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Castigat ridendo mores

Altro che populismo: la contestazione anti-Euro ha basi scientifiche

"Deriva nazionalista" o "populista": con queste espressioni vuote di senso si cerca di liquidare sbrigativamente un fronte culturale alimentato dalle teorie di fior di studiosi, che hanno aperto gli occhi alla gente dopo 30 anni di lavaggio del cervello


Secondo Napolitano si tratta di "una pericolosa deriva nazionalista e populista", secondo Letta "sono movimenti che lasciano solo macerie". L'oggetto di queste due recenti dichiarazioni sono le correnti di pensiero, i movimenti sociali, i partiti politici anti-Euro, che si stanno facendo largo nel continente in maniera sempre più dirompente.
In realtà, a Letta verrebbe da rispondere che le macerie, semmai, sono quelle lasciate proprio dal sistema-euro, mentre a Napolitano bisognerebbe ricordare che il vezzo di liquidare sbrigativamente le idee diverse attraverso le espressioni usate da lui (e non solo da lui), nasconde due pesanti lacune, una più gigantesca dell'altra: una grave carenza di argomenti con cui eventualmente contrastare i critici della moneta unica; un metodo di comunicazione che ha come obiettivo il lavaggio del cervello, perché la gente comune capisce che la parola "deriva" è un qualcosa di negativo, tanto più se pronunciata dal presidente della Repubblica... Caro presidente: alla deriva, semmai, stanno andando le istituzioni, abbarbicate nella difesa di un qualcosa di indifendibile.
In realtà, Napolitano sa benissimo che il fronte anti-Euro è alimentato da teorie validissime formulate da fior di studiosi, addirittura da premi Nobel, e poi divulgate, grazie soprattutto alla Rete, da operatori dell'informazione a vario titolo, alcuni dei quali molto autorevoli.
Parecchie di queste fonti - dagli studiosi dell'americana Mosler Economics agli economisti italiani Alberto Bagnai e Claudio Borghi Aquilini, dai giornalisti anti-sistema come Paolo Barnard e Andrew Spannaus a quelli specializzati in economia come Ernesto Preatoni - sono state più volte menzionate su questo blog e sulla pagina facebook con decine di articoli.
In particolare, le teorie della Mosler Economics Modern Money Theory (Me-Mmt) sono quelle che presentano la maggiore carica distruttiva per il sistema-Euro. Questa scuola di economia di cui fa parte anche un premio Nobel come Paul Krugman, e le cui idee sono diffuse in Italia dal giornalista Paolo Barnard, ha dimostrato in maniera incontrovertibile che un sistema in cui uno Stato non può emettere la moneta e può ottenerla soltanto dal prelievo fiscale o, al limite, chiederla in prestito ai mercati finanziari, è in realtà un'invenzione diabolica per imprigionare gli Stati democratici in una camicia di forza, lasciandoli alla mercé dei mercati finanziari e delle grandi multinazionali, che si ritrovano un esercito di lavoratori sottoccupati e disoccupati disponibili a basso costo, oltre che aziende pubbliche e private in vendita a prezzi di saldo. La Me-Mmt ha dimostrato inoltre che il famigerato "debito pubblico" non solo non è e non è mai stato un problema, dal momento che il debito dello Stato corrisponde al centesimo alla ricchezza dei suoi cittadini; ma anche che il concetto stesso di "debito pubblico" non ha senso, visto che al debito dello Stato corrisponde un uguale credito, in moltissimi casi detenuto da comuni cittadini.
La Me-Mmt ha dimostrato infine che l'inflazione è uno spauracchio agitato spesso a sproposito, o meglio, col proposito preciso di giustificare le politiche di austerità, e in quest'ottica fa capire che è di gran lunga preferibile avere un bassissimo tasso di disoccupazione e un'inflazione un po' più alta, piuttosto che avere un'inflazione contenuta con tassi di disoccupazione a due cifre.
In pratica qui stiamo parlando della demolizione di un sistema di abbindolamento che è stato portato avanti per oltre trent'anni, ovvero da quando, in Italia e non solo, è scoppiata l'isteria da deficit. Invito perciò i lettori a leggere e a studiare, perché purtroppo l'economia continua ad essere un campo di studio riservato a pochi specialisti, mentre oggi dovrebbe essere al primo posto nel bagaglio culturale di elettori ben informati. Di seguito riporto alcuni miei articoli utili allo scopo: Capire perché questo Euro ci ridurrà alla fameUscire dal pantano dell'Euro è possibile: ecco comeDebito pubblico, ovvero l'asservimento di una nazione. Per avere informazioni più dettagliate e meglio documentate, invito poi a visitare i siti personali di Claudio Borghi Aquilini, Alberto Bagnai, Ernesto Preatoni e soprattutto di Paolo Barnard i cui interventi, per chi trovasse pesante la lettura, si possono trovare anche su "You Tube" in decine di filmati. Sarebbe infine altamente istruttivo leggere il libro "Il più grande crimine", 85 pagine che si possono scaricare gratuitamente da Internet.
C'è solo l'imbarazzo della scelta. L'ostilità verso l'Euro non è affatto una deriva, ma una ribellione tra le più scientificamente fondate che si ricordino.            

Questa è la fine di chi si schiera contro la sinistra

Da Craxi ad Andreotti, fino a Berlusconi, in Italia il destino di chi si oppone alla sinistra è ineluttabile. Mentre i comunisti o ex tali rimangono sempre immacolati, gli avversari, in un modo o nell'altro, finiscono alla sbarra


Probabilmente questa è la volta buona che la sinistra si liberi di Berlusconi. Ovviamente non alle urne, ma a colpi di sentenze giudiziarie e di tribunali parlamentari, come nella migliore tradizione italiana.
Non può sfuggire il fatto che il destino del Cavaliere sia molto simile a quello di due suoi illustri predecessori, due leader che durante la Prima Repubblica fecero dell'anticomunismo la loro bandiera, anche se non in maniera così viscerale come Berlusconi. Parliamo in ogni caso di tre oppositori tenaci della sinistra comunista, post-comunista e catto-comunista, che li ha visti sempre come irriducibili avversari, o meglio ancora, nemici. Anche perché alla sinistra, questi tre, hanno rifilato numerose batoste elettorali, a cominciare dal Cav, quasi un tabù, per non dire un incubo, nell'ultimo ventennio.
Il modo in cui è stato eliminato Berlusconi, ovvero con un combinato di persecuzione giudiziaria e giustizialismo parlamentare (e con un'applicazione retroattiva della legge sull'ineleggibilità a dir poco frettolosa, considerando che la Corte europea di Strasburgo potrebbe accogliere il ricorso dell'ex premier), ricorda molto da vicino sia la guerra giudiziaria a Craxi che le sconvolgenti accuse piovute su Andreotti.
Il primo fu trasformato dalla sinistra nel simbolo supremo della corruzione all'epoca di "Tangentopoli" e "Mani pulite"; il secondo invece fu travolto da accuse ai limiti dell'incredibile, come quelle rivoltegli da alcuni "pentiti" di mafia e che avrebbero dovuto dimostrare non già la sua vicinanza alla mafia, ma che era addirittura un affiliato ("puntutu", come disse un pentito). A queste si aggiunse l'accusa di essere stato il mandante di alcune delle più sanguinarie stragi terroristiche, non esclusa quella di via Fani. Nei processi è stato confermato a malapena il 5 per cento di tutto ciò, ma l'immagine di Andreotti (che comunque non ha scontato neanche un giorno di galera) è stata irrimediabilmente compromessa.
Craxi, invece, per sfuggire al carcere dovette scappare in Tunisia, dove poi sarebbe morto qualche anno dopo. Una fine orribile per un socialista fermamente anticomunista, e che dalla sinistra fu ricambiato con un odio tremendo, come dimostrò il lancio di monetine con cui fu bersagliato - non appena uscita la notizia dell'avviso di garanzia - all'uscita dell'hotel Raphael da alcuni militanti del Pds, che ancora ignoravano (e forse ignorano tuttora) le malefatte dei propri dirigenti e rappresentanti.
Ma dove era nata questa caccia ai nemici della sinistra? Tutto era cominciato alla fine degli anni '70 con la lotta al terrorismo, al termine della quale una parte della magistratura acquisì consapevolezza del proprio peso politico, maturando l'idea di una via giudiziaria al socialismo. Non sappiamo se ciò avvenne in combutta con lo stesso Pci, ma di sicuro la classe politica si lasciò scavalcare dalla magistratura, e quando se ne rese conto era ormai troppo tardi. Per dirla con l'ex magistrato Luciano Violante, uno dei fondatori del Pd, "la politica delegò alla magistratura questioni che erano di competenza della politica". Quando poi cadde il Muro di Berlino (1989) e svanì il pericolo sovietico, venne meno anche il ruolo di sentinelle anticomuniste ricoperto fino a quel momento dai partiti come la Democrazia Cristiana, e così quella parte della magistratura di cui sopra poté scatenare la lotta contro la corruzione, dalla quale ovviamente fu quasi totalmente risparmiato il Pci-Pds. A farne le spese, infatti, furono solo gli esponenti del pentapartito (Dci, Psi, Pli, Psdi, Pri), tanto che a colpi di inchieste e di arresti un'intera classe politica fu spazzata via, lasciando campo libero ai comunisti o ex tali.
Berlusconi, all'inizio, come altri importanti editori, era un alleato dei magistrati del pool di Milano, visto che possedeva televisioni e giornali, ossia delle armi letali, se ben combinate con le inchieste giudiziarie. Quello che però i magistrati non avevano previsto era che Berlusconi scendesse in campo proprio contro la sinistra, ovvero contro l'unico partito superstite e quindi già arci-sicuro di vincere. Da quel momento divenne lui il nemico numero uno, in una caccia che è durata vent'anni, e che forse ancora non è finita, anche perché il Cavaliere è sempre riuscito a difendersi non con le leggi ad personam, come blaterano i comunisti, ma con le armi della democrazia, cioé prendendo i voti che per ben tre volte gli hanno consentito di andare al governo.
Detta così, potrebbe sembrare che l'Italia sia divisa in due: da una parte la sinistra e dall'altra i ladri e i corrotti. Sbagliato. Non solo perché i comunisti, per loro stessa ammissione, avevano ricevuto finanziamenti dall'Urss, ossia da un nemico militare dell'Occidente e dell'Italia, contro cui teneva puntati i missili, il che prefigurava un reato di eversione contro lo Stato da cui il Pci si salvò grazie all'amnistia del 1989 (si legga l'articolo L'amnistia del 1989 che salvò il Partito comunista); non solo perché nel sistema di tangenti i comunisti erano dentro fino al collo (si legga, per esempio, il seguente articolo); ma soprattutto perché il comunismo italiano è stato un inganno grande come una casa, come dimostrano i tappeti rossi stesi fin dagli anni '70 all'alta finanza mondiale e alle grandi multinazionali, che con il Pci avevano un rapporto privilegiato (si leggano i seguenti articoli: 1 e 2). D'altra parte, la svendita dell'Italia al capitale di rapina, avvenuta prima con le privatizzazioni selvagge degli anni '90, poi con l'ingresso nel sistema-Euro, vede nella sinistra l'artefice assoluto, come spiega benissimo il giornalista di sinistra Paolo Barnard nel suo Il più grande crimine o come si può vedere in questo breve filmato. E ci sarebbero ancora le coop rosse e le banche, tutta roba in confronto alla quale Berlusconi sembra un dilettante allo sbaraglio.
Resta il fatto che, mentre a sinistra rimangono miracolosamente immacolati, coloro che alla sinistra si oppongono finiscono alla sbarra, prima o dopo. In Italia funziona così. Se vuoi sfuggire all'ineluttabile destino, c'è una sola possibilità: dichiararti amico della sinistra, in modo da ottenere l'amnistia giudiziaria e quella storico-culturale. Gli esempi vanno da De Mita a Casini, da Fini ad Alfano, solo per citare i più celebri. E chissà quanti altri ancora ne arriveranno.

