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Castigat ridendo mores

Perché esportare è un costo e importare è un beneficio, spiegato a sora Lella e sora Marta

Ecco perché per la Mosler Economics Modern Money Theory l’export, per l'economia di un paese, è un costo, mentre l’import è un beneficio

Ci sono due famiglie in due Paesi del mondo che vivono lo stesso dramma nello stesso momento. La prima famiglia sta in Normanìa ed è molto ricca, lui dirige un’importante banca. La seconda sta in Salvésia, sono semplici stipendiati. Due coppie quindi, le cui mogli sono in procinto di partorire. Due bimbi nascono, ma entrambi con una grave malformazione cardiaca che richiede un immediato intervento chirurgico salva vita di enorme difficoltà. Esso necessita di una sala operatoria equipaggiata con un robot-laser di altissima tecnologia e specialisti capaci di usarlo. In Normanìa questi mezzi non ci sono. In Salvésia sì.
La coppia normanica corre a prenotare un volo per la Salvésia, contatti frenetici al telefono, la speranza che gli specialisti salvesi siano disponibili. La partenza fra angoscia e ore preziose perse nell’organizzazione, che costa fra l’altro un patrimonio a questa coppia, per fortuna ricca. Nove interminabili ore d’aereo, l’arrivo in Salvésia, la corsa all’ospedale, ma il piccolo spira in ambulanza.
La coppia salvese ha il proprio piccino trasferito un’ora dopo il parto all’ospedale specializzato dove esiste quel costosissimo macchinario salva vita, è operato e sopravvive. Sarà uno splendido bimbetto come tutti gli altri.
Orrore (più che ironia) della sorte ha voluto che questi macchinari chirurgici fossero prodotti da un’azienda normanica ed esportati in Salvésia e in pochi altri Paesi. E ha voluto che il massimo luminare di questa branca della medicina fosse anche lui normanico, che ha esportato il suo cervello all’estero perché in Normanìa i tagli alla ricerca non gli permettevano di lavorare.
Chi di quelle due famiglie è oggi più ricca? Chi delle due sorride alla vita oggi? Quella con 10 conti in banca rigonfi e un tragico funerale, o quella con lo stipendio da dipendenti ma i mezzi medici adeguati e un bellissimo bebè? A che serve avere i milioni se poi non hai i mezzi e gli oggetti reali per le cose che contano?
Questo esempio estremo, ma purtroppo di vita vera, vi illustra cosa siano i “real terms of trade”, cioè i reali termini degli scambi commerciali. In Normanìa, Paese industrializzato, il governo applica da una parte la filosofia economica del ‘risanamento’ dei conti, quindi ha tagliato la spesa pubblica fra cui anche quella sanitaria, considerata dai severi economisti come ipertrofica, e dall’altra si è buttato sull’export per ricevere liquidità dall’estero. E’ una nazione che esporta oltre il 60% di tutto quello che produce, ma anche, come si è visto, esporta intelligenza e professioni, dato che proprio il ‘rigore dei conti’ ha per prima cosa penalizzato le università e la ricerca.
La Salvésia invece fa il contrario. Il suo governo non si preoccupa tanto di risparmiare, preferisce spendere per le infrastrutture, per il lavoro, per le aziende, ma soprattutto esporta poco (11%) e importa molto. Questo significa che lo Stato salvese fa crescere il suo debito proprio per far sì che il suo popolo abbia i mezzi per acquistare beni e servizi reali prodotti in casa e anche all’estero, più che esportarli all’estero. Il debito del ministero del Tesoro salvese cresce, ok, ma quello che conta è che cresce anche la ricchezza reale dei salvesi.
