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Castigat ridendo mores

Spread, debito “pubblico”, conseguenze per la gente comune: spiegazione semplice alla portata di tutti (da leggere e conservare)

Di seguito, ecco una descrizione facile fatta nella maniera più sintetica possibile per chi fatica a capire cosa succede con le fluttuazioni del cosiddetto “spread” e quali sono le ricadute sulla nostra economia.

Dunque, lo Stato fa la sua spesa mettendo così in circolo il denaro, poi ha la facoltà di ritirare in tasse meno di quanto ha speso, di conseguenza registra un disavanzo. A quel punto emette sui mercati finanziari (le borse) dei titoli simili alle azioni delle aziende private. Un cittadino o una banca o un fondo d’investimento acquistano il titolo di Stato (ce ne sono diversi: Btp, Bot, Cct, ognuno con scadenza e condizioni differenti) investendo la cifra che desidera. Lo Stato incassa quella cifra e alla scadenza di quel titolo (dopo un anno, cinque anni, dieci anni etc.) ridarà al cittadino la stessa cifra che questi aveva investito, con l’aggiunta degli interessi (rendimento).

Naturalmente chi investe punta ad acquistare titoli con un rendimento maggiore; per lo stesso meccanismo lo Stato punta ovviamente a vendere con rendimenti più bassi. Questi titoli vengono venduti in aste che si svolgono nel corso dell’anno. Lo Stato mette in vendita dei titoli proponendo un determinato rendimento. Se i titoli vengono venduti vuol dire che per i mercati quei rendimenti sono soddisfacenti, ma se invece gli investitori non comprano perché magari vorrebbero rendimenti più alti, lo Stato fa una seconda asta (“mercato secondario”), e se anche in questo caso i titoli o una certa quantità di essi rimangono invenduti interviene la banca dello Stato (la banca centrale) che emette nuova moneta (volgarmente, come si diceva una volta, “stampa moneta”) e li acquista allo stesso interesse-rendimento con cui erano stati messi in vendita. In questo modo, in pratica, da un lato lo Stato “monetizza il debito”, cioè è come se stampasse moneta per coprire il proprio disavanzo; dall’altro manda un segnale agli investitori i quali vengono così indotti ad accettare i rendimenti proposti dallo Stato.

Morale della favola. Uno Stato che ha una banca centrale che emette la moneta dello Stato: a) non può mai essere esposto a speculazioni; b) non può mai fallire, cioè non può mai succedere che non sia in grado di ripagare coloro che hanno comprato i titoli. Diversamente, uno Stato dell’Eurozona – dove i governi usano per la spesa una moneta emessa dalla Banca centrale europea, la quale la immette nei mercati finanziari, e poi da questi gli Stati la prendono in prestito – si trova invece disarmato di fronte alla speculazione perché, come si dice in gergo, non ha “ability to pay”, vale a dire che non ha una banca centrale che abbia il potere di emettere moneta per comprare i titoli di Stato se all’asta questi rimangono invenduti.

A essere precisi questa possibilità rientra tra le prerogative della Banca centrale europea, ma questa raramente ricorre a tale strumento per ragioni legate agli equilibri tra i paesi membri, tant’è vero che non ne ha fatto uso nemmeno in casi eccezionalmente gravi come quello della Grecia o quello dell’Italia nel 2011.

In definitiva è facile capire che le manovre speculative e il conseguente gioco al rialzo sugli interessi (da cui dipende lo “spread”, ovvero la differenza con i rendimenti dei titoli tedeschi, individuati convenzionalmente come riferimento europeo) possono essere indirizzati per imporre una determinata agenda politica allo Stato che si trova in questa condizione.