L'amnistia del 1989 che salvò il Partito Comunista

Il provvedimento di clemenza varato 24 anni fa estinse reati come il finanziamento illecito ai partiti. Così i dirigenti del Pci evitarono di essere perseguiti per il denaro ricevuto dall'Urss e per le tangenti sul commercio Est-Ovest

Alla superiorità morale del Partito Comunista tanto sbandierata da Enrico Berlinguer ormai non crede più nessuno, anche perché sarebbe sufficiente analizzare i legami del Pci con il mondo dell'imprenditoria e della finanza più a fondo di quanto non fecero i magistrati dell'epoca di "Mani pulite", per comprendere che in realtà nel sistema marcio della prima repubblica i comunisti avevano un ruolo tutt'altro che secondario.
Ma visto che in questi giorni si discute di amnistia, è utile anche ricordare un altro episodio illuminante (e troppo spesso trascurato) legato proprio all'ultimo provvedimento di clemenza adottato dal parlamento nel lontano 24 ottobre 1989. L'amnistia altro non è che una causa di estinzione del reato e consiste nella rinuncia, da parte dello Stato, a perseguire determinati reati. Si tratta di un provvedimento generale di clemenza, ispirato, almeno originariamente, a ragioni di opportunità politica e pacificazione sociale, ma può essere adottato anche per risolvere il problema del sovraffollamento carcerario. Occorre ricordare che, mentre l'amnistia estingue il reato, che quindi è come se non fosse mai stato commesso, l'indulto estingue solo la pena.
All'epoca, tra i reati cancellati, ci fu anche quello legato al finanziamento occulto ai partiti, senza cioè registrazione a bilancio. Ne beneficiarono tutti, compreso il Pci-Pds che, per stessa ammissione dei dirigenti, aveva ricevuto sussidi dal Partito Comunista sovietico, quindi dall'Urss, ovvero da uno stato nemico militare dell'Occidente e dell'Italia, contro cui teneva puntati i missili. Ricevere finanziamenti di questo tipo significa essere sul piano dell'eversione. In un estratto di un articolo pubblicato anni fa sul sito old.radicali.it, si possono conoscere meglio i dettagli:
"L’art. 2 comma 1 concede l’amnistia per 'le false fatturazioni a proposito di attività commerciali svolte da enti pubblici e privati diversi dalle società che non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali', fra cui rientrano, com’è ovvio, proprio i partiti e i sindacati.
Ma soprattutto questa legge stabilisce all’art.1 comma A l’amnistia per i reati non finanziari con pena edittale non superiore a 4 anni, fra cui, guarda caso, rientrano quelli previsti dalla legge del 195/1974 sul finanziamento pubblico della politica, che sanzionava con pene proprio fino a 4 anni di reclusione chiunque avesse dato o percepito finanziamenti da parte di società pubbliche e private senza registrazione a bilancio. Questa legge portò all’amnistia dei reati commessi fino al 24 ottobre 1989, e si noti che l’impossibilità per le Procure di perseguire tali fattispecie criminose ha comportato spesso anche l’impossibilità di disvelare reati più gravi (come concussione, corruzione e ricettazione) non soggetti ad amnistia e spesso associati ai primi nelle inchieste di Tangentopoli.
(...) Ora, è fatto noto, ed ammesso dagli stessi responsabili, che il PCI abbia percepito per anni finanziamenti esteri da parte del PCUS: proprio nel 1989, la Procura di Roma stava svolgendo indagini che naturalmente, a seguito dell’approvazione di quella legge, si interruppero. E tra l’altro l’ex PCI dichiarò che i finanziamenti dall’URSS erano proseguiti proprio fino al 1989, e non pare proprio un caso. E’ difficile ricordare un provvedimento più tempestivo…"
La scappatoia, però, non salvò il Pci-Pds solo da possibili inchieste sui rubli di Mosca, ma anche da altre indagini sulle tangenti sull'import-export di acciaio tra Europa occidentale e orientale. Chissà se i militanti di sinistra che lanciarono le monetine a Craxi nel 1992 erano a conoscenza di tutto ciò. Difficile. Su "Il Giornale", nel 2006, furono rivelati i dettagli di quelle operazioni illecite:
"È la procura di Torino che invece ebbe a indagare per prima sulla Eumit Intereurotrade (Euro union metal italiana Torino) ossia una società che promuoveva import-export di acciai con i paesi comunisti. Un classico del Pci vecchia maniera: la società era stata fondata nel 1974 dal Partito comunista e da una banca della Germania Est, la Deutsche Handelsbank, ovviamente sotto l’occhio attento del servizio segreto Stasi. Poi il fascicolo confluì a Milano e in mille altri rivoli: con ciò divenendo un dedalo di cui si è sempre scritto e capito poco, complice la spaventosa difficoltà di raccogliere documentazioni oltrecortina; senza contare che una banca austriaca, in particolare, non ha mai risposto alle rogatorie chieste dalla Procura di Milano, e questo senza che il Pool scatenasse il finimondo. Non si tratta di cifre da poco, ma di qualcosa come sedici miliardi di lire che sono passati dalla Eumit al Pci tra il 1983 al 1989, estero su estero: i reati prospettati furono frode fiscale, bancarotta fraudolenta e finanziamento illecito al partito; gli indagati furono Achille Occhetto, Renato Pollini e Marcello Stefanini. Un prestanome del caso, certo Brenno Ramazzotti, ex funzionario del Pci, faceva la parte del Greganti di turno.
(...) Per farla breve: come ricostruì la Procura di Torino, "realmente vi furono illecite erogazioni da Eumit al Pci, il cui segretario era allora l’'on. Achille Occhetto, e i segretari responsabili erano allora sia Stefanini sia Pollini. Tanto è attestato dalla logica, dal riscontro documentale, dalle univoche risultanze della rogatoria in ambito della Ddr". La Eumit era una società autentica che faceva profitti autentici, beninteso: ma sino al 1989, ossia sino al crollo della cortina di ferro, rappresentava una sorta di passaggio obbligato per tutte le imprese italiane che volevano fare affari con l’Est: bisognava passare di lì e pagare una commessa, una tangente, un pizzo che poi finiva al Partito. Tutto questo è appurato nelle sentenze, al pari della sussistenza di un finanziamento illecito che tuttavia «cessò prima della fine del 1989, data in cui la funzione di illecito strumento di erogazione della ricchezza di Eumit venne meno»; senza contare la nota amnistia che vi fu nello stesso anno. Nella sentenza di archiviazione dell’estate 2000, non si ravvisano i reati di falso in bilancio e bancarotta, ma per tutto il resto (corruzione, finanziamento illecito, reati fiscali) intervennero la prescrizione e l'amnistia."

