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Castigat ridendo mores

Spread, debito “pubblico”, conseguenze per la gente comune: spiegazione semplice alla portata di tutti (da leggere e conservare)

Di seguito, ecco una descrizione facile fatta nella maniera più sintetica possibile per chi fatica a capire cosa succede con le fluttuazioni del cosiddetto “spread” e quali sono le ricadute sulla nostra economia.

Dunque, lo Stato fa la sua spesa mettendo così in circolo il denaro, poi ha la facoltà di ritirare in tasse meno di quanto ha speso, di conseguenza registra un disavanzo. A quel punto emette sui mercati finanziari (le borse) dei titoli simili alle azioni delle aziende private. Un cittadino o una banca o un fondo d’investimento acquistano il titolo di Stato (ce ne sono diversi: Btp, Bot, Cct, ognuno con scadenza e condizioni differenti) investendo la cifra che desidera. Lo Stato incassa quella cifra e alla scadenza di quel titolo (dopo un anno, cinque anni, dieci anni etc.) ridarà al cittadino la stessa cifra che questi aveva investito, con l’aggiunta degli interessi (rendimento).

Naturalmente chi investe punta ad acquistare titoli con un rendimento maggiore; per lo stesso meccanismo lo Stato punta ovviamente a vendere con rendimenti più bassi. Questi titoli vengono venduti in aste che si svolgono nel corso dell’anno. Lo Stato mette in vendita dei titoli proponendo un determinato rendimento. Se i titoli vengono venduti vuol dire che per i mercati quei rendimenti sono soddisfacenti, ma se invece gli investitori non comprano perché magari vorrebbero rendimenti più alti, lo Stato fa una seconda asta (“mercato secondario”), e se anche in questo caso i titoli o una certa quantità di essi rimangono invenduti interviene la banca dello Stato (la banca centrale) che emette nuova moneta (volgarmente, come si diceva una volta, “stampa moneta”) e li acquista allo stesso interesse-rendimento con cui erano stati messi in vendita. In questo modo, in pratica, da un lato lo Stato “monetizza il debito”, cioè è come se stampasse moneta per coprire il proprio disavanzo; dall’altro manda un segnale agli investitori i quali vengono così indotti ad accettare i rendimenti proposti dallo Stato.

Morale della favola. Uno Stato che ha una banca centrale che emette la moneta dello Stato: a) non può mai essere esposto a speculazioni; b) non può mai fallire, cioè non può mai succedere che non sia in grado di ripagare coloro che hanno comprato i titoli. Diversamente, uno Stato dell’Eurozona – dove i governi usano per la spesa una moneta emessa dalla Banca centrale europea, la quale la immette nei mercati finanziari, e poi da questi gli Stati la prendono in prestito – si trova invece disarmato di fronte alla speculazione perché, come si dice in gergo, non ha “ability to pay”, vale a dire che non ha una banca centrale che abbia il potere di emettere moneta per comprare i titoli di Stato se all’asta questi rimangono invenduti.

A essere precisi questa possibilità rientra tra le prerogative della Banca centrale europea, ma questa raramente ricorre a tale strumento per ragioni legate agli equilibri tra i paesi membri, tant’è vero che non ne ha fatto uso nemmeno in casi eccezionalmente gravi come quello della Grecia o quello dell’Italia nel 2011.

In definitiva è facile capire che le manovre speculative e il conseguente gioco al rialzo sugli interessi (da cui dipende lo “spread”, ovvero la differenza con i rendimenti dei titoli tedeschi, individuati convenzionalmente come riferimento europeo) possono essere indirizzati per imporre una determinata agenda politica allo Stato che si trova in questa condizione.

PS Lo so, sono dinamiche che fanno venire il vomito, tanto sono sporche, anche perché spesso le cifre così rubate agli Stati sono di dimensioni tali da far letteralmente impallidire quelle rubate da mafie, evasori fiscali, politici corrotti e rubagalline vari. Se la stampa svolgesse la funzione per la quale è nata, il cittadino verrebbe a conoscenza di tutto ciò e (forse) agirebbe di conseguenza. Poiché però il 99% degli organi di informazione è un semplice megafono del potere, al cittadino vengono rifilate rappresentazioni totalmente false. Tuttavia faccio fatica a credere che la gente si lasci di nuovo infinocchiare nella stessa identica maniera del 2011. In questi anni alcuni giornalisti ed economisti hanno fatto un grande sforzo di divulgazione su queste dinamiche finanziarie. È vero che si tratta di figure isolate che hanno scarsa visibilità, però qualcosa è trapelato e molti elettori non sono così ignoranti sulla materia come lo erano nel 2011. Mi pare perciò impossibile che i partiti (per quanto ricattati dagli speculatori e dai loro mandanti) possano dare ai cittadini una fregatura nello stesso modo sfacciato di sei anni fa, così come mi riesce difficile credere che i cittadini si lascino turlupinare di nuovo senza reagire.

Ufficiale: la tv è ancora il mezzo che incide di più sul consenso. Il malessere degli italiani è spontaneo e non web-guidato

Il rapporto Agcom conferma che la televisione resta il media più importante, e per molti cittadini l'unico. Ma il fatto che in tv il sostegno a Lega e 5 Stelle sia pari a zero dovrebbe far riflettere.


L'idea che il consenso (finora mal riposto) di cui beneficiano gli attuali partiti di governo sia frutto di una propaganda ingannevole fatta su internet e sui social network da queste forze politiche e dai loro sostenitori, non regge di fronte al verdetto dei fatti. Secondo l'ultimo rapporto pubblicato alcuni mesi fa da Agcom (qui il documento integralela televisione si conferma ancora il mezzo con la maggiore valenza informativa, sia per frequenza di accesso anche a scopo informativo (90,3%), sia per importanza e attendibilità percepite. 