PS Lo so, sono dinamiche che fanno venire il vomito, tanto sono sporche, anche perché spesso le cifre così rubate agli Stati sono di dimensioni tali da far letteralmente impallidire quelle rubate da mafie, evasori fiscali, politici corrotti e rubagalline vari. Se la stampa svolgesse la funzione per la quale è nata, il cittadino verrebbe a conoscenza di tutto ciò e (forse) agirebbe di conseguenza. Poiché però il 99% degli organi di informazione è un semplice megafono del potere, al cittadino vengono rifilate rappresentazioni totalmente false. Tuttavia faccio fatica a credere che la gente si lasci di nuovo infinocchiare nella stessa identica maniera del 2011. In questi anni alcuni giornalisti ed economisti hanno fatto un grande sforzo di divulgazione su queste dinamiche finanziarie. È vero che si tratta di figure isolate che hanno scarsa visibilità, però qualcosa è trapelato e molti elettori non sono così ignoranti sulla materia come lo erano nel 2011. Mi pare perciò impossibile che i partiti (per quanto ricattati dagli speculatori e dai loro mandanti) possano dare ai cittadini una fregatura nello stesso modo sfacciato di sei anni fa, così come mi riesce difficile credere che i cittadini si lascino turlupinare di nuovo senza reagire.

Ufficiale: la tv è ancora il mezzo che incide di più sul consenso. Il malessere degli italiani è spontaneo e non web-guidato

Il rapporto Agcom conferma che la televisione resta il media più importante, e per molti cittadini l'unico. Ma il fatto che in tv il sostegno a Lega e 5 Stelle sia pari a zero dovrebbe far riflettere.


L'idea che il consenso (finora mal riposto) di cui beneficiano gli attuali partiti di governo sia frutto di una propaganda ingannevole fatta su internet e sui social network da queste forze politiche e dai loro sostenitori, non regge di fronte al verdetto dei fatti. Secondo l'ultimo rapporto pubblicato alcuni mesi fa da Agcom (qui il documento integralela televisione si conferma ancora il mezzo con la maggiore valenza informativa, sia per frequenza di accesso anche a scopo informativo (90,3%), sia per importanza e attendibilità percepite. 

Pertanto, pur vedendo il suo primato sempre più minacciato da internet - come la citata relazione rivela -  è inevitabile che la tv sia da considerare ancora oggi il principale strumento attraverso cui passa il consenso politico. Il che offre degli spunti di riflessione importanti a proposito delle cause che hanno spinto la maggioranza degli italiani a bocciare i partiti moderati e filo-establishment. 

In effetti non risulta che sui principali network televisivi ci fosse un clima di particolare ostilità verso il precedente governo (tipo quello, per intenderci, che si trovava su internet), così come oggi la maggioranza delle trasmissioni televisive non è caratterizzata da una tendenza a difendere l'attuale governo, semmai il contrario. Di fatto, l'unico talk che prima delle elezioni alimentava un clima di ostilità verso il governo a guida Pd era quello di Del Debbio e Belpietro su Rete 4, emittente di una discreta importanza ma non tale da poter fare da traino a un malcontento così radicato come quello emerso dalle urne. Va ricordato inoltre che, da quando Berlusconi è passato all'opposizione rispetto alla maggioranza giallo-verde, questa trasmissione ha ribaltato completamente la propria linea editoriale, dando vita a una campagna antigovernativa organica e costante. 

In linea di massima, si può dire che in tv c'è sempre stata, soprattutto durante la campagna elettorale, una certa tendenza a sminuire i problemi percepiti dalla popolazione, e talvolta persino a negarne l'esistenza. Ciò vuol dire che il voto del 4 marzo, nonché il consenso verso gli attuali partiti di governo è maturato NONOSTANTE, e sottolineo NONOSTANTE, la tendenza prevalente del principale mezzo (la tv) a minimizzare i problemi anziché a enfatizzarli, senza dimenticare il tentativo di alcuni network (non solo Mediaset) di tirare addirittura la volata a Berlusconi nella speranza di un governo di larghe intese Pd-Fi. 

In definitiva, la manipolazione di "webeti" attraverso fake news o propaganda subdola che si rivolge alla "pancia" dei cittadini è molto meno massiccia di quanto si pensi e pertanto ha un peso assai relativo. Si è verificato anzi un fenomeno nuovo, ovvero persone che per la prima volta hanno votato in controtendenza rispetto al messaggio veicolato dal primo mezzo di informazione, che è ancora la tv. A testimonianza del fatto che il malessere era così profondo da essere piú forte dei messaggi provenienti da quello che, soprattutto da parte di milioni di ultrasessantenni, è l'unico media utilizzato.