Meglio lo sfascio che schiavi di Bruxelles

Il governo Letta era nato per rilanciare l'economia, non per obbedire all'Europa ad ogni sforamento dello zero virgola. Ora prepariamoci a tutto, ma meglio una deflagrazione che una morte lenta e inesorabile

Lo dico subito: non saprei chi votare se si dovesse andare a elezioni anticipate, non riesco a vedere nulla di credibile nel panorama politico e ho le idee assai confuse, come credo la maggior parte degli italiani. Forse il Movimento Cinque Stelle, se veramente mettesse in pratica le tanto sbandierate posizioni antieuro, potrebbe essere l'unica scelta possibile, ma faccio fatica in ogni caso a fidarmi di una forza politica che sembra essere di pura e semplice opposizione.
Fatta questa doverosa premessa, devo dire in tutta franchezza che non riesco proprio a comprendere le misteriose ragioni per le quali molti italiani gridano al disastro, come se la fine del governo Letta fosse motivo di frustrazione, e non, come invece dovrebbe essere, di liberazione. Messo a capo di un esecutivo di larghe intese che avrebbe dovuto rinegoziare con l'eurozona i parametri di bilancio nel tentativo di dare una boccata d'ossigeno ad un'economia in caduta libera, Letta si è limitato invece a seguire le orme di Monti, obbedendo come un cagnolino ai diktat di Bruxelles, dove ogni sforamento dello zero virgola da parte dell'Italia viene visto come un attentato alla stabilità dell'Euro.
I lettori, però, devono smetterla di credere alle favole che raccontano la tv e i giornaloni. Gli intenti degli "amici" europei, in realtà, sono ben altri. Con la scusa della stabilità, costringono il governo italiano a imporre sacrifici sanguinosi ai cittadini, con il risultato di impoverire il paese per poi poterne acquistare più facilmente le industrie pubbliche e private a prezzi di saldo. E c'è inoltre chi si avvantaggia da un'Italia in difficoltà per evidenti ragioni di concorrenza. I Monti e i Letta allora? Sono solo dei burattini? Proprio così. D'altra parte, in mancanza di consenso popolare, non avrebbero alcuna possibilità di guidare un esecutivo se non prestandosi ad agire come uomini di fiducia di Bruxelles e Berlino. I partiti come il Pd e il PdL? Ci vuole poco a mettere loro la museruola, non solo perché anche tra le loro file abbondano persone che rispondono ai tecnocrati europei della Trojka e ai club esclusivi di banchieri e industriali, ma soprattutto perché basta sventolare la minaccia sinistra dello spread (manovrabile a piacimento), che li danneggerebbe enormemente in termini elettorali, per farli desistere dai propositi di "ribellione".
Chi oggi grida alla catastrofe lo fa per opportunismo, per fingere di ergersi a rappresentante della responsabilità. Balle! Con il "meglio a tirare a campare che tirare le cuoia" di andreottiana memoria a cui Letta si stava ispirando, non si campa affatto. L'Italia ha bisogno in questo momento di detassazioni massicce senza vincoli di bilancio troppo restrittivi, perciò non si può assistere per una settimana allo spettacolo deprimente di un premier che ripete fino alla nausea "abbiamo sforato il limite del 3%, dobbiamo assolutamente rientrare". E' un qualcosa che ti fa montare una rabbia furiosa, perché poi i fatti dimostrano che quanto più si aumentano le tasse, più vanno peggio tutti i dati economici: consumi, disoccupazione, produzione industriale, entrate del fisco, debito pubblico. E per dirla tutta, sono stufo anche della solita storia che tutti i mali dell'Italia dipendono dagli stipendi dei politici. Beh, non so come dirvelo, cari lettori, però vi chiedo soltanto: quand'è che la pianteremo con questa stronzata? Quand'è che vi metterete a studiare una buona volta? La politica, sommando tutti i livelli di governo, ci costa 7 miliardi di euro all'anno, sicuramente un po' troppi; ma anche dimezzando questo costo, risparmieremmo 3 miliardi e mezzo, una somma che, in uno Stato che ha una spesa pubblica di 800 miliardi, è il resto del caffè. Ci sono troppi sprechi nella pubblica amministrazione? Ma guarda! E cosa pensate, che negli altri paesi la burocrazia statale non costi nulla, che gli sprechi esistano solo in Italia?
E allora, come facciamo a rispettare i parametri di Maastricht? Per questa domanda ho una risposta volgare e una educata. Ok, opto per quella educata. Semplicemente non vanno rispettati, vanno rifiutati, vanno fatti saltare, devono scomparire dalla vita del nostro paese per sempre. La moneta unica non sovrana è una truffa colossale, un'invenzione diabolica per impedire agli Stati di spendere adoperando le proprie monete nazionali. E uno Stato che non può spendere, o non può indebitarsi, quando la propria economia ne ha bisogno, è uno Stato finito, destinato al fallimento, in balia dei mercati finanziari che possono pretendere qualsiasi interesse sul suo debito perché quello Stato, non avendo una propria moneta, dipende completamente da loro. Ecco dove nasce lo spread e la speculazione, altro che crisi di governo dei miei stivali. Studiate! Ovviamente tutto questo impianto regge se ci sono uno o due Stati-guida che ottengono solo vantaggi da questa situazione. Ogni riferimento alla Germania di Kohl e alla Francia di Mitterand è fortemente voluto.

Su Berlusconi ho un'idea tutta mia di cui parlerò in un prossimo articolo. L'unica cosa certa è che il Cavaliere ormai appartiene al passato e che in Italia bisogna andare oltre i governicchi supini all'euro, ma anche oltre Berlusconi. Se non altro, comunque, ci ha fatto un bel favore togliendoci Letta e Saccomanni dalle scatole. Irresponsabile? Forse, ma per l'Italia oggi è meglio una deflagrazione totale che una morte lenta e inesorabile alla quale comunque siamo condannati se continueremo a seguire le dottrine folli dei trattati europei. D'altra parte, è inutile che il Pd e Letta continuino a prenderci in giro con la storia dell'irresponsabilità: Berlusconi ha dato un contributo fondamentale alla nascita del governo Letta, e ora che è stato condannato, loro tentano di sbatterlo fuori dal Senato prima del tempo rendendo retroattiva la legge sull'incandidabilità, che è una cosa non propria ortodossa, oltre che scorretta nei confronti del principale alleato. In pratica, vorrebbero stare al governo col sostegno di Forza Italia, ma senza avere Berlusconi tra i piedi. Sembra troppo assurda come pretesa, ecco perché ho questo dubbio: chissà se nel Pd non avessero già previsto tutto, espulsione dal Senato, caduta del governo ad opera dei berlusconiani, conseguente rottura con Napolitano e addio grazia per il Cavaliere. Davvero molto responsabili.         

Tutte le cretinate della Boldrini in un'unica, strepitosa raccolta

Dall'entusiasmo per la chiusura di Miss Italia all'attacco contro gli spot televisivi con donne che servono a tavola. In appena sei mesi di mandato, Laura ne ha sparate di tutti i colori. Ecco tutte le sue "perle"