Pertanto, pur vedendo il suo primato sempre più minacciato da internet - come la citata relazione rivela -  è inevitabile che la tv sia da considerare ancora oggi il principale strumento attraverso cui passa il consenso politico. Il che offre degli spunti di riflessione importanti a proposito delle cause che hanno spinto la maggioranza degli italiani a bocciare i partiti moderati e filo-establishment. 

In effetti non risulta che sui principali network televisivi ci fosse un clima di particolare ostilità verso il precedente governo (tipo quello, per intenderci, che si trovava su internet), così come oggi la maggioranza delle trasmissioni televisive non è caratterizzata da una tendenza a difendere l'attuale governo, semmai il contrario. Di fatto, l'unico talk che prima delle elezioni alimentava un clima di ostilità verso il governo a guida Pd era quello di Del Debbio e Belpietro su Rete 4, emittente di una discreta importanza ma non tale da poter fare da traino a un malcontento così radicato come quello emerso dalle urne. Va ricordato inoltre che, da quando Berlusconi è passato all'opposizione rispetto alla maggioranza giallo-verde, questa trasmissione ha ribaltato completamente la propria linea editoriale, dando vita a una campagna antigovernativa organica e costante. 

In linea di massima, si può dire che in tv c'è sempre stata, soprattutto durante la campagna elettorale, una certa tendenza a sminuire i problemi percepiti dalla popolazione, e talvolta persino a negarne l'esistenza. Ciò vuol dire che il voto del 4 marzo, nonché il consenso verso gli attuali partiti di governo è maturato NONOSTANTE, e sottolineo NONOSTANTE, la tendenza prevalente del principale mezzo (la tv) a minimizzare i problemi anziché a enfatizzarli, senza dimenticare il tentativo di alcuni network (non solo Mediaset) di tirare addirittura la volata a Berlusconi nella speranza di un governo di larghe intese Pd-Fi. 

In definitiva, la manipolazione di "webeti" attraverso fake news o propaganda subdola che si rivolge alla "pancia" dei cittadini è molto meno massiccia di quanto si pensi e pertanto ha un peso assai relativo. Si è verificato anzi un fenomeno nuovo, ovvero persone che per la prima volta hanno votato in controtendenza rispetto al messaggio veicolato dal primo mezzo di informazione, che è ancora la tv. A testimonianza del fatto che il malessere era così profondo da essere piú forte dei messaggi provenienti da quello che, soprattutto da parte di milioni di ultrasessantenni, è l'unico media utilizzato.

Non a caso un altro fenomeno sorprendente e sempre piú diffuso è l'atteggiamento critico verso i grandi media, percepiti come incapaci di raccontare la realtà, tanto che sempre piú spesso la gente vota anche "contro" di loro; un fatto, questo, a dir poco inusuale nell'era delle comunicazioni di massa. Ad ogni modo, che la manipolazione del web esista o meno (ci vorrebbe un adeguato approfondimento al riguardo), i dati e i fatti dimostrano che al momento influisce poco sull'esito delle elezioni. A incidere sono invece i problemi che il cittadino avverte nella vita di tutti i giorni. In questo quadro, le forze politiche che maggiormente sono state punite da questo cambiamento continuano a nascondere la testa sotto la sabbia, e anziché cercare di dare delle risposte al malcontento, ne attribuiscono la provenienza a una presunta inclinazione del cittadino medio a farsi circuire. Non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire.

Il dramma degli ex opinion leader: con la rete hanno perso il monopolio e ora si scoprono nemici del libero dibattito

Il pluralismo di internet non va proprio giù a quegli intellettuali che solo grazie all'appartenenza politica hanno dominato la scena per decenni.


La premessa è che un autentico uomo o donna di cultura può anche avere delle simpatie o delle tendenze politiche, ma non può essere tifoso di un partito, altrimenti, molto semplicemente, non è credibile.
 
Per decenni questa tipologia di intellettuali, o presunti tali, ha occupato capillarmente tutti i centri di produzione culturale e di opinione, e in special modo televisione e principali organi di informazione. Questo fenomeno è avvenuto soprattutto in Italia ma anche in Francia e negli Stati Uniti. 


Sfruttando la visibilità così ottenuta, queste figure del mondo dello spettacolo, della letteratura, del giornalismo, si sono autoinvestite di un'autorevolezza da opinion leader che in realtà non hanno, perché alla fine l'unico loro merito è quello di fare il tifo per la parte politica giusta.

Ora però internet ha tolto a televisione e giornali cartacei il monopolio dell'informazione, mentre la natura stessa della rete - pur con tutti i suoi difetti, eccessi e persino pericoli - ha permesso la realizzazione di un vero pluralismo, facendo così emergere, da un lato, il livore di quegli intellettuali che hanno perso il dominio della scena, dall'altro lato, il paradosso di uomini e donne di cultura che avversano il libero pensiero anziché difenderlo.


Ora a questi ex opinion leader non resta che manifestare il proprio rancore e il proprio aristocratico disprezzo in quelle trasmissioni e su quei giornali che ancora danno loro visibilità, almeno finché lo share e i lettori non scenderanno sottozero. Dopodiché, se Dio vuole, potremo dire finalmente di esserci liberati dell'ossessionante presenza di questi presuntuosi Zucconi e di vivere in una società in cui esistono una libera dialettica e un libero dibattito.

Migranti? No, è il controllo dell'Africa la vera posta in gioco

Le recenti inchieste di Byoblu, Il Manifesto e Gli occhi della Guerra mostrano che sono le risorse dell'Africa nord-occidentale i veri obiettivi che la Francia vuole raggiungere usando le migrazioni umane come strumento per destabilizzare i rivali europei.