Non a caso un altro fenomeno sorprendente e sempre piú diffuso è l'atteggiamento critico verso i grandi media, percepiti come incapaci di raccontare la realtà, tanto che sempre piú spesso la gente vota anche "contro" di loro; un fatto, questo, a dir poco inusuale nell'era delle comunicazioni di massa. Ad ogni modo, che la manipolazione del web esista o meno (ci vorrebbe un adeguato approfondimento al riguardo), i dati e i fatti dimostrano che al momento influisce poco sull'esito delle elezioni. A incidere sono invece i problemi che il cittadino avverte nella vita di tutti i giorni. In questo quadro, le forze politiche che maggiormente sono state punite da questo cambiamento continuano a nascondere la testa sotto la sabbia, e anziché cercare di dare delle risposte al malcontento, ne attribuiscono la provenienza a una presunta inclinazione del cittadino medio a farsi circuire. Non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire.

Il dramma degli ex opinion leader: con la rete hanno perso il monopolio e ora si scoprono nemici del libero dibattito

Il pluralismo di internet non va proprio giù a quegli intellettuali che solo grazie all'appartenenza politica hanno dominato la scena per decenni.


La premessa è che un autentico uomo o donna di cultura può anche avere delle simpatie o delle tendenze politiche, ma non può essere tifoso di un partito, altrimenti, molto semplicemente, non è credibile.
 
Per decenni questa tipologia di intellettuali, o presunti tali, ha occupato capillarmente tutti i centri di produzione culturale e di opinione, e in special modo televisione e principali organi di informazione. Questo fenomeno è avvenuto soprattutto in Italia ma anche in Francia e negli Stati Uniti. 


Sfruttando la visibilità così ottenuta, queste figure del mondo dello spettacolo, della letteratura, del giornalismo, si sono autoinvestite di un'autorevolezza da opinion leader che in realtà non hanno, perché alla fine l'unico loro merito è quello di fare il tifo per la parte politica giusta.

Ora però internet ha tolto a televisione e giornali cartacei il monopolio dell'informazione, mentre la natura stessa della rete - pur con tutti i suoi difetti, eccessi e persino pericoli - ha permesso la realizzazione di un vero pluralismo, facendo così emergere, da un lato, il livore di quegli intellettuali che hanno perso il dominio della scena, dall'altro lato, il paradosso di uomini e donne di cultura che avversano il libero pensiero anziché difenderlo.


Ora a questi ex opinion leader non resta che manifestare il proprio rancore e il proprio aristocratico disprezzo in quelle trasmissioni e su quei giornali che ancora danno loro visibilità, almeno finché lo share e i lettori non scenderanno sottozero. Dopodiché, se Dio vuole, potremo dire finalmente di esserci liberati dell'ossessionante presenza di questi presuntuosi Zucconi e di vivere in una società in cui esistono una libera dialettica e un libero dibattito.

Migranti? No, è il controllo dell'Africa la vera posta in gioco

Le recenti inchieste di Byoblu, Il Manifesto e Gli occhi della Guerra mostrano che sono le risorse dell'Africa nord-occidentale i veri obiettivi che la Francia vuole raggiungere usando le migrazioni umane come strumento per destabilizzare i rivali europei.


È una partita giocata sulla pelle dei profughi e dei migranti a vario titolo, in modo particolare quelli provenienti dal cuore dell'Africa guineiana e che, passando per il Niger e il deserto libico, arrivano sulle coste settentrionali del continente nero per tentare l'approdo in Europa. Una partita che la Francia cerca di vincere per ottenere in premio il rafforzamento del controllo delle risorse dell'Africa nord-occidentale, e nella quale i migranti sono l'arma per destabilizzare i rivali europei, prima fra tutti l'Italia, ed escluderli dalla spartizione. Tuttavia l'Italia non è così debole e isolata come potrebbe sembrare, soprattutto perché potrebbe aver trovato un nuovo, potente alleato. Ma andiamo con ordine.

Iniziamo dal Niger. In una recente inchiesta, il blog Byoblu ricorda che il paese "è un crocevia di migrazioni e una zona calda tra missioni militari inglesi, francesi e italiane. È il paese più povero del mondo, al 188mo posto nell’Indice dello Sviluppo Umano, e si contende il triste primato con la Repubblica Centrafricana. Ma a essere povera - viene fatto notare - è solo la popolazione, perché il Niger è il quarto produttore di uranio del mondo: il prezioso minerale è estratto da società straniere tra le quali la fa da padrone la Areva, leader mondiale del nucleare e controllata dallo Stato francese. L’industria dell’uranio ha pesanti ricadute ambientali, e condiziona interamente la politica e la vita del Niger. Basti pensare - continuano gli autori - che i giornali denunciano versamenti occulti al governo di centinaia di milioni di euro su conti correnti di Dubai, mentre nel paese dell’uranio l’80 per cento della popolazione non ha neppure la corrente elettrica".