Non certo l'ultima arrivata. Ex addetta-stampa della Fao, per quattordici anni portavoce dell'Alto Commissariato per i Rifugiati dell'Onu, giornalista e autrice di alcuni libri, tra cui il bellissimo (senza ironia) Tutti indietro, l'attuale presidente della Camera Laura Boldrini è una donna dal profilo autorevole, e la sua elezione a presidente della camera bassa, sei mesi fa, fu salutata con favore dalla maggioranza degli italiani, tanto più che arrivò in un momento di grande caos istituzionale.
Alle ottime credenziali e alle grandi aspettative, tuttavia, hanno fatto da contraltare uscite pubbliche e dichiarazioni che se fossero partite da un'esponente della Destra avrebbero scatenato un diluvio di pernacchie. Non così per la Boldrini, anche perché si sa che i giornaloni italiani sono sempre piuttosto accomodanti (se non proprio in soggezione) nei riguardi di certa Sinistra radical-chic.
Così ho pensato di raccogliere le non poche cretinate che la bella Laura ha "sparato" in appena sei mesi di mandato. Una donna determinata e con le idee chiare, la Boldrini, nonché dotata di un innegabile appeal mediatico che le permette di far veicolare messaggi da cui nascono dibattiti accesi. Il tutto, però, viene rovinato da un'insopportabile aria da maestrina "Iosotutto" e da un certo femminismo-moralismo di maniera che nel migliore dei casi trasforma le dichiarazioni in banalità stereotipate, proprio lei che dichiara di voler combattere gli stereotipi.
La sua prima perla da presidente della Camera risale a fine aprile, quando invocò, fino ad ottenerla, la censura dei blog che si rendono protagonisti, a suo dire, di attacchi sessisti alle donne impegnate in politica. Nel mutismo assoluto di quelli che generalmente insorgono su Internet per difendere la libertà di stampa "perché l'Italia è dietro il Burundi, l'Angola" eccetera eccetera, gli agenti della polizia postale piombavano a casa di un blogger che aveva postato su "Facebook" la foto di una falsa Boldrini nuda, mentre la presidentessa si faceva assegnare un team di sette agenti di polizia postale al suo servizio. Da non credere.
Di lì a pochi giorni, la Boldrini ne sparava un'altra, quando, intervenendo per commentare l'attentato di Palazzo Chigi avvenuto nel giorno dell'insediamento del governo Letta, ammoniva di "fare attenzione agli slogan facili, perché in quel gesto c'è la disperazione di chi ha perso il lavoro". Ora, a parte il fatto che dalle indagini tuttora in corso emerge un quadro che sembrerebbe smentire tutta questa disperazione, ma la signora Boldrini si chiedeva, mentre diceva queste cose, cosa succederebbe se tutti i disperati del mondo facessero attentati dimostrativi contro innocenti agenti delle forze dell'ordine? Un pensiero censurabile, questo sì, tanto più se prodotto dalla mente (e dalla bocca) di chi ricopre un incarico istituzionale.
Ma ormai la Boldrini era partita in quarta, aveva preso confidenza col suo ruolo e da quel momento cominciò a bersagliarci con una serie di fesserie senza capo né coda. Arrivano le perle migliori. 15 luglio. La Boldrini esprime il suo parere sulla scelta della Rai di non mandare in onda "Miss Italia": "Le ragazze italiane hanno altri talenti, non solo quello di sfilare con un numero". Fa niente se Miss Italia abbia lanciato fior fiori di donne dello spettacolo e non solo, qui l'occasione era troppo ghiotta per non esplicitare tutto il femminismo tanto al kilo di cui è infarcito il pensiero della presidente. Passano appena 24 ore e alla Boldrini arriva una denuncia di un cittadino di Ravenna motivata dal fatto che l'8 aprile miss Montecitorio aveva risposto così a un giornalista che le chiedeva in base a quale criterio sarebbero state assegnate le case popolari: "Saranno date prima ai Rom e agli extracomunitari con figli a carico", era stata la risposta (prevedibile) di Laura. Non c'è che dire: buonismo all'ennesima potenza, condito anche da una certa dose di insensibilità nei riguardi dei sempre più numerosi connazionali (svariati milioni dei quali risultano tra i poveri veri) che negli ultimi tempi non se la passano bene. Nulla di scandaloso nel dare le case ai Rom quando ci sono, ma che abbiano addirittura la priorità sembra francamente troppo.
L'ultima prodezza in ordine di tempo è fresca fresca, e forse merita il primo posto della hit parade. Il 24 settembre, intervenendo al convegno "Donne e media", in Senato, la Boldrini torna sul suo cavallo di battaglia: "Basta spot televisivi che mostrano donne che servono a tavola! E' uno stereotipo superato, nel resto d'Europa non lo permetterebbero". Difficile commentare una dichiarazione così priva di senso. Non solo perché gli spot in tv mostrano diversi tipi di donne, e non solo quelle che servono a tavola, ma quand'anche fosse, cosa c'è di male se nella pubblicità di un prodotto alimentare è la donna a servire le portate? Veramente la Boldrini crede che sarebbe opportuno censurare anche degli spot innocui? Non vogliamo neanche pensarlo, anche se il furore moralistico-regolatorio della Sinistra italiana (a ruota di quella europea) sta raggiungendo punte di parossismo che fanno temere il peggio. E negli ultimi tempi abbiamo già avuto diversi esempi di norme da cerebrolesi prodotte a tutti i livelli di governo.
In soli sei mesi Laura ci ha "deliziato" già parecchie volte, chissà cosa combinerebbe in cinque anni. Forse sarebbe opportuno apparire meno sui giornali e in tv, e più alla Camera, dove pare che la presidente non brilli per assiduità di frequenza. A inizio settembre, su 200 ore lavorative era stata presente solo per 50 ore. Laura non c'è, verrebbe da dire, anche se lei si è difesa affermando di essere in linea con due degli ultimi presidenti della Camera, ovvero Fini e Casini. Praticamente tra i peggiori della storia repubblicana. Non esattamente un vanto.   
            

Se questa è una democrazia

Votiamo persone che di fatto non possono più decidere nulla. Un governo senza autonomia di spesa ha gli stessi poteri di un'assemblea di condominio. Sarebbe utile, oltre che onesto, che i candidati spiegassero ai cittadini questa banale verità.

Quando vi chiedete perché il governo non riesce a trovare le risorse per evitare l'aumento dell'Iva; quando vi sembra strano che il commissario europeo per le Finanze si rechi in Italia per dare consigli o per criticare l'abolizione di una determinata tassa (ricordate la ramanzina che ci fece Olli Rehn quando si iniziò a parlare di abolizione dell'Imu?)...beh...innanzitutto dovete sapere che non si tratta esattamente di suggerimenti o di critiche, ma di vere e proprie prescrizioni. Così come le scelte del governo in materia di gestione del bilancio pubblico non sono poi così libere, come ci si aspetterebbe in uno Stato democratico.
È importante sapere, infatti, che in base alle regole stabilite dal cosiddetto “Semestre europeo” e dal “Preventing Macroeconomic Imbalances”, istituiti nel 2010 con la firma di tutti i capi di Stato e di governo (presidente del Consiglio dell’epoca, Silvio Berlusconi), i governi devono sottoporre i loro bilanci sia alla Commissione europea che al Consiglio dei capi di Stato e di governo, ogni anno, nel mese di aprile. Come spiega Paolo Barnard, "la Commissione europea, organismo non eletto da nessuno, può infatti:
1) avere pieno controllo dei bilanci degli Stati persino prima che siano presentati ai parlamenti nazionali;
2) interferire nelle politiche nazionali di fisco, Stato sociale, lavoro, redditi;
3) imporre sanzioni pesanti agli Stati che non rispettano alla lettera i parametri previsti dai trattati;
4) fare pressioni allo scopo di indurre i governi a privatizzare beni pubblici, a tagliare posti di lavoro nel pubblico impiego, a introdurre regole di sempre maggiore competitività;
5) impedire le politiche di spesa in deficit oltre un limite assai ridotto."

L'Europact, firmato nel marzo del 2011, ha poi fornito indicazioni più esplicite sulle priorità degli interventi necessari per far quadrare i conti a ogni costo, anche ignorando le esigenze di crescita: dalle pensioni alle tasse, dai tagli ai servizi pubblici fino alle privatizzazioni a prezzi da "fuori tutto".

Non dimentichiamo inoltre un altro aspetto fondamentale. Non possedendo piú una propria valuta di Stato, i governi non hanno alcuna possibilità concreta di opporsi a decisioni che li penalizzano senza rischiare di vedersi chiudere i "rubinetti" della spesa; per non parlare poi del potere di ricatto enorme che i mercati finanziari hanno nei confronti di un governo senza portafoglio, e in quanto tale costretto a rispettare l'agenda politica dettata da chi gli fornisce i soldi per la spesa. 

Negli ultimi tempi è stato spesso menzionato il caso della Francia che nell'ultimo decennio ha sforato più volte i limiti di bilancio. Si faccia attenzione però: non è stata un'azione di forza francese, bensì una concessione che in modo del tutto arbitrario la Commissione europea (non il parlamento eletto dai cittadini, ma la Commissione non eletta da nessuno) fa ad alcuni stati e nega ad altri in seguito a una richiesta e dopo lunghe trattative.

Il fatto è che noi crediamo di vivere ancora in una democrazia, ma in realtà il governo dell’economia è in mano a una elite sovranazionale di tecnocrati che risponde a lobby finanziarie e grandi industriali e ad alcuni Stati in particolare come la Germania, di sicuro non ai cittadini. E i tecnocrati, a loro volta, hanno i loro uomini nei giornali e nei politici di professione. A questo punto è lecito chiedersi: esiste ancora quella democrazia che noi crediamo di esercitare attraverso il voto?

Silvio kamikaze: farà saltare governo e paese

Pur di non piegarsi ai diktat del Pd e alle manovre occulte di Napolitano, farà cadere il governo e resterà senza immunità. Ridicole le accuse di irresponsabilità: la crisi è inarrestabile e ci vuole molto più di un governicchio per arginarla

Berlusconi potrebbe salvarsi il deretano in cinque minuti. Le vie d'uscita ci sono, basterebbe piegarsi al volere del Pd e di Napolitano e il Cav non farebbe neanche un giorno di galera. Molti, a sinistra, erano convinti di liberarsi per sempre dell'arcinemico: i più "collaborativi" erano pronti a garantirgli ogni possibile salvacondotto giudiziario in cambio dell'autoesclusione dalla scena politica, i più intransigenti invece vorrebbero sfruttare la condanna a un anno di reclusione per toglierlo di mezzo anche politicamente. Senonché Silvio, dopo due settimane drammatiche, ha improvvisamente svestito i panni della colomba per trasformarsi in falco. Un falco pericolosamente kamikaze.
 
Facciamo ordine. Non è stata solo la recente condanna in Cassazione a scatenare la voglia di Berlusconi di far saltare come un tappo gli equilibri faticosamente costruiti negli ultimi mesi. A indurlo a questa scelta sono stati i diktat di Napolitano e soprattutto le minacce del Pd, il quale ha deciso di cogliere la palla al balzo e di sfruttare la condanna penale del Cav per estrometterlo dal Senato appellandosi alla recente legge Severino. In realtà, tutti i giuristi hanno fatto rilevare che l'incandidabilità non è automatica in presenza di una condanna, dipende dai casi. Perciò se il prossimo 9 settembre dovesse essere votata la decadenza di Berlusconi dalla carica di senatore, si tratterebbe di una scelta tutta politica.
 
