio medio dei suoi connazionali. Lo stipendio lordo della nostra toga è superiore del 41,4% rispetto a quello del collega tedesco e del 16,1% rispetto a quello francese".
Insomma, alla luce di questi sprechi (abbiamo pubblicato solo un assaggio: basta acquistare il libro e il travaso di bile è garantito), la riduzione dei tribunali non è che una goccia nell'oceano. Robetta. Eppure, voi non ci crederete, ma l'Anm, il sindacato dei magistrati, è già sul piede di guerra e ha trovato persino sponde importanti nell'opposizione. Conoscendo la fifa che contraddistingue questo Governo quando si tratta di prendere decisioni dolorose ma necessarie, immaginiamo già come andrà a finire. Con uno 0-0 annunciato.

Non dimenticheremo quel pomeriggio. E purtroppo neanche le stupidaggini complottiste

L'attentato alle Torri gemelle è stato l'evento più sconvolgente della storia recente. Ma anche le teorie che ha generato possono essere considerate a dir poco allucinanti. E il peggio è che molti ci hanno creduto e ci credono ancora
 
Di quel giorno di fine estate del 2001 resta nella memoria il sentimento di incredulità, la sensazione di trovarsi in uno di quei film a cui proprio il cinema americano ci aveva abituati. Di quel pomeriggio dell'11 settembre 2001 ricorderemo le dirette televisive e le immagini scioccanti di persone che si lanciavano dalle finestre dei grattacieli. I crolli, le macerie, le immagini di festeggiamenti deliranti in alcune piazze arabe...i commenti con gli amici, con i quali non si parlò d'altro fino a tarda sera.

Di questo decennio che, tra globalizzazione, terrorismo, crisi delle banche americane e delle borse, precarietà nel lavoro, caro-mutui, carovita, caro-petrolio, caro-oro, caroeuro, ci ha portato in dote un mondo letteralmente impazzito, quell'attacco terroristico è stato l'evento simbolo, forse la madre di tutti i guai dell'Occidente.

Un mondo impazzito dicevamo. Come impazzita è anche la circolazione delle notizie, grazie a Internet e ai media digitali, con tutti i benefici che ne sono conseguiti in termini di informazione dell'opinione pubblica, ma anche con tutti i tranelli e le "sole" nelle quali inevitabilmente ci imbattiamo.
E non c'è dubbio che, in fatto di teorie cospirazioniste e relative panzane, nessun fatto ne abbia generate così tante (anche al di fuori del web) come gli attentati alle Torri gemelle e al Pentagono, tanto che è pressoché impossibile classificarle tutte e assegnare il triste premio della più campata in aria.
Mentre ieri, in occasione del decimo anniversario dell'attentato, si svolgevano le celebrazioni commemorative, un pensiero è andato alle decine di dibattiti televisivi e articoli (persino film) attraverso i quali negli anni sono state formulate le teorie più ardite circa l'ipotesi di attentati progettati dagli stessi americani su ordine della Casa Bianca, allo scopo di giustificare il successivo intervento militare in Medio-Oriente. Dalla mancata intercettazione degli aerei dirottati, alla demolizione controllata delle Torri, dagli esplosivi piazzati prima all'interno dei grattacieli al missile lanciato contro il Pentagono, è un delirio di ricostruzioni così fantasiose che manco nei cartoni animati giapponesi.
Non c'è da sorprendersi comunque. La facilità con la quale le teorie del complotto fanno breccia nell'opinione pubblica non è un fatto nuovo, anzi appartiene a tutte le culture di tutte le epoche storiche. In un certo senso, il complotto fornisce una spiegazione apparentemente razionale a fatti sconvolgenti che sembrerebbero inspiegabili. Quindi nulla di strano se un americano su tre, nel 2006, aveva dei dubbi sul fatto che le stragi dell'11 settembre fossero state realmente orchestrate da Al Qaeda e da Osama Bin Laden. E quindi niente di anormale se per anni l'opinione pubblica si sia lasciata convincere da ipotesi strampalate, senza nemmeno consultare (o consultando solo superficialmente) ricostruzioni documentatissime e, come insegna il principio del rasoio di Occam ("non occorre rendere complesso ciò che all'evidenza è semplice"), immediate e facili da capire (a tal proposito, due le suggerisce l'Attaccabrighe: puntata di Matrix dell'11 settembre 2006 e lo speciale su Focus n° 172 del gennaio 2007).
Ognuno creda quello che vuole. Però che pena assistere allo spettacolo di giornalisti affermati che spacciano per verità teorie tecnicamente inconsistenti, sapendo che solo una piccola parte dell'opinione pubblica si prenderà la briga di verificarne il fondamento, cercando risposte documentate.
Lo abbiamo visto col 2012, col presunto finto allunaggio dell'Apollo 11, con le tesi catastrofiste sull'ambiente e via fantasticando. Il che non vuol dire che tutte le teorie cospirazioniste siano sbagliate a priori. Il problema semmai è che, come detto prima, molto spesso è l'opinione pubblica a prenderle per buone acriticamente. E chissà quanti intellettuali con la verità in tasca si sono arricchiti (e si arricchiranno ancora) facendo leva sulle nostre paure.    