 Ma arriviamo al punto. Gli Occhi della Guerra (il blog de Il Giornale che approfondisce temi relativi agli scenari extraeuropei) ci fa sapere - citando a sua volta un articolo de Il Manifesto - che "Emmanuel Macron sta facendo di tutto per escludere l’Italia dalla missione militare nel Niger. È la Francia ad avere il controllo di quell’area del Sahel (fascia di territorio dell'Africa sub-sahariana che si estende tra Oceano Atlantico, deserto del Sahara e la savana del Sudan, all'interno della quale un gruppo di stati utilizza il Franco Cfa, una moneta il cui valore è ancorato all'euro e che la Francia usa per controllare questi paesi, nda),
e non vuole nessuno che possa in qualche modo ostacolare i suoi interessi, presenti dai tempi dell’Impero coloniale e mai rimossi con il passere dei decenni."

"Se la Francia ha migliaia di uomini nei Paesi da cui partono queste rotte della morte - continua l'autore Lorenzo Vita - è chiaro che il problema diventi sì dell’Europa, ma dell’Europa in Africa. Non si tratta più di rapportarsi fra Ue e Nordafrica, ma di capire in quale modo e in quale entità le potenze europee incidano sulla nascita e sul controllo di questo fenomeno migratorio. Con 7mila uomini schierati nel continente africano - aggiunge - la Francia non riesce a monitorare le carovane di migranti che solcano il Niger, la Mauritania, il Ciad, il Mali. Oppure, semplicemente, non è nel suo interesse."
In questo quadro le rotte migratorie diventano uno strumento politico. L'obiettivo è "escludere l'Italia dal Niger (...) e lasciarla sola a gestire il flusso proveniente dalla Libia affinché questo problema penda come una spada di Damocle sul governo italiano".

L'Italia, quindi, sarebbe ancora una volta la vittima ignara delle manovre francesi nel continente africano?

Apparentemente sì, ma anche il nostro governo potrebbe avere delle carte in mano, soprattutto grazie al prezioso aiuto degli Usa e alle strategie di Trump, il quale, secondo il sito Geopolitical Center, "ha spedito un pizzino a Macron: gli Stati Uniti starebbero infatti valutando un appoggio operativo e politico alla futura missione italiana in Niger, che servirà a controllare i flussi migratori ma che andrà anche a pestare i piedi nel cortile di casa francese. Insomma - concludono gli autori - nessuno osa dirlo ma pare proprio che l’Italia sia tutt’altro che isolata, e possa vantare invece nuovi amici che promettono interessanti sviluppi".

Da questo quadro emerge chiaramente che dietro al fenomeno dell'immigrazione si muovono enormi interessi economici e complesse strategie geopolitiche che fanno anche balenare il sospetto che i movimenti migratori verso la Libia vengano in qualche modo incoraggiati, in modo particolare dalla Francia. Del resto, come osserva il fondatore di Byoblu, Claudio Messora, "questa è l'Africa occidentale, e questo è ancora l’approccio di certi occidentali all’Africa: sfruttamento e corruzione. Quando si parlerà invece - si chiede il blogger - di sviluppo autonomo del continente?".

"Poiché il popolo non è d'accordo, bisogna nominare un nuovo popolo"

Bagnai: "Una banale riflessione: nel fluire torrenziale del 'progresso', chi guida contromano? Volendo dare alla 'sinistrità' una connotazione positiva, chi è di destra: gli operai o il PD?"

Da un articolo dell'economista Alberto Bagnai pubblicato sul blog Goofynomics.