Le conseguenze per il Cav sarebbero nefaste. Privato dell'agibilità politica e soprattutto delle poche forme di immunità che gli garantisce la carica di parlamentare, potrebbe ritrovarsi in balia delle procure, una delle quali, quella di Napoli (dove è indagato per la vicenda della presunta compravendita di parlamentari), sarebbe pronta - si vocifera - a spiccare un mandato d'arresto nei suoi confronti.
 
Proprio su questo deve aver fatto leva il presidente Napolitano, che nel suo criptico comunicato ha lasciato trapelare la possibilità di concedere la grazia a Berlusconi, il che escluderebbe automaticamente il rischio di espulsione dal Senato. Quello che Napolitano non ha detto ma che si intuiva comunque, è che per ottenere la grazia il Cav dovrebbe abbandonare la leadership del centrodestra chiudendo una volta per tutte la lunga stagione politica che lo ha visto protagonista. In parole povere, l'offerta del Capo dello Stato è questa: "Io ti concedo la grazia, tu in cambio assicuri sostegno assoluto al governo di larghe intese pro-euro e pro-austerity e dopodiché ti metti in un angolino zitto zitto". Risulta evidente, a questo punto, che anche il Pd, al di là delle schermaglie e delle minacce, alla lunga si allineerebbe a questa proposta, ammesso che non l'abbia già sposata in pieno.
 
Chiunque, nella posizione di Silvio, avrebbe accettato. Perché i procedimenti giudiziari ancora aperti sono tanti, perché l'età avanza, perché le aziende di famiglia hanno guadagnato parecchio in borsa grazie alla maggiore stabilità favorita dalle larghe intese. Ma Berlusconi no. Il leader di Forza Italia preferirà correre il rischio di essere travolto dalle procure piuttosto che piegarsi al volere degli ex comunisti. D'altra parte, è grazie a lui se si è riusciti a trovare l'accordo per la rielezione di Napolitano ed è sempre grazie a lui se l'Italia oggi ha uno straccio di governo. A maggior ragione Berlusconi non accetta di venire relegato nel dimenticatoio con la minaccia di essere mandato in pasto ai pm d'assalto, per di più dopo l'ennesima condanna basata su un'accusa ritenuta (forse non a torto) assurda, come quella di aver frodato la propria azienda, quella che lui stesso ha creato e che oggi i suoi figli dirigono. Perciò l'ordine impartito ai suoi (o a chi dei suoi è disposto a seguirlo) è stato chiaro: se sarà votata la sua decadenza da senatore, tutti i ministri del PdL rassegneranno le dimissioni e la sorte del governo Letta sarà segnata.

L'obiettivo, a quel punto, saranno le elezioni immediate, con quale centrodestra e con quale leadership non si sa. Il tutto porterà ad un inevitabile e lungo braccio di ferro con Napolitano, il quale sta già apparecchiando tutto per evitare il voto anticipato, come dimostra la nomina di quattro senatori a vita che non faranno mancare il loro appoggio ad un Letta-bis sostenuto da tutto e di più. Re Giorgio, insomma, continua ad essere il punto di riferimento più sicuro per quei poteri extranazionali che mirano a controllare l'Italia dall'alto, in barba alla sovranità popolare; e considerando la forza dell'apparato politico e mediatico di cui dispongono costoro, serve un'impresa da titani per rovinare i piani di Napolitano e portare l'Italia al voto prima del 2015. 
 
Quanto alle accuse di irresponsabilità che da più parti stanno già piovendo sul Cav, è evidente quanto queste siano ridicole. La crisi economica che stiamo vivendo è inarrestabile e, come questo blog ha cercato tante volte di spiegare, non saranno certo i raffazzonati ed immobili governi di "grossa coalizione" ad arginarla. Occorre molto di più, bisogna ribellarsi ai parametri di bilancio imposti dagli accordi europei sulla moneta unica. L'Europa intera ha bisogno di libertà, libertà di indebitarsi per andare in soccorso di un'economia sull'orlo del soffocamento. Ci vuole un coraggio da leoni, altro che governicchi che ci impiegano un anno ad abolire mezza tassa.  


Ho fatto un sogno impossibile

L'Italia ha bisogno di una catarsi. Ecco come ciò potrebbe avvenire in tempi incredibilmente brevi
 

Ho fatto un sogno impossibile. Il Partito democratico fa cadere il governo Letta perché non può essere l'alleato di un pregiudicato. L'accordo Pd-grillini non regge, anzi, non viene nemmeno raggiunto perché Renzi ovviamente lo fa saltare.
 
Si torna a votare con l'attuale legge elettorale, che però impedisce la formazione di una maggioranza di governo. L'Italia rimane nuovamente senza un esecutivo, trascorrono settimane di caos, l'economia stenta a riprendersi.
Si rende necessario l'intervento della Trojka, il super governo europeo che mette al potere propri fantocci, esattamente come accaduto in Grecia. È proprio l'esperienza del paese ellenico a scatenare l'immediata ostilità degli italiani, tanto che le manifestazioni di protesta nelle piazze, all’inizio tenute sotto controllo, diventano sempre più violente. Scoppia la rivoluzione contro il governo della Trojka, contro i governi sovranazionali occulti, contro la moneta unica, insomma contro tutto ciò che è all'origine del disastro economico e di molti degli attuali mali dell'Italia. La miccia della sollevazione accesa da noi dilaga rapidamente in tutti i paesi del Sud Europa. 
 
È la catarsi tanto attesa, l'unica via d'uscita dalla catastrofe comunque incombente. Un sogno, forse impossibile.

Berlusconi-Gheddafi: il Cav cercò di difendere gli interessi dell'Italia

Sulla cattura del dittatore di Tripoli si è giocata una partita senza esclusione di colpi. La posta in palio non era la libertà dei libici, ma il petrolio

Una fonte dei Servizi segreti ha rivelato al Fatto Quotidiano che durante la crisi libica l'allora premier Silvio Berlusconi voleva sapere dagli 007 se era possibile eliminare Muammar Gheddafi. "Il premier italiano si preoccupava di allontanare da sé l’ombra del tiranno con cui aveva avuto rapporti molto stretti”, riporta il giornale, ma probabilmente tutta la vicenda è molto più complessa.

Lo scoop, in realtà, sorprende relativamente, per quanto l'ex premier abbia smentito duramente le accuse. Per saperne di più sulla situazione del Cav e dell’Italia circa i rapporti con le altre potenze, basta leggere l’ultimo articolo dell’Attaccabrighe. Occorre ricordare che Berlusconi ha stipulato accordi assai vantaggiosi con Russia e Libia per le forniture di gas e petrolio all'Italia, dando vita ad un vero e proprio asse con Putin e Gheddafi, cosa che ovviamente non piaceva né agli americani nell'ottica della guerra energetica con i russi, né all'Ue, anche perché era in contrasto con l'idea di costruire un gasdotto (il Nabucco) che dovrebbe portare in Europa il gas dell'Azerbaijan e del Turkmenistan senza passare dalla Russia.

Per farla breve, Ue e Usa vorrebbero che l'Europa fosse meno dipendente dal gas russo, mentre invece Berlusconi andava esattamente nella direzione opposta, anche perché per l’Italia i vantaggi sarebbero stati notevoli. A far irritare ancora di più gli americani è stata l’intermediazione attuata da Berlusconi affinché i russi mettessero le mani su alcuni giacimenti in Libia. Stando così le cose, non è escluso che anche le vicissitudini giudiziarie dell'ex premier siano legate a questi fatti.

Tornando agli 007, è possibile che Silvio volesse far catturare Gheddafi (uccidere sembra francamente troppo) prima che francesi e americani arrivassero in Libia, per poi far passare l'uccisione del dittatore come un atto dei rivoltosi di Tripoli. Così avrebbe potuto difendere gli affari fatti dall'Eni e altre aziende italiane nel paese nordafricano, evitando intromissioni francesi e americane, e magari salvaguardando anche la propria immagine da eventuali accuse legate a certi rapporti amichevoli con Gheddafi.

Sappiamo poi che le cose sono andate diversamente: il dittatore è stato eliminato grazie all'intervento diretto di americani e francesi, e questi ultimi si sono subito inseriti laddove prima le aziende italiane spadroneggiavano. Quanto invece a presunte vicende personali di Berlusconi, non è più uscito nulla, o per lo meno nulla di pruriginoso. La verità è che sulla cattura di Gheddafi si è disputata una gara senza esclusione di colpi. La posta in palio non era la libertà dei libici, ma il petrolio e la guerra energetica tra Usa e Russia in cui l'Italia, che dipende interamente dalle importazioni, ha giocato autonomamente la propria partita, cercando poi di non finire stritolata nello scontro fra i due giganti.