È una partita giocata sulla pelle dei profughi e dei migranti a vario titolo, in modo particolare quelli provenienti dal cuore dell'Africa guineiana e che, passando per il Niger e il deserto libico, arrivano sulle coste settentrionali del continente nero per tentare l'approdo in Europa. Una partita che la Francia cerca di vincere per ottenere in premio il rafforzamento del controllo delle risorse dell'Africa nord-occidentale, e nella quale i migranti sono l'arma per destabilizzare i rivali europei, prima fra tutti l'Italia, ed escluderli dalla spartizione. Tuttavia l'Italia non è così debole e isolata come potrebbe sembrare, soprattutto perché potrebbe aver trovato un nuovo, potente alleato. Ma andiamo con ordine.

Iniziamo dal Niger. In una recente inchiesta, il blog Byoblu ricorda che il paese "è un crocevia di migrazioni e una zona calda tra missioni militari inglesi, francesi e italiane. È il paese più povero del mondo, al 188mo posto nell’Indice dello Sviluppo Umano, e si contende il triste primato con la Repubblica Centrafricana. Ma a essere povera - viene fatto notare - è solo la popolazione, perché il Niger è il quarto produttore di uranio del mondo: il prezioso minerale è estratto da società straniere tra le quali la fa da padrone la Areva, leader mondiale del nucleare e controllata dallo Stato francese. L’industria dell’uranio ha pesanti ricadute ambientali, e condiziona interamente la politica e la vita del Niger. Basti pensare - continuano gli autori - che i giornali denunciano versamenti occulti al governo di centinaia di milioni di euro su conti correnti di Dubai, mentre nel paese dell’uranio l’80 per cento della popolazione non ha neppure la corrente elettrica".

 Ma arriviamo al punto. Gli Occhi della Guerra (il blog de Il Giornale che approfondisce temi relativi agli scenari extraeuropei) ci fa sapere - citando a sua volta un articolo de Il Manifesto - che "Emmanuel Macron sta facendo di tutto per escludere l’Italia dalla missione militare nel Niger. È la Francia ad avere il controllo di quell’area del Sahel (fascia di territorio dell'Africa sub-sahariana che si estende tra Oceano Atlantico, deserto del Sahara e la savana del Sudan, all'interno della quale un gruppo di stati utilizza il Franco Cfa, una moneta il cui valore è ancorato all'euro e che la Francia usa per controllare questi paesi, nda),
e non vuole nessuno che possa in qualche modo ostacolare i suoi interessi, presenti dai tempi dell’Impero coloniale e mai rimossi con il passere dei decenni."

"Se la Francia ha migliaia di uomini nei Paesi da cui partono queste rotte della morte - continua l'autore Lorenzo Vita - è chiaro che il problema diventi sì dell’Europa, ma dell’Europa in Africa. Non si tratta più di rapportarsi fra Ue e Nordafrica, ma di capire in quale modo e in quale entità le potenze europee incidano sulla nascita e sul controllo di questo fenomeno migratorio. Con 7mila uomini schierati nel continente africano - aggiunge - la Francia non riesce a monitorare le carovane di migranti che solcano il Niger, la Mauritania, il Ciad, il Mali. Oppure, semplicemente, non è nel suo interesse."
In questo quadro le rotte migratorie diventano uno strumento politico. L'obiettivo è "escludere l'Italia dal Niger (...) e lasciarla sola a gestire il flusso proveniente dalla Libia affinché questo problema penda come una spada di Damocle sul governo italiano".

L'Italia, quindi, sarebbe ancora una volta la vittima ignara delle manovre francesi nel continente africano?

Apparentemente sì, ma anche il nostro governo potrebbe avere delle carte in mano, soprattutto grazie al prezioso aiuto degli Usa e alle strategie di Trump, il quale, secondo il sito Geopolitical Center, "ha spedito un pizzino a Macron: gli Stati Uniti starebbero infatti valutando un appoggio operativo e politico alla futura missione italiana in Niger, che servirà a controllare i flussi migratori ma che andrà anche a pestare i piedi nel cortile di casa francese. Insomma - concludono gli autori - nessuno osa dirlo ma pare proprio che l’Italia sia tutt’altro che isolata, e possa vantare invece nuovi amici che promettono interessanti sviluppi".

Da questo quadro emerge chiaramente che dietro al fenomeno dell'immigrazione si muovono enormi interessi economici e complesse strategie geopolitiche che fanno anche balenare il sospetto che i movimenti migratori verso la Libia vengano in qualche modo incoraggiati, in modo particolare dalla Francia. Del resto, come osserva il fondatore di Byoblu, Claudio Messora, "questa è l'Africa occidentale, e questo è ancora l’approccio di certi occidentali all’Africa: sfruttamento e corruzione. Quando si parlerà invece - si chiede il blogger - di sviluppo autonomo del continente?".

"Poiché il popolo non è d'accordo, bisogna nominare un nuovo popolo"

Bagnai: "Una banale riflessione: nel fluire torrenziale del 'progresso', chi guida contromano? Volendo dare alla 'sinistrità' una connotazione positiva, chi è di destra: gli operai o il PD?"

Da un articolo dell'economista Alberto Bagnai pubblicato sul blog Goofynomics.

Circola su Internet questo commento di una gentile utente social (nella foto).
Non so se sia vero, ma senz'altro è verosimile. Come qualcuno ha notato su Twitter, la filosofia politica che permea queste affermazioni è del tutto analoga all'allucinato delirio del simpatico giornalista tedesco il quale, in un altro tweet che abbiamo commentato qui, sosteneva che Francia e Italia cattive avevano complottato svalutando ai danni della Germania, quando l'evidenza dei dati mostra come dal dopoguerra in poi in effetti sia stata la Germania a rivalutare la propria valuta verso praticamente tutte le altre valute, con la sola eccezione di quella di un paradiso fiscale (il franco svizzero), e di quella di un paese costretto dagli Stati Uniti a rivalutare tramite una convincente moral suasion (il Giappone).