"Facciamo una rivoluzione contro il Cavaliere"

Pubblichiamo uno stralcio del botta e risposta tra Giampaolo Pansa e Maria Giovanna Maglie, apparso su Libero di oggi. Il primo chiede al centrodestra la rivolta contro il leader, la seconda crede ancora in Berlusconi


[...] "Ma allora è vero quanto avevano detto la sinistre dopo la nomina di Alfano. Ossia che Silvio aveva messo a guidare il partito un suo replicante o un manichino. Mi domando che cosa ne pensino Fabrizio Cicchitto, Maurizio Gasparri e Gaetano Quagliariello, per citare soltanto tre big del centro-destra. Li conosco da anni. Non sono degli sciocchi. E sanno che il loro re è nudo. Eppure sembrano paralizzati. Per lealtà verso Berlusconi. O perché sanno che senza di lui il Pdl crollerebbe di colpo, come una castello di carte da gioco.  La crisi del centro-destra è testimoniata anche da qualche novità imbarazzante.
L’ultima è di ieri. Intervistato da Repubblica, Giuseppe Pisanu, senatore del Pdl e presidente della Commissione antimafia, ha chiesto a Berlusconi di «fare un passo indietro», ossia di dimettersi. Per favorire l’arrivo di «un governo di larghe intese». Credo di poter dire che non da oggi Pisanu la pensa così. Se ha creduto bene di parlarne con il giornale più avverso a Berlusconi, significa che nel Pdl il clima si è fatto irrespirabile. E la crisi della coalizione moderata è priva di sbocchi.
[...] Dunque una soluzione va trovata e in fretta. E non credo consista in un nuove elezioni generali. L’assalto dei mercati diventerebbe ancora più feroce. Per evitare questa sciagura, o sperare di attenuarla, occorre una fase intermedia. È quella che in un mio vecchio Bestiario su Libero ho chiamato la fase del governo tecnico. Un esecutivo lontano dagli interessi elettorali che rendono vana ogni riforma. Guidato da una personalità decisa dal Presidente della Repubblica. E composto anche da politici, tanto della maggioranza che dell’opposizione. So bene che sembra un’impresa titanica. Anche perché ha come condizione primaria l’uscita di scena di Berlusconi e di Bossi. Loro faranno di tutto per impedirla. Rispetto al leader leghista, il Cavaliere ha pure un motivo in più per non accettare questa soluzione: le inchieste giudiziarie che lo affliggono e i processi che lo aspettano. Senza lo scudo di Palazzo Chigi, si troverebbe in balìa dei suoi nemici. Ma la crisi che incalza l’Italia ci rende insensibili ai problemi giudiziari e personali di Berlusconi. Per tutti noi i rischi sono enormi. Sappiamo bene che cosa accadrebbe se anche il nostro Stato fallisse come è accaduto in Grecia.
Proviamo a immaginare che un certo giorno il governo non riesca a pagare gli stipendi agli statali e i milioni di pensioni che il 27 di ogni mese vengono erogate. Il famoso default di cui tanto si parla è questo: l’impossibilità di onorare gli impegni assunti con chi ha lavorato per te.
E c’è uno scenario ancora più orrendo. L’ha evocato Pisanu nell’ultima riga della sua intervista (su Repubblica ndr): le piazze in rivolta. Lui non è l’unico a temere questo sbocco crudele della crisi politica e finanziaria. Anch’io ci penso e ne scrivo spesso, per l’esperienza che ho fatto negli anni Settanta o Ottanta. Ma oggi potrebbe andare molto peggio. Da tempo, le fiammate di ribellismo sono frequenti. Tuttavia riguardano soltanto gruppi isolati di antagonisti che per ora vengono tenuti a bada dalle forze dell’ordine. Però non so che cosa accadrebbe se a questi nuclei di violenti si unissero migliaia di cittadini che si ritengono danneggiati dalla gestione della crisi.
In quel caso disgraziato, avremmo di fronte non soltanto le piazze dei cosiddetti indignati, bensì un esercito di gente disperata. Che, a torto o a ragione, vuole distruggere il nemico, ossia lo Stato repubblicano. È per questo che scruto con apprensione il futuro del Paese, che è anche il mio e delle persone che amo. Ed è ancora per questo che il rifiuto di Berlusconi e di Bossi a prendere atto che il loro ciclo è finito non risulta soltanto incomprensibile, ma rischia di diventare criminale." (Giampaolo Pansa)