Altro che sexygate: Berlusconi fu fatto fuori per i legami con Putin e Gheddafi

L'ex premier agì in modo troppo spregiudicato nello stipulare accordi sull'energia con Russia e Libia, favorendo anche l'ingresso della Gazprom in Africa. Dai cablogrammi della Clinton alle trame di Sarkozy, un'inchiesta de Il Giornale spiega come Usa e Ue hanno fatto di tutto per eliminare il Cav, stritolato dalla guerra energetica Usa-Russia

Questo articolo riporta integralmente un'inchiesta pubblicata a puntate su Il Giornale tra il 4 e il 7 giugno 2013.
"Non credo ai complotti internazionali, che andavano molto di moda fra noi giornalisti negli anni Sessanta e Settanta (vedevamo «piste» nere, rosse e bianche in ogni pertugio della politica) ma alle influenze internazionali e alle loro conseguenze sì. Molti di noi hanno pensato che il processo per mafia contro Giulio Andreotti e l'operazione Mani Pulite avessero anche a che fare con dei circoli americani dalla memoria lunga che non dimenticavano Sigonella.
Non lo sapremo mai. Certo, fa impressione che nessun editore italiano se la sia sentita di pubblicare un libro uscito solo in inglese, The Italian Guillotine (La ghigliottina italiana), firmato da Stanton H. Burnett e Luca Mantovani. Il libro è del 1998 e nella premessa a pagina 9 vi si legge: «Un gruppo di magistrati altamente politicizzati, in larga maggioranza orientati a sinistra, agendo come pubblici ministeri, hanno usato una legittima inchiesta giudiziaria per perseguire, selettivamente, i loro nemici politici, ignorando o minimizzando misfatti simili dei loro alleati politici. L'investigazione di fondo è stata un'inchiesta su pratiche che erano andate avanti per decenni... I magistrati sono stati abbondantemente appoggiati da un gruppo di quotidiani e settimanali, tutti di proprietà di alcuni pochi grandi industriali che avevano una chiara posta in gioco nel successo del colpo di Stato».
Infatti, quello che i magistrati hanno deliberatamente perseguito («the fact is that men plotted and planned», p. 241) viene definito dagli autori un «colpo di Stato», vale a dire il «rovesciamento non democratico del regime che ha governato la quarta potenza industriale dell'Occidente» (p. 1). Ciò che colpisce di più di quel testo, è che non sia mai stato tradotto e pubblicato. Guai a chi avanza simili ipotesi. Allora, credo che chiunque possa convenire purché in buona fede, anche alle anime più belle qualche dubbio dovrebbe venire sul bombardamento giudiziario a tappeto scatenato contro Silvio Berlusconi. Possibile che sia e sia stata tutta farina del sacco di un gruppetto di intrepidi servitori dello Stato nelle vesti di pubblici ministeri? Per troncare sul nascere il finto dibattito, basta il dato di fatto più noto: il famoso avviso di garanzia, che in realtà era un invito a comparire, recapitato per via giornalistica il 22 novembre 1994 a Berlusconi presidente del Consiglio mentre era a Napoli a presiedere una conferenza internazionale sulla criminalità. Quell'articolo del Corriere della Sera presentò per la prima volta al mondo intero Berlusconi come un potenziale criminale mentre guidava una crociata contro la criminalità. Le conseguenze le ricordate: un bagno di merda per tutto il Paese, il ritiro di Bossi dalla maggioranza con conseguente ribaltone e prima cacciata di Berlusconi. Il fatto notevole è che Berlusconi risultò poi totalmente innocente per le ipotesi di reato che avevano stroncato la sua partenza come capo del governo, ma la mazzata mediatica determinò la vittoria di Prodi nel 1996 e cinque anni di traballanti governi di centrosinistra (Prodi, D'Alema, Amato, con Rutelli che si cambiava in panchina). Dunque, basterebbe questo solo fatto per concludere che certamente su Berlusconi si è scaricato un fall out radioattivo di materia giudiziaria che puntava a farlo fuori politicamente.
Che poi Berlusconi possa aver commesso gravi imprudenze nella sua condotta privata, dimenticando che nella cultura democratica occidentale la vita privata di un uomo di Stato è un fatto pubblico, è un altro paio di maniche. Ma sta di fatto che oggi lui si trova a fronteggiare una più che probabile condanna non per questioni di imprudenza nello stile di vita a casa sua, ma per reati che suonano gravissimi come la concussione e la prostituzione minorile. Chi mi conosce sa che giudico con molta severità tutte le imprudenze, come minimo, che hanno contribuito a devastare l'immagine di un primo ministro. Trovo prima di tutto imperdonabile aver fornito con generosità armi mediatiche a tutto il fronte politico, giudiziario e mediatico che vuole Berlusconi politicamente morto e con lui politicamente morta una politica liberale non intorpidita dal conformismo imposto a colpi di decreti legge giornalistici. Ma quel che è fatto è fatto e guardiamo all'oggi. E torniamo così alla domanda di partenza: c'è caso che una vasta operazione, che non chiameremo complotto ma proprio operazione, fu avviata e poi mantenuta costantemente attiva per liquidare politicamente Berlusconi?
Questa è una domanda che quando la si fa in privato ad amici di sinistra, trova quasi sempre come risposta un'espressione di comprensione, come dire che è ovvio che sia così. Ma se la metti per iscritto e la pubblichi, devi poi aprire l'ombrello sotto le cateratte degli insulti. Macché, grideranno, Berlusconi si trova sotto attacco giudiziario per sue colpe e delitti, in un libero Paese in cui una magistratura notoriamente «terza» e senza preconcetti lo processa senza altri fini che scoprire i reati e castigarli secondo giustizia. È ovvio che, messa così, viene da ridere.
Di qui, di nuovo, la domanda: ma può essere che l'eliminazione di Berlusconi faccia parte di una vasta operazione politica internazionale, visto che i confini nazionali sono in genere troppo stretti per faccende di così meravigliosa sintonia? Ieri rileggevo un breve articolo di Alessandro Sallusti pubblicato su Libero nel maggio del 2009, in cui dava una notizia che non mi risulta smentita. La notizia è questa: il 23 marzo di quell'anno, il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ricevette in forma più che discreta Michail Gorbaciov, un uomo di cui ho uno sgradevole ricordo: mentre Alexander Litvinenko moriva tra atroci sofferenze in ospedale di Londra, l'ultimo capo dell'Unione Sovietica si faceva fotografare in taxi con una vistosa borsa Vuitton da cui emergeva un giornale aperto sul caso Litvinenko. Secondo Sallusti, che immagino avesse una fonte diplomatica da non citare, sosteneva che il tema dell'incontro alla Casa Bianca fra Obama e Gorbaciov fosse Berlusconi. O meglio: come eliminare dalla scena europea lo scomodissimo presidente del Consiglio italiano. Ci si può chiedere: e perché rivolgersi a Gorbaciov? La ragione c'è: l'ultimo segretario del Partito comunista dell'Unione Sovietica (un uomo che è sempre stato rifiutato dai russi e che non è mai stato eletto in libere elezioni dove prese poco più del 2 per cento) è diventato da quei lontani tempi sovietici un guru, un ambasciatore fra lobby di potere, autore di mille articoli del tutto vacui e inutili, ma influente e disposto a viaggiare. Se l'informazione è esatta, Gorbaciov si sarebbe dato un gran da fare per tessere una rete multinazionale con cui catturare ed eliminare Berlusconi. Se ciò fosse vero, è ovvio che un tale interesse non sarebbe certo dipeso da questioni di stile di vita, cene con belle ragazze ed eventuali comportamenti disdicevoli. No, se la notizia fosse solida, il movente andrebbe cercato altrove. Andrebbe cercato nelle pieghe della politica che conta, quella che sposta ricchezze gigantesche e in particolare le questioni energetiche. Che gli americani siano più che irritati con Berlusconi per la sua strettissima amicizia con Putin è un fatto certo. Ricordo un cordiale colloquio con l'ambasciatore Spogli che mi confermò questo elemento di ostilità.
Voglio anche ricordare, per lealtà verso chi mi legge, che io stesso non ho alcuna simpatia per Vladimir Putin, la cui idea della democrazia sta agli antipodi di quella di Thomas Jefferson e di Alexis de Tocqueville. Mi indignò l'invasione russa della Georgia e tuttora mi indigna la persecuzione contro le ragazze del gruppo Pussy Riot e molto altro. Ma è certo che l'antipatia degli Stati Uniti per Putin va molto al di là dei comportamenti censurabili, perché si concentra invece sulla questione energetica."
Paolo Guzzanti