Certo, per capire questo bisogna intanto conoscere i dati, che di per sé parlano, e poi disintossicarsi dal ciarpame liberista che ci ha infettato, la cui cifra distintiva è il considerare la moneta come una merce il cui valore deriva dalla scarsità, anziché come una istituzione il cui valore deriva dai rapporti sociali. Nonostante quanto stiamo vedendo coi nostri occhi smentisca le analisi sempliciotte degli spaghetti-liberisti (andiamo gagliardamente verso i 3000 miliardi di euro immessi dalla Bce, e l'obiettivo del 2% di inflazione è ancora lontano), media e politici (a ricasco dei media) sono obnubilati da teorie ridicole e false, e si regolano di conseguenza. Il fatto che l'apprezzamento della valuta tedesca verso tutte le altre rifletta le peculiari istituzioni tedesche (fra cui la Mitbestimmung, cioè, sintetizzando brutalmente, il corrompere i sindacati perché facciano gli interessi dell'impresa) non gli passa nemmeno per la testa: eppure, i titoli dei giornali sono lì, e chiariscono che la valuta tedesca è forte perché il capitalismo tedesco non condivide con i lavoratori tedeschi i frutti di un successo ottenuto con una formula semplice ed efficace, il classico segreto di Pulcinella: pagare i lavoratori in modo meno che proporzionale alla loro produttività (la Mitbestimmung a questo serve), come qui chiarimmo tanto tempo addietro, e come oggi ammettono anche i migliori economisti tedeschi.

Quindi basta analizzare la realtà, le istituzioni prevalenti nei singoli paesi, gli andamenti dei dati, per capire che non è tutto il mondo a svalutare: è la Germania a guidare contromano, perché ha deciso di adottare un patto sociale che, finché tiene, le garantisce un vantaggio competitivo. Terrà a lungo? Chissà. In ogni caso, questo patto è equivalente a una svalutazione competitiva, e gli Stati Uniti mostrano insofferenza. Ma non torno qui su questo punto.

Torno invece al commento della cara Silvia (e come poteva chiamarsi la gentile commentatrice, in un post che inizia con un mesto ricordo leopardiano?). Le parole di Silvia ci rimembrano quelle attribuite a Bertold Brecht: "Il comitato centrale ha deciso: poiché il popolo non è d'accordo, bisogna nominare un nuovo popolo". Se gli operai non votano PD, bisogna nominare un altro popolo della sinistra. Ma anche qui, forse, bisognerebbe fermarsi e fare una banale riflessione: nel fluire torrenziale del "progresso", chi guida contromano? Chi è il salmone nel torrente della storia? In altre parole, volendo dare alla "sinistrità" una connotazione positiva, chi è di destra: gli operai, o il PD?

Esattamente come nel caso della Germania e della sua peculiare gestione dei rapporti sociali, anche qui dovremmo andare ad analizzare la sostanza delle cose. Il PD è stato esecutore per conto terzi di un programma di riforme sociali pesantemente orientato contro gli interessi dei lavoratori, che ora finge di volersi rimangiare, ma rispetto al quale, come sappiamo, non può tornare indietro, semplicemente perché la logica dell'unione monetaria, chiarita da Rudiger Dornbusch (MIT) 21 anni or sono, glielo impedisce. In assenza di svalutazione esterna, alle recessioni mondiali bisogna rispondere con la svalutazione interna, cioè coi tagli dei salari, e affinché ciò avvenga rapidamente occorre mettere in ginocchio i lavoratori.

Questo approccio a me sembra di "destra" (per rifarci alle categorie un po' primitive della nostra nuova amica), e quindi, secondo me, è il PD a nuotare contromano nel torrente del progresso. Il salmone è lui, e, come i suoi congeneri, rischia di incontrare un orso, l'orso dei mercati, che alla prossima crisi farà del nostro simpatico amico d'acqua dolce un solo boccone, come tanti documentari ci hanno insegnato.

Le parole allucinate della nostra Silvia, molto lieta e poco pensosa, cui ovviamente auguro lunga vita, mi spingono a una riflessione più generale, che traggo dalla lettura de Le complexe d'Orphée di Jean-Claude Michéa, e che condivido rapidamente con voi, prima di andare, come ognuno di noi, incontro al mio destino. In un mondo in cui i rapporti di forza sono totalmente squilibrati a vantaggio di un capitalismo finanziario del quale tutti, a chiacchiere, riconoscono l'instabilità e l'irrazionalità (vi ricordo un critico particolarmente autorevole); in un sistema che in tutta evidenza fa dello sradicamento degli individui e della distruzione delle istituzioni (da quelle create nel secondo dopoguerra, come lo stato sociale, a quelle di tradizione più antica, come la famiglia) uno strumento di dominio delle masse, di rimozione della loro identità e quindi di una sia pur minima possibilità di autocoscienza e di tutela dei propri interessi, vendendoci questa nostra sconfitta come un elemento di progresso; in un mondo, in estrema sintesi, che moltiplica i diritti civili da barattarci in cambio dei nostri diritti sociali e politici, in nome di una ipocrita liturgia del "progresso"; in questo mondo credo che esista un unico modo di schierarsi a difesa di quella che Orwell chiamava la common decency, e la nostra Costituzione chiama "un'esistenza libera e dignitosa": essere conservatore.