Circola su Internet questo commento di una gentile utente social (nella foto).
Non so se sia vero, ma senz'altro è verosimile. Come qualcuno ha notato su Twitter, la filosofia politica che permea queste affermazioni è del tutto analoga all'allucinato delirio del simpatico giornalista tedesco il quale, in un altro tweet che abbiamo commentato qui, sosteneva che Francia e Italia cattive avevano complottato svalutando ai danni della Germania, quando l'evidenza dei dati mostra come dal dopoguerra in poi in effetti sia stata la Germania a rivalutare la propria valuta verso praticamente tutte le altre valute, con la sola eccezione di quella di un paradiso fiscale (il franco svizzero), e di quella di un paese costretto dagli Stati Uniti a rivalutare tramite una convincente moral suasion (il Giappone).

Certo, per capire questo bisogna intanto conoscere i dati, che di per sé parlano, e poi disintossicarsi dal ciarpame liberista che ci ha infettato, la cui cifra distintiva è il considerare la moneta come una merce il cui valore deriva dalla scarsità, anziché come una istituzione il cui valore deriva dai rapporti sociali. Nonostante quanto stiamo vedendo coi nostri occhi smentisca le analisi sempliciotte degli spaghetti-liberisti (andiamo gagliardamente verso i 3000 miliardi di euro immessi dalla Bce, e l'obiettivo del 2% di inflazione è ancora lontano), media e politici (a ricasco dei media) sono obnubilati da teorie ridicole e false, e si regolano di conseguenza. Il fatto che l'apprezzamento della valuta tedesca verso tutte le altre rifletta le peculiari istituzioni tedesche (fra cui la Mitbestimmung, cioè, sintetizzando brutalmente, il corrompere i sindacati perché facciano gli interessi dell'impresa) non gli passa nemmeno per la testa: eppure, i titoli dei giornali sono lì, e chiariscono che la valuta tedesca è forte perché il capitalismo tedesco non condivide con i lavoratori tedeschi i frutti di un successo ottenuto con una formula semplice ed efficace, il classico segreto di Pulcinella: pagare i lavoratori in modo meno che proporzionale alla loro produttività (la Mitbestimmung a questo serve), come qui chiarimmo tanto tempo addietro, e come oggi ammettono anche i migliori economisti tedeschi.

Quindi basta analizzare la realtà, le istituzioni prevalenti nei singoli paesi, gli andamenti dei dati, per capire che non è tutto il mondo a svalutare: è la Germania a guidare contromano, perché ha deciso di adottare un patto sociale che, finché tiene, le garantisce un vantaggio competitivo. Terrà a lungo? Chissà. In ogni caso, questo patto è equivalente a una svalutazione competitiva, e gli Stati Uniti mostrano insofferenza. Ma non torno qui su questo punto.

Torno invece al commento della cara Silvia (e come poteva chiamarsi la gentile commentatrice, in un post che inizia con un mesto ricordo leopardiano?). Le parole di Silvia ci rimembrano quelle attribuite a Bertold Brecht: "Il comitato centrale ha deciso: poiché il popolo non è d'accordo, bisogna nominare un nuovo popolo". Se gli operai non votano PD, bisogna nominare un altro popolo della sinistra. Ma anche qui, forse, bisognerebbe fermarsi e fare una banale riflessione: nel fluire torrenziale del "progresso", chi guida contromano? Chi è il salmone nel torrente della storia? In altre parole, volendo dare alla "sinistrità" una connotazione positiva, chi è di destra: gli operai, o il PD?

Esattamente come nel caso della Germania e della sua peculiare gestione dei rapporti sociali, anche qui dovremmo andare ad analizzare la sostanza delle cose. Il PD è stato esecutore per conto terzi di un programma di riforme sociali pesantemente orientato contro gli interessi dei lavoratori, che ora finge di volersi rimangiare, ma rispetto al quale, come sappiamo, non può tornare indietro, semplicemente perché la logica dell'unione monetaria, chiarita da Rudiger Dornbusch (MIT) 21 anni or sono, glielo impedisce. In assenza di svalutazione esterna, alle recessioni mondiali bisogna rispondere con la svalutazione interna, cioè coi tagli dei salari, e affinché ciò avvenga rapidamente occorre mettere in ginocchio i lavoratori.

Questo approccio a me sembra di "destra" (per rifarci alle categorie un po' primitive della nostra nuova amica), e quindi, secondo me, è il PD a nuotare contromano nel torrente del progresso. Il salmone è lui, e, come i suoi congeneri, rischia di incontrare un orso, l'orso dei mercati, che alla prossima crisi farà del nostro simpatico amico d'acqua dolce un solo boccone, come tanti documentari ci hanno insegnato.

