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Castigat ridendo mores

Ma la legge elettorale che c'azzecca? Soldi buttati in un altro inutile referendum

All'Italia servono esecutivi stabili che non siano in balia dei partitini ribaltonisti. E che abbiano gli stessi poteri degli altri governi occidentali. Per far questo è necessario cambiare l'architettura istituzionale, la madre di tutte le riforme

Un nuovo referendum incombe sulle nostre teste fatue. "Ancora?!", direte giustamente voi. Ebbene sì, per cambiare la legge elettorale, in modo da permettere ai cittadini di scegliere i candidati, che invece oggi sono nominati dalle segreterie di partito.
Sembrerebbe un'iniziativa degna di lode. E in effetti lo é, almeno se giudicata nell'ottica di una maggiore trasparenza del sistema elettorale. Peccato però che un modo diverso di votare potrà essere pure bello e biondo, ma non risolverà neanche uno dei problemi legati al malfunzionamento della democrazia in Italia, per quanto i promotori di questo referendum (un po' tutta la sinistra in ordine sparso, con altri pronti ad accodarsi) cercheranno di convincerci del contrario. E ovviamente non ci risparmieranno neppure le solite trombonate sul trionfo della democrazia partecipativa, del popolo sovrano, eccetera eccetera, di cui ormai siamo pieni fin sopra i capelli.
D'altra parte lo sapete benissimo, senza che ve lo spieghi un trascurabile blog, quanto i politici siano bravi a girare intorno ai problemi, senza risolverli mai. Ed è esattamente ciò che avverrà anche questa volta.
Un sistema elettorale in cui i cittadini possano mettere una croce non solo sul partito, ma anche sul nome e sul volto del candidato, è cosa buona e giusta. Tuttavia la nostra democrazia parlamentare oggi ha ben altre priorità. Tipo consentire a chi è stato scelto per governare di farlo senza essere continuamente condizionato dai ricatti dei partitini ribaltonisti, come è accaduto in questi anni a Berlusconi, Prodi e D'Alema, o dei cosiddetti "franchi tiratori", come avveniva nella prima Repubblica, con inevitabili ripercussioni negative sull'azione dell'esecutivo. Il fatto che dal 1946 al 2001 la durata media dei governi sia stata di 11 mesi, è un dato che non può essere accettato con rassegnazione come si è sempre fatto, solo perché in Italia esistono numerose culture politiche che hanno diritto tutte ai loro spazi di democrazia, anche se spessissimo entrano in contrasto tra di loro, mandando i governi a gambe all'aria. Nella prima Repubblica poteva anche starci, perché, oltre all'efficacia e alla rapidità delle decisioni, bisognava garantire anche la difesa della democrazia da eventuali derive autoritarie fascio-nostalgiche o comuniste, sicché ciò che contava era far sì che la Dc fosse al governo, non importava con chi e per quanto tempo. Quella fase storica, però, è ormai chiusa e perciò è arrivato il momento che l'Italia prenda esempio dalle altre democrazie occidentali.
Speranza vana. Tanto per cambiare i partiti si arrovellano sulla forma, ignorando bellamente la sostanza. Adesso ci spiegheranno che il ritorno al "mattarellum" (la precedente legge elettorale con collegi uninominali) garantirà anche la stabilità delle maggioranze, se accompagnata da un premio di maggioranza da assegnare alla coalizione vincente. Balla colossale. Anche con l'attuale legge elettorale, infatti, chi vince ha un premio di maggioranza alla Camera (il 55% dei deputati), ma proprio in questa legislatura abbiamo visto come un'ampia maggioranza numerica possa essere messa a repentaglio se 40 parlamentari decidono di passare all'opposizione.     
La verità è che le leggi elettorali non c'entrano un bel niente con la stabilità. La verità, se vogliamo dire le cose come stanno, è che i salti della quaglia devono essere impediti, come cercò di fare il centrodestra con la riforma del 2005, ispirata alla "sfiducia costruttiva" vigente in Germania (per capire meglio basta aprire questo link http://it.wikipedia.org/wiki/Sfiducia_costruttiva).
Il problema, in definitiva, è che ai governi bisogna fornire gli strumenti necessari per decidere con efficacia e rapidità, il che può avvenire solo con una organica riforma dell'architettura istituzionale dello Stato, che comprenda anche l'eliminazione del bicameralismo perfetto per accorciare i tempi parlamentari. E soprattutto un ampliamento delle prerogative del potere esecutivo, rispetto sia al Parlamento che al Presidente della Repubblica. Purtroppo in Italia, quando si tira fuori l'argomento, ti guardano come se stessi bestemmiando, salvo poi lamentarsi che i governi governano male.
Eppure basterebbe prendere esempio dalle democrazie più avanzate (Germania, Inghilterra, Francia, Usa), dove i capi di governo hanno un forte potere decisionale e per farli cadere deve verificarsi un cataclisma, mentre invece da noi si paventa il rischio di elezioni anticipate ad ogni maledetta primavera e il presidente del Consiglio è solo un primus inter pares. Il che vuol dire che se hai il carisma di un Craxi o di un Berlusconi puoi restare in sella a lungo; in caso contrario rischi di saltare per un qualsiasi capriccio del più anonimo dei parlamentari.
La riforma elettorale? Non serve a un tubo e lascerà tutto com'è. Cambierà solo il fatto che metteremo una croce sul bel faccione di un parlamentare, ma il premier che sceglieremo continuerà ad avere la stessa durata che ha un'insalata fuori dal frigo. Poi magari arriverà il Berlusconi di turno (o chi per lui) che se la prenderà con i soliti "lacci e lacciuoli" che gli impediscono di governare e che per questo motivo "il centrodestra intende fare la riforma istituzionale". Già, il centrodestra, quello che doveva abbassare le tasse.  

        

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