Anche qui, assistiamo a un film già visto. Come spiega Michéa, e come Marx sapeva, il "progresso" realizzato tramite le enclosures (naturalmente, in nome dell'aumento della produttività: un totem che veneriamo da sempre, a dimostrazione che di nuovo non c'è nulla), sradicò, sottoproletarizzò, migliaia di inglesi, che privi della tradizionali fonti di sussistenza garantite loro dal retrivo diritto feudale affuirono verso i centri urbani, dove divennero, nel corso degli anni, la carne da macello della rivoluzione industriale. Ovviamente non sto difendendo il mondo feudale. Mi è chiaro il progresso che la rivoluzione industriale ha recato (se pure al costo di compromettere gli equilibri ecologici): siamo passati da un mondo in cui mangiare e vestirsi non erano cosa scontata (Carlo Cipolla lo descrive molto bene) a un mondo in cui questi e altri problemi, sia pure con enormi disparità geografiche, sono risolti, o almeno sarebbero risolvibili. Ecco: sarebbero risolvibili, se si capisse che certi processi non sono meramente tecnici, ma intrinsecamente politici, e come tali vanno compresi e gestiti. Vale per il progresso tecnologico, e vale per l'immigrazione. Non gestirle espone al rischio di reazioni irrazionali (luddismo, razzismo), nonché al rischio di tornare a un mondo in cui mangiare e vestirsi non siano cosa scontata (come già oggi non lo è il curarsi).



Ed è proprio questo il punto che il commento di Silvia, tanto dolorosamente quanto involontariamente, sottopone alla nostra attenzione. I contadini costretti dalle enclosures alla mendicità e all'esodo rurale erano una manodopera non solo a buon mercato, ma soprattutto (nota Michéa) culturalmente sradicata e quindi molto più facilmente manipolabile. E per capire cosa si intenda per manipolabile, basta rileggere l'assurdo commento della nostra Silvia (sia essa vera, o solo verosimile), che, in cuor suo, pur di non riflettere sulle dinamiche politiche in atto, ha già nominato un nuovo popolo, i nuovi ultimi, cui lei vuole dedicarsi, liquidando come "fascisti" quei penultimi la cui miseria, più prossima e quindi più visibile, si erge a monito verso questo suo afflato da crocerossina di buona famiglia.

Su queste premesse, costruire una visione alternativa del mondo sarà molto, molto complesso.

Non c'è niente di nuovo: è tutto scritto in Michéa, compreso il fatto che esistono fasi storiche in cui, per difendere gli ideali "di sinistra", occorre prima distruggere la sinistra. 
Amen. 

Alberto Bagnai, "Sul conservatorismo", goofynomics.blogspot.it

Bitcoin: ne sentite parlare in tv, ma sapete esattamente cos'è? Barnard spiega qui cosa ci sta piovendo addosso

"Non sono le teorie di un matto del web, ma una tecnologia, delle valute e un futuro dei pagamenti che è a 5 minuti dalla nostra vita. È la fine del sistema bancario e monetario così come lo abbiamo sempre conosciuto."


"Un giorno un anonimo con un nome fittizio giapponese si inventò una moneta elettronica globale chiamata Bitcoin che poteva essere scambiata senza passare da Stati, Tesoro e Banche Centrali, quindi senza controlli delle Autorità. Fino a pochi anni fa i Bitcoin erano la moneta sfigata dei narcos colombiani, o di altri ceffi che vendevano esplosivi ad Al-Nusra o ai Sauditi, o di altri pochi rari investitori e micro commercianti. Ma poi questa moneta elettronica ha cominciato ad attirare anche i Big della finanza. Perché?
La risposta sta non tanto nel volume d’affari del Bitcoin che era patetico, né nel Bitcoin in sé, quanto nel SISTEMA DI CIRCOLAZIONE E REGISTRAZIONE dei pagamenti che sosteneva il Bitcoin: il BLOCKCHAIN. Tra qualche anno tutto quello che voi spenderete, dal gelato all’auto nuova al capannone per l’azienda, sarà regolato dalla BLOCKCHAIN, e questo se da una piccola parte vi darà dei vantaggi, dall’altra sarà la più massiva e storica inculata monetaria e poi sociale dai tempi dei Babilonesi. E sta già arrivando.
La Blockchain è una tecnologia, prima di tutto. Un sistema DISTRIBUITO GLOBALMENTE di registrazioni di pagamenti disponibile in teoria alla visione di chiunque. Il fatto cruciale è che questo sistema di pagamenti, al contrario dell’euro, dollaro, yen, renminbi, corona, pesos ecc. non passa da un’autorità centrale come sarebbero le Banche Centrali delle valute, ma passa da un network di computer sparsi ovunque.
(...) La Blockchain è un prodigio d’informatica fatto di sole 200 linee di codici. Tutto qui. Ci si scambia valore elettronico registrato alla visione di tutti (in teoria) in pc visibili da tutti (in teoria) e quindi... chi ha più bisogno delle banche? Vi rendete conto che la Blockchain ha il potere di spazzare via 500 anni di storia delle banche e il loro business da multi migliaia di miliardi (di furti)? Ripeto: con la Blockchain il computer che registra l’acquisto della tua casa non starebbe più in Banca d'Italia, Unicredit o BNL, eh no! Sta in un qualsiasi buco del mondo.
Ovviamente mentre Blockchain, Bitcoin o Ethereum venivano sviluppati, non è che nelle Banche Centrali stavano a dormire. Questi hanno capito che da lì a poco si prendevano un pilone autostradale in quel posto e andavano a ramengo per sempre, e quindi si sono attrezzati anche loro a correre la gara della Blockchain.
(...) Questo futuro era nato dall'iniziativa di un 'anarchico', ma gli Stati e le
Banche Centrali non sono stati a dormire, e ora se lo pappano, e ci schiaffano sopra i regolamentatori e soprattutto il GRANDE FRATELLO DI TUTTI I GRANDI FRATELLI, quello che sa come hai speso 50 cent, o se hai passato la paghetta a tuo figlio, o se compri Viagra, o se bevi troppo, o che libri leggi, o se vai a puttane, o se sei in psicoterapia, o se non consumi certi prodotti, che malattie hai, su quali farmaci ti appoggi… ecc. La tua privacy di consumatore è polverizzata.
Il Blockchain rende poi possibile una tassazione spietata poiché lo Stato ha traccia di ogni centesimo che hai speso dando via libera a prelievi immensamente più vessatori degli studi di settore e dell’accertamento presuntivo. Così di nuovo la moneta sarà preda della dittatura dei Banchieri Centrali divenuti Banchieri Blockchain Centrali."