"I leader mondiali e le trame anti Cav: ecco la vera storia"
"L'amicizia con Putin è stata un boomerang per Silvio"
"Non vorrei annoiare i lettori con una lunga storia di gasdotti che trasportano milioni di metri cubi di gas dall'est russo e centroasiatico all'Europa occidentale, basterà ricordare che il 23 giugno del 2007 fu dato l'annuncio dell'accordo fra Italia e Russia per il progetto South Stream.
Cioè di un gasdotto lungo 900 chilometri, costruito da Eni e Gazprom, che permetterà alla Russia di rifornire di gas l'Europa senza passare dall'Ucraina, attraversando il Mar Nero a oltre 2000 metri di profondità per raggiungere la costa bulgara. Il memorandum di intesa, che ha «una portata geopolitica senza precedenti» (Corsera) fu firmato a Roma al ministero dello Sviluppo, dai ministri Pier Luigi Bersani (proprio lui) dal ministro russo all'energia Khristenko), dall'ad dell'Eni Scaroni e dal vicepresidente di Gazprom Medvedev (che è soltanto un omonimo l'ex presidente). Quel gasdotto ha di fatto ammazzato il progetto Nabucco per un gasdotto tutto europeo che tenesse la Russia lontana, usando gas dell'Azerbaigian, del Turkmenistan e in prospettiva dell'Iran.
Uno dirà, già lo sento: e che cavolo c'entra questa vicenda di gas russi e turkmeni con la requisitoria della Boccassini e l'imminente sentenza di Milano contro Berlusconi accusato di prostituzione minorile e di concussione? Risposta: ecco, vorremmo saperlo anche noi. Proprio io, che sono stato molto severo con Berlusconi per certe sue intemperanze comportamentali, che ho inventato un termine che era già nell'aria - Mignottocrazia che è anche il titolo di un mio libro - proprio io di fronte a quel processo sento, come dire, puzza di bruciato. Voglio dire: possiamo discutere e giudicare politicamente tutti i comportamenti di chi rappresenta lo Stato, fin da quando al mattino si allaccia le scarpe; ma tutt'altra faccenda è tradurre il life style, il modo di comportarsi e di apparire, in reati previste dal codice penale e in processi che emettono sentenze devastanti senza disporre di una sola vera prova: la famosa «pistola fumante» che Bush non trovò per giustificare l'invasione dell'Irak, ma che invece va benissimo, anche se non fuma, per liquidare un uomo politico di prima grandezza per via giudiziaria. Sia ben chiaro subito: non penso affatto che il procuratore Ilda Boccassini sia il braccio armato di un complotto. Penso anzi che l'infaticabile procuratore sia in cuor suo in perfetta buona fede. Ma penso anche, come altri milioni di persone, che la pretesa criminalità di Berlusconi che a casa sua, nella sua sala da ballo fa il galante e il gaudente, basti a giustificare, o anche soltanto a spiegare una campagna, per dirla con Brecht, di mille galeoni e mille cannoni.
Questa impressione di una vasta operazione l'abbiamo avuta quando Berlusconi tornò dalla famosa riunione in cui Frau Merkel ridacchiava, Sarkozy faceva marameo, mentre Obama in quel periodo giocava all'uomo invisibile e sembrava una festa un po' diabolica come quella di Rosemary's baby di Polanski. Tutti sembravano sapere già tutto, salvo l'interessato, profondamente turbato e incredulo.
Qualcosa di molto vasto e di molto collettivo - per questo è meglio parlare di una operazione su vasta scala e non di un complotto - era accaduto e andava a compimento dopo un lungo lavoro fatto di incontri, telefonate (centinaia, si presume) e lavoro lobbistico sul tema: far fuori Berlusconi. Il quale, però, è un tipo strano. Cocciuto, riesce quasi sempre a spiazzare e sparigliare, sicché, dopo essersi dimesso dalla politica pronto a costruire ospedali in Africa, vedendo che l'accanimento contro di lui non diminuiva ebbe l'impressione che la grande rete dell'operazione lo volesse proprio morto, politicamente e umanamente annientato. E siccome è, come dicono i romani, un tipo fumantino, organizzò la propria resurrezione, spolverò la sedia di Travaglio, risalì la china e il resto è storia di questi giorni, come è storia di questi giorni l'esito del processo Ruby e degli altri processi.
Ci sono molte storie dentro questa storia. Molti dettagli e risvolti che meritano di essere rivisitati e connessi. Non voglio citare il solito Andreotti dell'a pensar male si fa peccato ma in genere ci si azzecca. Ma certo è che giornalisti e storici, oggi e domani, avranno un gran da fare per tentare di stabilire ciò che realmente accadde, come accadde con quali moventi, chi mosse le pedine, qual era la posta in gioco. Un primo tentativo può essere fatto anche adesso e la verità, questo famoso bene supremo che dovrebbe animare il giornalismo non può che avvantaggiarsene."
Paolo Guzzanti

"La guerra della Casa Bianca all’asse tra il Cav e Mosca"
"Mentre a Bengasi scoppiava la rivolta, Medvedev firmava accordi con l’Eni per i diritti di un pozzo in Libia: uno sgarro per Obama"
"Se vivete di pane e complotti, il 15 febbraio 2011 vi sembrerà una congiunzione fatidica e fatale. Se non ci credete, godetevi le bizzarrie del destino e della storia. Quel giorno tra Mosca, Bengasi e Milano si compiono tre avv enimenti chiave, apparentemente slegati tra loro.
Nella capitale russa, il consigliere del Cremlino Sergei Prikhodko annuncia l’arrivo a Roma del presidente Dmitry Medvedev per la firma di uno storico contratto con l’Eni,destinato ad aprire le porte della Libia al gigante del petrolio russo Gazprom.
A Milano, nelle stesse ore, il giudice per le indagini preliminari Cristina Di Censo deposita il rinvio a giudizio per gli imputati del processo Ruby. A Bengasi, invece, scoppiano i disordini che spingeranno la Nato all’intervento militare e all’eliminazione di Gheddafi.
Nessuno quel giorno può intravvedere la minima correlazione fra i tre eventi, destinati a determinare l’emarginazione internazionale dell’allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e portarlo alle dimissioni.
Le conseguenze del processo Ruby e della rivolta di Bengasi sono ormai chiare.
Quelle dell’annuncio di Mosca, seppure meno trasparenti, sono fondamentali per comprendere perché i legami intessuti dal governo Berlusconi con Mosca e Tripoli fossero un ostacolo agli interessi di alcuni importanti«alleati»dell’Italia. L’accordo firmato dal presidente Medvedev, a Roma il 17 febbraio 2011, mentre a Bengasi già infuriano gli scontri, garantisce il passaggio a Gazprom della metà dei diritti di sfruttamento, detenuti per il 33 per cento da Eni, del pozzo libico di El Feel. Quel giacimento non è una risorsa come le altre. Scoperto nel 1997 da un consorzio internazionale partecipato dall’Eni, e battezzato Elefante per le sue dimensioni, il pozzo, situato a 800 chilometri a sud di Tripoli, custodisce circa 700 milioni di barili di greggio. È insomma una delle più importanti riserve della nostra ex colonia. La cessione di un sesto di quel greggio a Gazprom, la compagnia petrolifera considerata il braccio armato di Mosca nella guerra per l’energia tra Russia e Stati Uniti, viene visto come uno sgarro dell’Italia alle politiche energetiche dell’Europa e della Casa Bianca. Uno sgarro frutto degli stretti legami d’amicizia in­tessuti da Silvio Berlusconi con Vladimir Putin e Muhammar Gheddafi. Per capire perché l’accordo sul pozzo di El Feef diventa la goccia capace di far traboccare il vaso spingendo i nostri alleati a eliminare Gheddafi e a ridimensionare Berlusconi, bisogna far un salto indietro al 3 novembre 2003. Quella notte un’operazione organizzata dal Sismi di Niccolò Pollari, d’intesa con Cia e MI6 britannico, porta alla scoperta nelle stive del portacontainer «Bbc China», da po­co attraccato nel porto di Taranto, di un importante carico di frequenziometri, pompe, tubi di alluminio e altre parti essenziali per assemblare le centrifughe destinate all’arricchimento dell’uranio. Quel carico destinato a Tripoli diventa la «pistola fumante» sufficiente a provare i tentativi del Colonnello libico di dotarsi di armi nucleari. La «pistola fumante» viene subito usata da Cia e MI6 per mettere Gheddafi con le spalle al muro e convincerlo a rinunciare ai suoi programmi nucleari garantendogli, in cambio, la fine delle sanzioni e la ripresa dei rapporti commerciali con l’Occidente.
La capacità dell’Italia di assicurarsi le più importanti commesse libiche, grazie ai rapporti tra Berlusconi e il Colonnello, finisce con il mettere in crisi il patto siglato tra le banchine di Taranto. I primi a soffrire e a lamentarsi sono gli inglesi. Sir Mark Allen, l’uomo dell’MI6 mandato a fine 2003 a gestire la resa di Gheddafi, si ritrova a dovergarantire la liberazione dello stragista di Lockerbie, Abdul Baset Ali al Meghrai, per assicurare alla Bp un contratto da 54 milioni di sterline.
Berlusconi nel frattempo inanella accordi assai più fruttuosi, usando esclusivamente il rapporto personale con l’estroso dittatore libico. Il malessere di Londra resta confinato finché la Casa Bianca resta nelle mani di un George W. Bush e di un’amministrazione repubblicana disposti ad accettare le politiche «parallele» dell’alleato italiano in cambio della collaborazione a livello internazionale, dell’impegno in Iraq e Afghanistan e degli stretti rapporti intessuti con Israele. Lo scenario cambia bruscamente agli inizi del 2009, quando lo Studio Ovale passa nelle mani di Barack Obama e dell’amministrazione democratica. Con il cambio d’inquilino, cambiano anche strategie e obbiettivi. Le costanti frizioni con il premier israeliano Benjamin Netanyahu spingono gli strateghi democratici a definire un’ardita politica di avvicinamento ai Fratelli Musulmani. Dopo averli frettolosamente identificati come la forza emergente pronta ad abbracciare la democrazia e ad accettare, grazie all’aiuto del Qatar, le politiche di Washington, i teorici liberal di Obama scommettono su di loro per sostituire quei dittatori fulcro delle strategie americane in Medio Oriente e Nord Africa. La nuova alleanza, oltre a rendere marginale il ruolo d’Israele, sancisce una svolta nell’ambito dello scontro energetico con la Russia. Il Qatar, nemico dell’Iran sciita e quinto produttore mondiale di gas, diventa- nei piani messi a punto dai think tank democratici - uno dei tanti tasselli destinati impedire a Gazprom e a Mosca di egemonizzare le forniture energetiche all’Europa.
Nell’ambito di questa nuova strategia anche l’Italia di Berlusconi si trasforma in un ostacolo da spianare. E a farlo capire, sollecitando inchieste segrete capaci d’innescare accuse di corruzione e interesse privato ben peggiori di quelle piovute su Berlusconi un anno dopo, ci pensa il segretario di stato democratico Hillary Clinton. «Preghiamo di fornire qualsiasi informazione sulle relazioni personali tra il primo ministro russo Vladimir Putin e il premier Silvio Berlusconi. Quali investimenti personali, potrebbero aver indirizzato le loro politiche economiche ed estere», scrive un lungo cablogramma segreto, diventato pubblico grazie a Wikileaks , in­dirizzato a fine di gennaio 2010 dalla segreteria di stato di Washington alle ambasciate di Mosca e Roma. La Clinton chiede insomma a diplomatici e a servizi segreti di fornirgli delle prove da usare contro l’«alleato » Berlusconi e contro il «nemico » Putin. Cosa vuole fare con quelle informazioni il capo della diplomazia americana? Come intende utilizzarle? A chi vuole passarle? Forse non lo sapremo mai. Ma sappiamo che, in quel gennaio 2010, all’assalto giudiziario contro Berlusconi si aggiunge la guerra internazionale."
Gian Micalessin