Perché la Normanìa, pur essendo un Paese moderno, non aveva quei beni reali per salvare quella povera vita? L’ho già detto: perché scelse la formula economica sbagliata, quella follia ignorante del ‘rigore della spesa ma export a tutto gas’. Questa formula significa in pratica quanto segue:
- Primo, il pareggio di bilancio impone alla Normanìa di tagliare la spesa pubblica e di alzare le tasse. Questo comporta un impoverimento automatico di tutta la nazione, comporta che le aziende sanitarie hanno rinunciato alla super tecnologia per mancanza di fondi, comporta che neppure i privati hanno voluto spendere per quella tecnologia, visto che l’impoverimento nazionale ha depresso i consumi e le aziende vendono poco, c’è disoccupazione alta, e chi ci va nelle cliniche private a spendere? I soliti quattro ricchi? Non bastano ad ammortizzare i milioni su milioni per la super tecnologia. Comporta che i bravi ricercatori se ne vanno all’estero, dove li pagano meglio. Poi…
- La Normanìa, se vuole che i suoi prodotti siano esportati in ampie quantità, deve impedire ai suoi cittadini di comprarli, cioè di richiederli in ampie quantità, se no ben poco rimane da esportare. Infatti la capacità industriale di un Paese ha un limite, e se si vuole che il 60% di tutto vada all’estero, bisogna riservare solo il 40% ai propri cittadini. Allora il governo normanico deve fare una politica di salari stagnanti che deprima i consumi interni, cioè deve tenere bassi i salari. Questo è già un danno enorme alla società, per motivi ovvi.
- Ma si consideri anche che la Normanìa deve poi competere nell’export con tutti gli altri Paesi, e ce ne sono di molto agguerriti, quelli dove non c’è democrazia e dove gli industriali pagano il lavoro due soldi. I prodotti di questi ultimi, quindi, sono competitivi al massimo, e dunque gli industriali normanici devono anche loro lottare per abbassare il costo del lavoro in Normanìa. Altra mazzata agli stipendi dei normanici. Altro danno ai consumi, altre rinunce abeni reali da acquistare o da importare. E infine chi dipende dall’export è anche appeso al gancio dei capricci delle nazioni che gli comprano la roba. E se domani la Salvésia decide che lo stesso prodotto se lo va a comprare in Goelandia invece che in Normanìa? Ciccia, i normanici stanno a secco.
- Con consumi interni bassi, stipendi al ribasso, circola poco denaro sul mercato normanico, e questo causa un apprezzamento della loro moneta. Ma se la moneta si apprezza, danneggia proprio l’export (diviene più costosa per gli altri Paesi). E allora la Banca Centrale il governo normanici sono costretti a tagliare il costo del denaro e a comprare altre monete sui mercati mondiali (così si apprezzano) vendendo molta della loro (così si deprezza). Uno sforzo continuo e fra l’altro inutile (si veda il LTRO di Draghi!).
- Poi si consideri una cosa centrale: a chi vanno i miliardi che la Normanìa incassa da altri Paesi con tutto quell’export? Vanno in primo luogo ai grandi industriali normanici dell’export, o ai titolari delle Piccole Medie Imprese che esportano. Ma allora, direte voi, vanno anche agli operai e agli impiegati. Si creerà occupazione. No! Per i motivi sopraccitati, perché se tutti quei soldi venissero veramente distribuiti fra i cittadini aumenterebbero gli stipendi e quindi addio alla competitività sull’export, addio ai bassi consumi interni ecc. Poi un’altra cosa tragica. A causa della spietata competizione al ribasso dei prezzi dell'export con le nazioni estere che pagano stipendi da fame (leggi sopra), gli imprenditori dell'export normanici hanno smesso di assumere in patria e vanno ad aprire aziende nei Paesi dei poveracci, quelli che accettano stipendi da fame. Altro che creare occupazione in Normanìa.
- Pensate a quanti lavoratori della Normanìa sgobbano dalla mattina alla sera tutta la vita (con stipendi ribassati) per fare beni reali di cui altra gente all’estero godrà. In Normanìa la disoccupazione è al 10%, questo vuol dire che montagne di persone non producono nulla (tutto PIL perduto), e se a queste si assommano tutte quelle che lavorano per produrre PIL che se ne va all’estero, vi rendete conto di quanto PIL è sottratto in termini reali (cioè cose vere e non statistiche del cavolo) alla Normanìa? Non sarebbe meglio che lo Stato normanico avesse un programma di piena occupazione interna innanzi tutto, e che riservasse all’export solo una quota di lavoro necessaria a incassare dalle altre nazioni un po’ di moneta per finanziare una fetta di importazioni?