Quanto scritto sopra è un estratto di un articolo ("Macron, Le Pen per i polli. Blockchain, Ethereum per gli altri") pubblicato da Paolo Barnard sul proprio sito, www.paolobarnard.it

A sinistra radical chic, a destra radical "scioc". E il potere fa quello che vuole

L'elettore di sinistra, presso atto del fallimento dei grandi ideali del passato, si appassiona a cause estranee alle esigenze delle masse. A destra infuria una rabbia cieca contro ladri di polli e immigrati. Così i responsabili veri agiscono indisturbati.


Guardo con un misto di preoccupazione e compassione a quelli di sinistra, e sono tanti, che avendo visto fallire miseramente i grandi impianti ideologici (il comunismo prima e l'europeismo poi) in cui avevano creduto a suo tempo, concentrano tutto il loro interesse su obiettivi rispettabilissimi ma di importanza del tutto secondaria.

Capisco che un idealista per qualcosa deve pur combattere e che le battaglie per gli immigrati, per gli omosessuali, contro i fascisti (?), per la cultura "gender" siano anche appassionanti (per quanto discutibili), ma il problema è: alle cose serie quando pensiamo? Le grandi battaglie di una volta per i diritti sociali, per un'economia a misura d'uomo, dove sono finite? Guardate che chi non è affrancato dal bisogno non avrà mai la forza, il tempo, lo spirito per lottare per i diritti civili, questa è una legge immortale.

Riflettendoci bene, non posso non notare che in nove casi su dieci coloro che si infervorano esclusivamente per gay e presepi nelle scuole sono persone che il problema del pane l'hanno risolto in maniera più o meno definitiva, quindi giustamente i crimini sociali li possono ignorare bellamente (fatta eccezione per quelli che coinvolgono gli immigrati, a cui però guardano sempre in chiave idealista e astratta, quasi mai in termini di conseguenze socio-economiche concrete).


Resto ogni giorno più sconcertato nel vedervi e nel sentirvi, cari amici di sinistra. Mi sento sempre più isolato, anche perché dall'altra parte abbiamo i "Rete 4 fan" e gli ossessionati della Casta, ovvero quei connazionali che scatenano la loro rabbia cieca contro obiettivi di comodo, incapaci di individuare i responsabili veri del declino economico, i quali perciò continuano ad agire indisturbati. 


Il punto è che ormai la protesta è diventata monopolio della destra, che però la porta avanti in modo sconclusionato. Dall'altra parte abbiamo una sinistra che si è trasformata in qualcosa di irriconoscibile, incapace di dar vita a un impianto con cui individuare cause e soluzioni dei problemi veri. Una sinistra che non è più sinistra, perché troppo impegnata a inseguire obiettivi astrusi. Non a caso la sinistra estrema extraparlamentare porta avanti battaglie ben diverse, molto più simili a quelle della destra cosiddetta "populista" che a quelle della sinistra chic, e lo fa anche con una struttura ideologica coerente, ma le mancano numeri e visibilità mediatica. Parliamo di qualcosa che non attira più i benestanti della sinistra chic, e nello stesso tempo non riesce ancora ad attirare il dissenso oggi monopolizzato dalla destra "scioc".  

L'aumento dell'Iva in Gazzetta Ufficiale nel silenzio generale

Dal prossimo gennaio ci sarà un nuovo rialzo di quella che è in assoluto la tassa più distruttiva per l'economia. Una mazzata micidiale, eppure se ne parla molto poco: perché?


Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del 24 aprile (qui potete trovare il decreto legge completo) è arrivata la conferma circa il nuovo, assurdo aumento dell'Iva a partire dal prossimo anno.
Su questo blog mi sono espresso già in diverse occasioni sui danni ingentissimi che provoca all'economia un'imposta che colpisce allo stesso tempo produttori, venditori e consumatori. Più delle tasse sulla casa, sui redditi o sugli apparecchi televisivi (giusto per citare alcuni dei prelievi più odiati) l'unica tassa che andrebbe significativamente ridotta o addirittura abolita è proprio l'Iva. E invece il nostro governo, seguendo una tendenza assai discutibile ma molto in voga nell'Ue, continua ad alzarla fino a farle raggiungere, a partire dal 2021, l'agghiacciante percentuale del 25 per cento, il tutto allo scopo, come al solito, di obbedire ai diktat di Bruxelles.
"Per quella agevolata del 10% - riferisce il Sole 24 ore del 25 aprile - l’incremento 2018 viene limitato all’11,5% invece di puntare al 13%, mentre per l’aliquota ordinaria del 22% la storia è più complessa: manovrina alla mano, dovrebbe passare al 25% nel 2018, al 25,4% nel 2019 per poi scendere al 24,9% nel 2020 e trovare pace al 25% dal 2021. A completare il quadro c’è lo slittamento al 2019 del ritocco delle accise sui carburanti, altro capitolo delle clausole."
Questo in soldoni è quanto accadrà tra otto mesi. Ora qui vorrei soffermarmi però su un aspetto piuttosto inquietante della vicenda, ovvero il fatto che la stampa, i sindacati e persino le opposizioni non hanno dato grande risalto a questa ulteriore, micidiale mazzata per la nostra economia. Lo stesso Sole 24 ore ne scrive quasi con "pudore" e senza i consueti approfondimenti, quasi fosse un ordinario fatto di cronaca. Pertanto, dopo aver riflettuto attentamente su questa situazione quasi surreale, sono giunto alle seguenti conclusioni.