E a seguire, ecco la seconda parte (quella più significativa) della risposta di Maria Giovanna Maglie
"SOGNO ANCORA UN PREMIER CHE SI RIBELLI E CAMBI QUESTO PAESE DI M...."
[...] "il Berlusca non lo vediamo e sentiamo sul serio da un mese, e bene farebbe prima o poi a spiegarci perché se non è d’accordo non caccia i ministri che non stima più.
La gogna fiscale l’ha tolta, lo ringrazio, ma poteva essere più chiaro prima che si scatenasse il casino. La persecuzione giudiziaria lo azzoppa, lo ammetto, ma i suoi vizi privati sono stati consegnati nelle mani di troppi delinquenti. La rivoluzione liberale non l’ha fatta, e fatico a rispondere agli amici, suoi elettori, al momento potenzialmente ex, che gli rimproverano di essersi rivelato un monopolista preoccupato soprattutto dei suoi interessi. Vorrei poterlo difendere, se fatico è perché la sostanza delle accuse è vera.
Ma questo mi conduce ancora una volta a rispondere al Maestro Pansa. Non serve cacciare uno che non sai come sostituire, non serve invocare un governo tecnocratico, se questo è e resta il Paese degli sprechi, delle corporazioni, del pezzo di carta, delle servitù, degli enti locali egoisti, dei travet malpagati che in cambio pretendono di lavorare poco e andare in pensione presto, delle donne sottovalutate e neglette che sono contente di essere trattate come esseri umani di serie B. Se questo resta il Paese delle tasse inique, tanto alte e irragionevoli, tanto pensate per spremere e non per aiutare chi metta denaro in circolazione, che evaderle, ecco sto per scriverlo, è giusto.
Abbiamo scritto fino alla nausea quel che basterebbe per una, cento manovre: tutti in pensione a 67 anni, o anche più tardi, subito; un mercato del lavoro totalmente liberalizzato; scioglimento degli ordini professionali e abolizione del valore legale del titolo di studio; vendita dello sterminato patrimonio pubblico inutilizzato, ceduto agli enti territoriali per destinare risorse ai servizi per i cittadini; una o al massimo due aliquote fiscali, e totale deducibilità delle spese. Tutto il resto, contributi di solidarietà, Iva e quant’altro, è fuffa, eppure è quel che si farà, perché questo è un Paese di merda, chi l’ha detto?" (Maria Giovanna Maglie)

La protesta di un lettore: "Bloccato a Cagliari a causa dello sciopero, 400 euro per tornare a casa"

E a qualche famiglia con i bambini va ancora peggio: soldi insufficienti per comprare il biglietto nuovo e col vecchio tutto pieno fino al 12 settembre. Intanto in Parlamento la manovra si avvicina all'approvazione: ma questa norma sui contratti di lavoro era proprio necessaria?