"Quando Hillary spiava il Cav per vincere la guerra del gas"
Quel cablogramma pubblicato da Wikileaks...
"«Quali sono i punti di vista dei funzionari del governo e di quelli dell'Eni sulle relazioni nel settore energia dell'Italia con la Russia e con il progetto South Stream... Vi preghiamo di fornire ogni informazione sui rapporti tra i funzionari dell'Eni, incluso il presidente Scaroni e i componenti del governo, specialmente con il primo ministro Berlusconi e il ministro degli Esteri (all'epoca Franco Frattini, ndr)».
La pressante richiesta d'informazioni è contenuta in un cablogramma segreto, datato gennaio 2010, inviato all'ambasciata di Roma dalla segreteria di stato Usa guidata da Hillary Clinton. La richiesta sembra quasi anticipare alcune inchieste giudiziarie destinate a colpire in periodi successivi alcune nostre importanti aziende di stato, impegnate in ambito internazionale. Ovviamente è azzardato pensare che le indagini della nostra magistratura italiana siano state influenzate dalle informazioni raccolte dai servizi segreti o dal personale diplomatico statunitense. Alla base di tutto c'è però il sospetto e l'ostilità per il rapporto personale stretto da Silvio Berlusconi e Vladimir Putin sin dal vertice di Pratica di Mare del lontano 2002. Un rapporto dalle inevitabili ricadute sul fronte della guerra per l'energia e delle condutture strategiche. Un rapporto che gli americani tengono sott'occhio fin dall'aprile 2008, quando un telex inviato dall'ambasciata statunitense a Roma al ministero del Tesoro di Washington consiglia di far pressione su Berlusconi, da poco rieletto, perché metta un freno all'alleanza tra Eni e Gazprom. «Bisognerebbe spingere il nuovo governo Berlusconi ad agire un po' meno come il cavallo scalpitante degli interessi di Gazprom... l'Eni - scrive il dispaccio confidenziale diventato poi pubblico grazie a Wikileaks - sembra appoggiare i tentativi di Gazprom di dominare le forniture energetiche dell'Europa, andando contro i tentativi americani, appoggiati dall'Unione Europea di diversificare le forniture energetiche».
Quell'informativa non incrina certo i rapporti tra l'amministrazione Bush e il Cavaliere, chiamato di lì a due anni a un intervento davanti al Congresso americano su richiesta della maggioranza repubblicana. Diventa però un pesante atto d'accusa quando a decidere le nuove strategie è l'amministrazione Obama. All'origine di quell'informativa ci sono gli incontri del 2 aprile 2008 tra il presidente dell'Eni Paolo Scaroni e Vladimir Putin nella dacia di Ogaryovo, in cui viene definito l'intervento di Gazprom in Libia e Algeria con l'aiuto dell'Eni e la partecipazione italiana al progetto South Stream. Quei due protocolli d'intesa diventano nell'era Obama un vero atto d'accusa nei confronti del governo Berlusconi, sospettato di favorire una manovra a tenaglia per imporre all'Europa l'egemonia energetica di Mosca. A far paura è soprattutto il South Stream, il progetto di gasdotto italo-russo-turco destinato a portare il gas del Caspio in Puglia e in Friuli Venezia Giulia, tagliando fuori l'Ucraina e passando per Turchia, Serbia e Slovenia. Un progetto in diretta competizione con il Nabucco, il gasdotto messo in cantiere da Ue e Usa per vendere in Europa il gas dell'Azerbaijan ed evitare così qualsiasi dipendenza dalla Russia.
In questo clima la foto di Putin, Berlusconi e del premier Turco Recep Tayyp Erdogan, che firmano - il 6 agosto 2009 - l'accordo per il passaggio delle tubature sotto il Mar Nero, si trasforma in un'autentica ossessione per l'amministrazione Obama e per i paesi dell'Unione Europea avversari di Mosca. Primi fra tutti la Francia e la Gran Bretagna. Nell'immaginario di quell'ossessione, South Stream rappresenta il piano di Berlusconi e Putin per stringere la Ue in una vera e propria ganascia energetica e ricattarla. Il secondo potente braccio di quella tenaglia immaginaria è rappresentato da «Greenstream» e «Transmed», le due condutture controllate dall'Eni che portano in Europa il gas dalla Libia e dall'Algeria. All'accerchiamento dell'Europa contribuisce su un terzo settore anche il North Stream, il gasdotto destinato a rifornire di gas russo il nord dell'Europa. Ma su quel progetto, appoggiato e voluto dalla Germania, nessuno fiata. South Stream e gli accordi Gazprom-Eni diventano, invece, il bersaglio preferito degli strali europei e americani. Bruxelles dichiara già nel 2008 di voler sorvegliare i crescenti interessi garantiti da Eni a Gazprom nel Nord Africa. E Andris Pielbags, al tempo commissario europeo dell'energia, mette in guardia dalla possibilità che Eni collabori con Gazprom anche in Algeria. Nel luglio 2010 il suo successore Guenther Oettinger, non si fa problemi a dichiarare che il South Stream non rientra negli interessi dell'Europa in quanto concorrente del Nabucco. La prima ad agire direttamente è Angela Merkel, che nel luglio 2010 vola ad Astana per chiedere al presidente Nursultan Nazarbayev di mettere il gas kazako a disposizione del Nabucco. Da quel momento la vera tenaglia diventa quella messa insieme da Washington e Londra da una parte e da Parigi e Berlino dall'altra. Una tenaglia studiata per schiacciare l'asse Roma-Mosca e annullarne gli effetti.
Il primo a sfruttare il cambio di strategia introdotto dall'amministrazione Obama è il presidente francese Nicolas Sarkozy. Sospettato e accusato di aver beneficiato di 50 milioni di euro, messigli a disposizione dal rais per la sua elezione, Sarkò si ritrova, come gli inglesi, incapace di tessere un rapporto proficuo con Gheddafi. Nonostante il Colonnello abbia piantato la sua tenda nel cuore di Parigi assai prima che a Roma, la Total porta a casa solo 55mila barili di petrolio al giorno contro gli oltre 280mila della nostra Eni. La «tenaglia» Eni-Gazprom rischia di rendere inutili anche gli accordi per la vendita sul mercato europeo del gas stretti da Parigi con l'emirato del Qatar. Un emirato a cui Sarkozy fa di tutto per «regalare» i campionati mondiali di calcio del 2022.
La deflagrazione delle cosiddette primavere arabe sponsorizzate e appoggiate dal Qatar è un altro atto importante per avvicinare le posizioni dei principali avversari dell'asse Roma-Mosca-Tripoli. Il vero colpo da maestro il Qatar lo realizza in Libia, dove accende la rivolta manovrando gli ex al qaidisti tirati fuori dalle galere di Gheddafi grazie a una mediazione con il figlio Saif. Come è risaputo, la rivolta di Bengasi si realizza solo grazie alla defezione di Adnan al Nwisi, un colonnello dell'esercito libico sul libro paga del Qatar, che consegna a un gruppo jihadista un deposito di armi della città di Derna. I 70 veicoli e i 250 fucili razziati in quell'arsenale consentono qualche giorno dopo di espugnare il quartier generale di Bengasi e accendere la rivolta che porterà alla caduta di Gheddafi. Una caduta che Berlusconi, libero dall'immagine devastante cucitagli addosso dal processo Ruby, avrebbe potuto forse evitare. La fine del Colonnello non porta la democrazia in Libia, ma si rivela perfetta per smantellare gli interessi di Eni e Gazprom, per rendere più debole l'economia dell'Italia e aggravare quella crisi che porterà, alla fine del 2011, alle dimissioni del governo Berlusconi e all'avvento del governo «europeista» e «atlantista» di Mario Monti."
Qui una sintesi dell'intera vicenda