1) Esiste una stampa - ma anche una parte del sindacato e alcune forze politiche che fingono di fare opposizione - completamente asserviti al governo pro-Ue e pro-finanza del Pd. In particolare, una parte maggioritaria e influente dell'informazione utilizza espedienti sempre più sofisticati per far giungere all'opinione pubblica alcune notizie in un certo modo o per non farle arrivare affatto. Per rendersene conto basta guardare, a posteriori, la differenza tra la realtà e il modo in cui la notizia in precedenza è stata diffusa.
2) Esiste una stampa di secondo piano, ma anche delle forze di opposizione, che semplicemente non approfondiscono le notizie divulgate dai canali ufficiali ma si limitano a leggere e pubblicare i comunicati così come sono. Lo so che ciò può sembrare incredibile, ma è esattamente quanto avviene in alcune redazioni ed è esattamente quanto fanno anche alcuni politici, a volte per faciloneria, altre per quieto vivere.
3) Il principale partito di opposizione in Italia, il Movimento Cinque Stelle, è favorevole all'aumento dell'Iva affinché si riduca il prelievo sui redditi (che al momento però rimane sostanzialmente inalterato), nella convinzione che spostare la tassazione dai redditi ai consumi aiuti l'economia. E' in pratica la stessa idea propugnata dal sistema bancario (chiedetevi perché) e dall'Unione europea (chiedetevi perché), il che la dice lunga, una volta di più, sui Cinque Stelle e sul loro essere allineati perfettamente al sistema sulle questioni cruciali.
4) Tutti gli esponenti più in vista del governo mostrano una spudoratezza sorprendente nel mentire ai cittadini, confortati in questo dall'appoggio dei più importanti organi di informazione. Ciò dimostra che oggi un capillare controllo dell'informazione, associato a una notevole capacità comunicativa che certamente non esclude la possibilità di affermare il falso o di travisare la realtà (geniale a tal proposito il sarcasmo di un articolo trovato sul web: "Buone notizie all'italiana: l'Iva diminuisce. Aumentando meno del previsto"), questo combinato, dicevo, può produrre una manipolazione orwelliana dell'opinione pubblica, a dispetto delle ridicole preoccupazioni della Boldrini sugli altrettanto ridicoli link-bufala che circolano sui social network. Sorge quasi il sospetto che la polemica sui fake di Facebook sia utilizzata come specchietto per le allodole per i fessi, allo scopo di coprire le bufale vere, quelle realmente pericolose diffuse in maniera sempre più scientifica dagli amici del presidente della Camera.

Per occultare l'aumento di una tassa come l'Iva bisogna avere una faccia di bronzo. Ovviamente è facile intuire che l'obiettivo del governo è rimandare l'innalzamento delle aliquote al dopo elezioni, che a questo punto potrebbero essere anticipate a novembre.
Quello che è sicuro è che gli italiani da gennaio avranno un grosso problema. I nuovi vincoli di bilancio europei (li rispettano solo Germania e Italia, ok, ma questo è un altro discorso) prevedono una riduzione del rapporto deficit-pil dall'attuale 2,7% all'1,5. Se per rispettare il vincolo criminale del 2,7 i governi italiani hanno dovuto prendere d'assalto la ricchezza del paese con misure devastanti, potete immaginare quali effetti avrà il perseguimento dell'1,5.
Non a caso l'alternativa all'aumento dell'Iva sarebbe stato il reperimento di 14 miliardi, che naturalmente non si possono trovare tagliando i costi irrisori della politica e della burocrazia che tanto appassionano gli italiani (scemi), ma attraverso tagli ben più sanguinosi al welfare, per esempio con un inizio di privatizzazione della sanità (mediante assicurazioni private) che in ogni caso è solo rimandato. Per ora "accontentiamoci" dell'Iva alle stelle.

Esistenza Commerciale e Cultura della Visibilità: due armi letali che hanno invertito il senso di marcia della Storia

Le inventarono due americani, Walter Lippman ed Edward Berneys, che così hanno disabilitato la partecipazione democratica dei cittadini, intontendoli, drogandoli, eliminandoli dalla scena.


“Due americani, Walter Lippman ed Edward Berneys, s’inventarono l’arma letale, quella che in pochi anni avrebbe realmente disabilitato la partecipazione democratica dei cittadini, intontendoli, drogandoli, eliminandoli dalla scena. Eccovi sfornate l’Esistenza Commerciale e la Cultura della Visibilità massmediatica, che erano le due ammiraglie dell’industria della fabbricazione del consenso per cui i due statunitensi sono passati alla Storia. Come si vedrà più avanti, questi concetti furono poi ripresi e rilanciati con assoluto vigore da altri uomini, per approdare a ciò che chiunque di noi oggi ha davanti a sé: masse inerti di cittadini che a milioni e milioni agiscono come robot la cui unica aspirazione è acquistare oggetti e adorare i ricchi e i famosi, anche quando le loro condizioni di vita obiettive sono ormai al limite della schiavitù, incapaci di un guizzo di attivismo persino quando sono minacciati dalla malattia terminale o dalla distruzione delle sopravvivenza della specie.