Le parole allucinate della nostra Silvia, molto lieta e poco pensosa, cui ovviamente auguro lunga vita, mi spingono a una riflessione più generale, che traggo dalla lettura de Le complexe d'Orphée di Jean-Claude Michéa, e che condivido rapidamente con voi, prima di andare, come ognuno di noi, incontro al mio destino. In un mondo in cui i rapporti di forza sono totalmente squilibrati a vantaggio di un capitalismo finanziario del quale tutti, a chiacchiere, riconoscono l'instabilità e l'irrazionalità (vi ricordo un critico particolarmente autorevole); in un sistema che in tutta evidenza fa dello sradicamento degli individui e della distruzione delle istituzioni (da quelle create nel secondo dopoguerra, come lo stato sociale, a quelle di tradizione più antica, come la famiglia) uno strumento di dominio delle masse, di rimozione della loro identità e quindi di una sia pur minima possibilità di autocoscienza e di tutela dei propri interessi, vendendoci questa nostra sconfitta come un elemento di progresso; in un mondo, in estrema sintesi, che moltiplica i diritti civili da barattarci in cambio dei nostri diritti sociali e politici, in nome di una ipocrita liturgia del "progresso"; in questo mondo credo che esista un unico modo di schierarsi a difesa di quella che Orwell chiamava la common decency, e la nostra Costituzione chiama "un'esistenza libera e dignitosa": essere conservatore.

Anche qui, assistiamo a un film già visto. Come spiega Michéa, e come Marx sapeva, il "progresso" realizzato tramite le enclosures (naturalmente, in nome dell'aumento della produttività: un totem che veneriamo da sempre, a dimostrazione che di nuovo non c'è nulla), sradicò, sottoproletarizzò, migliaia di inglesi, che privi della tradizionali fonti di sussistenza garantite loro dal retrivo diritto feudale affuirono verso i centri urbani, dove divennero, nel corso degli anni, la carne da macello della rivoluzione industriale. Ovviamente non sto difendendo il mondo feudale. Mi è chiaro il progresso che la rivoluzione industriale ha recato (se pure al costo di compromettere gli equilibri ecologici): siamo passati da un mondo in cui mangiare e vestirsi non erano cosa scontata (Carlo Cipolla lo descrive molto bene) a un mondo in cui questi e altri problemi, sia pure con enormi disparità geografiche, sono risolti, o almeno sarebbero risolvibili. Ecco: sarebbero risolvibili, se si capisse che certi processi non sono meramente tecnici, ma intrinsecamente politici, e come tali vanno compresi e gestiti. Vale per il progresso tecnologico, e vale per l'immigrazione. Non gestirle espone al rischio di reazioni irrazionali (luddismo, razzismo), nonché al rischio di tornare a un mondo in cui mangiare e vestirsi non siano cosa scontata (come già oggi non lo è il curarsi).



Ed è proprio questo il punto che il commento di Silvia, tanto dolorosamente quanto involontariamente, sottopone alla nostra attenzione. I contadini costretti dalle enclosures alla mendicità e all'esodo rurale erano una manodopera non solo a buon mercato, ma soprattutto (nota Michéa) culturalmente sradicata e quindi molto più facilmente manipolabile. E per capire cosa si intenda per manipolabile, basta rileggere l'assurdo commento della nostra Silvia (sia essa vera, o solo verosimile), che, in cuor suo, pur di non riflettere sulle dinamiche politiche in atto, ha già nominato un nuovo popolo, i nuovi ultimi, cui lei vuole dedicarsi, liquidando come "fascisti" quei penultimi la cui miseria, più prossima e quindi più visibile, si erge a monito verso questo suo afflato da crocerossina di buona famiglia.

Su queste premesse, costruire una visione alternativa del mondo sarà molto, molto complesso.

Non c'è niente di nuovo: è tutto scritto in Michéa, compreso il fatto che esistono fasi storiche in cui, per difendere gli ideali "di sinistra", occorre prima distruggere la sinistra. 
Amen. 

Alberto Bagnai, "Sul conservatorismo", goofynomics.blogspot.it