- Infine, per chi veramente conosce come funzionano le Banche Centrali (BC) e le banche, è chiaro che tutta la moneta straniera che la Normanìa guadagna esportando finisce in realtà nei conti della BC normanica e da lì non si muove. Es.: quando la Salvésia comprò quegli strumenti chirurgici dalla Normanìa, la ditta salvese pagò in moneta salvese, ovvio. Questo pagamento finì alla BC normanica che a sua volta creò dal nulla il corrispettivo in moneta normanica e lo accreditò all’azienda normanica che aveva venduto i macchinari alla Salvesia. Quindi tutta la moneta estera dell’export finisce sempre nei conti della BC del Paese che esporta. Ma cosa accade poi se quella moneta si svaluta per qualsiasi motivo? (pensate alla BC cinese con quelle montagne di dollari che ha incassato dagli USA che importa roba cinese, e a Washington che ha svalutato il dollaro a rotta di collo. Pechino vede il suo gruzzolo diminuire in valore giorno dopo giorno, e trema coi sudori ghiacci…) Se la moneta incassata dall’export si svaluta la BC normanica si ritrova con carta di poco valore, mentre la Salvesia ha un bene reale che invece continua a salvare vite e a fare della Salvesia un Paese avanzato. Chi sta meglio?
Riassumo: chi esporta tanto priva la propria nazione di una montagna di beni reali in cambio di moneta che non viene ridistribuita alla gente e che può svalutarsi; in cambio della necessità di deprimere sia i consumi che gli stipendi interni; in cambio di sforzi della BC per tenere la moneta locale bassa. Poi chi fa super export storna una massa enorme della sua  forza lavoro a fare beni dei quali godranno altri all’estero, e si ficca in una gara tagliagola con altri Paesi che possono barare sui prezzi, e va là a lavorare e ad assumere, non in patria. Tutte cose che danneggiano un’economia. Chi importa, invece, acquisisce ricchezza reale che fa il Paese ricco e avanzato, ed esporta moneta, che il suo governo (se sovrano) può creare dal nulla con ben pochi limiti.
Infatti, alla fine della fiera, cosa ci rende ricchi come popolo? (non come singoli individui) Risposta: avere sempre case disponibili, avere auto, avere computer, abiti, servizi in tutti i settori, avere ospedali eccellenti, scuole fornite di tutto il meglio, forze dell’ordine che hanno i mezzi per proteggerci, avere cultura in abbondanza, parchi per i bambini, assistenza umana nel bisogno, lavoro per tutti, e ovviamente tutto ciò di materiale che rende quanto sopra possibile. Cioè proprio i beni reali, la tecnologia e i suoi prodotti, gli oggetti utili, gli alimenti, i muri, le strade ben fatte, le infrastrutture moderne, le risorse umane necessarie a fare le cose.
Ora veniamo alle nazioni del nostro mondo, perché qui voi signore avrete pensato: “Ma che dice questo? La Germania è un super esportatore e sono ricchissimi!”. No, no. Chi è ricchissimo in Germania? I signori Siemes o Krups di sicuro. La gente? Leggetevi l’autorevole Karl Brenke, “Real wages in Germany. Numerous years of decline. Weekly report 28/2009, German Institute for Economic Research”. Spiega come in verità i tanto millantati stipendi tedeschi siano in termini reali in declino continuo, proprio per le ragioni sopraccitate. Come ho già scritto in altri articoli, i salari in Germania sono cresciuti della metà rispetto alla media europea, mentre la loro produttività è invece cresciuta del 35%, cioè guadagnano meno e li spremono di più. Per forza. Devono esportare a tutta birra (49% del PIL) ma anche essere competitivi nel costo del lavoro, cioè stipendi in ribasso. Risultato: Mario Draghi il 17/11/12 ha dichiarato a Francoforte che “la crisi sta raggiungendo anche la Germania ora”. I consumi interni tedeschi sono in rapido calo, per forza. La profezia malefica delle ‘virtù’ dell’export si sta avverando anche da loro. Ricordate? Per super esportare, un Paese deve deprimere gli stipendi e i consumi interni. E’ un guadagno questo?