Che lo sciopero generale indetto dalla Cgil fosse una cialtronata non c'erano dubbi. Magari i dati dell'affluenza (al momento sembra buona) indurranno qualcuno a riflettere, soprattutto su certe norme discutibili inserite nella Manovra nelle ultime ore (ne parleremo più avanti). Ma sul fatto che uno sciopero sia quanto di più dannoso ci possa essere per il Paese in questo momento sono tutti d'accordo, tranne la sinistra radicale e Bersani (dire il Pd sarebbe troppo).
Al di là delle considerazioni che si possono fare sulla produttività, che in questo momento andrebbe semmai incrementata, e non abbassata con inutili scioperi, non bisogna dimenticare i disagi che i cittadini sono costretti, loro malgrado, a subire, soprattutto nei trasporti pubblici.
Una lettera inviataci poco fa da un lettore ci parla di situazioni allucinanti. Aeroporto di Cagliari, ritorno dalle vacanze. Aerei fermi e i passeggeri si trovano di fronte ad una scelta: comprare un nuovo biglietto a prezzi da salasso in attesa del primo aereo in partenza (quasi sicuramente non prima di domani) o utilizzare il titolo di viaggio precedentemente acquistato, ma con aerei in partenza fra tre, quattro, cinque giorni, in alcuni casi persino una settimana, perché i posti in quelli che partono prima sono già tutti prenotati. La coppia di coniugi che ci ha inviato la segnalazione decide di acquistare il nuovo biglietto per motivi di lavoro. Notte in aeroporto e partenza domani. Ma loro sono in due e bene o male se lo possono permettere. Molto peggio va a qualche famiglia con figli: troppo costoso comprare quattro biglietti, si partirà con quelli già prenotati, ma il 10 settembre, in alcuni casi l'11 o il 12.
La Cgil è retrò, si sa. Anzi, roba da preistoria. Ogni giorno che passa è sempre più isolata e con questo sciopero, probabilmente, si è autoinferta il colpo di grazia. Attenzione, però, a non sottovalutare l'ira dei cittadini, e non solo di quelli che hanno aderito allo sciopero (peraltro abbastanza numerosi). Perché dall'altra parte della barricata ci sono un governo e una maggioranza che, se in Italia ci fosse un'opposizione degna di questo nome, dovrebbero essere a casa già da un pezzo, alla luce di quanto è dannosa e confusionaria la manovra che si accingono a far approvare.
L'ultima è quella sui nuovi contratti che le aziende potranno fare in deroga a quello collettivo nazionale, con maggiori possibilità di licenziare. Certamente non è insensato pensare a contratti territoriali sul modello americano, ma una domanda sorge spontanea: al di là dell'allarmismo fuori luogo diffuso dai soliti media e che l'ex sindacalista Giuliano Cazzola smentisce in questa intervista http://www.tempi.it/cazzola-libert-di-licenziare-le-cose-non-stanno-proprio-cos, spiegando con grande competenza cosa contiene la nuova norma, al di là di questo, dicevamo, la domanda è: ma era proprio necessario in un momento come questo accanirsi con i lavoratori? Come se la flessibilità nel mercato del lavoro non fosse già abbastanza spinta, come se i sacrifici imposti ai cittadini, con questa Finanziaria, non fossero già troppi, come se in questo momento in Italia ci fosse bisogno di indebolire proprio la posizione dei lavoratori dipendenti. Il tutto mentre si assiste, sempre più basiti, ad un governo che alterna misure di stampo socialista ad altre improntate ad un liberismo reaganiano. Seconda domanda: ma questi ci sono o ci fanno?