Dell’Esistenza Commerciale e della Cultura della Visibilità massmediatica sottolineo solo alcuni cardini, mettendo però in rilievo il micidiale coordinamento con cui agiscono: la prima porta gli individui a impiegare una fetta sempre crescente del loro tempo per acquisire mezzi per acquisire beni che gli acquisiscano autostima. Il motivo per cui vi è questo opprimente bisogno di confermare l’autostima sta nella seconda, che fin dalla più tenera età insegna ai cittadini che per Essere si deve essere Visibili, cioè contare, cioè essere ‘qualcuno’. I Visibili possono, ottengono, sono amati da molti e rispettati, hanno personalità riconosciute, sono vincenti, gli è permesso tanto. I non visibili non sono, proprio non esistono, non contano, non hanno potere, di amore ne vedono pochissimo, sono indistinguibili, sono la ripugnante massa, essi pagano sempre tutto, non gli sono concesse scappatoie. E chi si sente la massa non si piace, poiché viene perennemente sospinto al paragone coi Visibili dal martellamento massmediatico. Questo gli distrugge l’autostima. Ma senza autostima un essere umano non respira, soffoca, farà di tutto per ottenerla, si sente cioè una nullità. Ed ecco che di nuovo torna in gioco l’Esistenza Commerciale, che sussurrerà all’orecchio degli invisibili che se si vestiranno in un certo modo, che con quell’auto, che frequentando quel locale o acquisendo oggetti a ripetizione, ma ancor più se riusciranno a far parlare di sé, essi si avvicineranno ai Vip, ai Visibili, e la loro autostima sarà risollevata dalla polvere della massa.

Non è necessario qui elencare i conseguenti comportamenti di milioni di esseri umani, che si perderanno nello sfoggio di un certo paio di occhiali o nella corsa al denaro, persino nell’uso della violenza demenziale (uomini) e nell’umiliazione del proprio genere (le donne) pur di apparire o di esser citati una volta nella vita in Tv. Prede cioè senza speranza della trappola sopra descritta. Si aggiunga poi che, nello sforzo economico per accedere alle simulazioni di visibilità, gli individui s’impegneranno in ogni sorta di trappola finanziaria che in un circolo vizioso li incatenerà al sistema che li vuole annientare.

In questo processo le persone smarriscono ogni indipendenza di pensiero e di comportamento terrorizzate di perdere quel fittizio treno dell’autostima, ma soprattutto la loro energia mentale e di vita sarà quasi o spesso interamente assorbita, cioè annullata, da quello sforzo. La fine dei cittadini partecipativi. Oggi, infatti, l’Italia che con mezzi di comunicazione rudimentali e governata da un monoblocco di potere ecclesiastico metastatizzato ovunque riuscì a ribaltare il proprio destino con divorzio e aborto, cioè l’Italia che partecipava, è un sogno talmente remoto che non è raro trovare giovani nati anni dopo che stentano a crederci. 

Oggi, nell’era dell’apatia istupidita di lavoratori e sindacati a fronte della precarizzazione del lavoro – attenzione: hanno precarizzato una condizione essenziale alla sopravvivenza dell’essere umano, esattamente come se ci avessero precarizzato i globuli bianchi, hanno cioè “reso plausibile l’inimmaginabile” – il fermento delle classi lavoratrici che permisero a Giacomo Brodolini e Gino Giugni di emanare in Italia il più avanzato Statuto dei Lavoratori di tutto l’Occidente (02/05/1970) sembra una fantasia. Oggi, a fronte dell’erosione degli stipendi reali in tutte le nazioni del G8 (negli USA ristagnano dal 1973 ininterrottamente)con picchi di povertà in crescita fino a oltre l’11% della popolazione, ben 12.000 miliardi di dollari sono stati regalati a una cricca di criminali bancari che ci ha appena rovinati (sono 800 finanziarie italiane messe assieme); ciò è accaduto senza che un singolo scontro fra cittadini e polizia avvenisse a Roma, New York o Berlino.

Questo siamo noi ora, noi “meddlesome outsiders”. In altre parole, il piano Lippmann e Berneys ha trionfato: siamo ai margini, inebetiti, ci hanno eliminati. Non so se i lettori si rendono conto della gravità di questo.”

Tratto da Il più grande crimine, di Paolo Barnard.

Vivendi-Mediaset è una questione esclusivamente politica

Pensare che dietro l'azione dei francesi ci sia solo una strategia aziendale è da ingenui. La posta in palio è molto più grossa: è il controllo (politico) dell'informazione. 


Sulla vicenda Vivendi-Mediaset ho un retropensiero. 
Sulla mia pagina facebook ho già lanciato più di una volta il sospetto che, durante la recente campagna referendaria, Berlusconi abbia in qualche modo aiutato Renzi attraverso le proprie televisioni, e in particolare Canale 5. Si sarebbe trattato di un favore necessario a chi oggi è al potere, un aiuto finalizzato a tutelare gli interessi delle proprie aziende, anche in considerazione del fatto che Forza Italia è ormai lontana dalle posizioni di comando.
Probabilmente c'era già il sentore che Vivendi potesse tentare una scalata con le modalità alquanto scorrette a cui abbiamo assistito. Non è un mistero che le multinazionali neomercantili francesi e tedesche vorrebbero ottenere attraverso il controllo dei contenuti mediatici ciò che faticano a ottenere tramite la politica (vedi fallimento del referendum, dimissioni del premier e costante crescita dei grillini), la qual cosa non dispiacerebbe neanche ai poteri forti nostrani filoeuropeisti.
Insomma, Berlusconi e Confalonieri, avendo fiutato che poteva accadere qualcosa (o addirittura in seguito a minacce vere e proprie) avrebbero messo la rete ammiraglia a sostegno del Sì, contando di utilizzare questo favore nel caso in cui, una volta finiti sotto attacco francese, sarebbe stato necessario chiedere l'aiuto del governo per respingerlo.

Al di là delle dichiarazioni di facciata, è evidente che Mediaset si ritrovi ora con le spalle al muro, costretta a chiedere l'intervento del governo (con tutto ciò che ne consegue) e probabilmente a rafforzare ulteriormente la propria linea editoriale filoeuropeista e filomondialista anche nelle altre reti rimaste finora su posizioni più di opposizione o, come amano dire il Vero Potere e i suoi accoliti, "populiste".