Poi c’è il Giappone, altro esportatore a turboelica. Il Giappone è oggi l’ultimo fra i 18 Paesi più ricchi del mondo in quanto a consumi delle famiglie (Japan Statistical Year book). Se si prende un alimento di base come il mais, in Giappone il consumo delle famiglie di questo alimento negli ultimi 30 anni è stato in negativo per 13 anni, è cresciuto a 0% per 7 anni, e per il resto è rimasto a un misero 2,8% di media (US Dep. of Agriculture). Poi sentite cosa scrive l’Asia Economic Institute: “Le industrie auto giapponesi registrano un calo consumi del 69%, e vi sono cali terribili anche nel commercio di prodotti elettronici e altri prodotti. Questo è dovuto al calo della domanda di export da parte del resto del mondo e al calo dei consumi interni… Anche le famiglie giapponesi benestanti usano l’acqua del bagno mattutino per fare il bucato, per risparmiare consumi di bollette. Dal 2001 al 2007 i consumi a persona sono cresciuti di un misero 0,2%... Il Giappone è sulla via della recessione perché un’economia non può sopravvivere sui cali dei consumi interni e sul crollo dell’export”.Ricordate? Per super esportare un Paese deve deprimere i consumi interni. E’ un guadagno questo?

La Cina: centinaia di milioni di cinesi che vivono in condizione appena post medievali con stipendi da fame per permettere a Pechino di super esportare a prezzi super competitivi. Devastazioni ambientali da film dell’orrore, ecc. Stendiamo un velo.
Gli USA: esportano appena l’11% di ciò che producono, e importano valanghe di prodotti, ma sono ancora il Paese più ricco del mondo.
L’Italia: nel suo periodo di massimo sviluppo economico, cioè dal 1965 al 1999, l’Italia ha esportato quote di PIL che hanno oscillato fra il 12 e il 24% (fonte AMECO), quindi non un’esagerazione, nulla comparabile al 49% della Germania. Per fortuna lo Stato italiano in quegli anni (con la Lira, quindi spesa sovrana) compensava la perdita di ricchezza reale del nostro export con una spesa a deficit sufficiente a garantire che l’economia domestica producessebeni e servizi reali per noi, ma si badi anche che sempre nello stesso periodo le importazioni italiane (cioè la ricchezza reale) erano più o meno vicinissime alle esportazioni, compensando quindi il danno nazionale dell’export.
Tutto quanto sopra spiega perché nella realtà dell’economia di noi gente (real terms of trade), e non nei numerini e nei grafici dei libri, le esportazioni sono un costo per il Paese mentre le importazioni sono vera ricchezza. Fine della storia.
p.s.
Ora spiego sempre a Sora Lella e alla sua amica Sora Marta come fa una nazione a non andare in bancarotta se importa molto ed esporta poco.
Signore mie, capite una cosa. Nell’economia esistono sempre e solo 3 settori: 1) il settore del governo/Stato di un Paese 2) il settore dei cittadini, delle aziende e dei mestieri privati di quel Paese 3) il settore estero, che sono tutte le nazioni estere rispetto a quel Paese. Questi 3 settori si scambiano beni e denaro, ok? E’ come tre tizi che giocano a carte. Possono tutti e tre contemporaneamente vincere? Possono tutti e tre contemporaneamente perdere? Ovvio che no. Se uno o due vincono qualcosa, almeno un altro deve perdere. Se uno o due perdono, almeno un altro deve vincere. Bene. Così funzionano anche le economie delle nazioni. Quindi:
Se l’Italia, formata da Stato + cittadini/aziende/mestieri, importa più di quello che esporta, significa che, o noi Stato italiano, o noi cittadini/aziende/mestieri, o entrambi, abbiamo un deficit con il settore estero (gli diamo più soldi per le sue merci di quanti ne incassiamo da lui vendendogli le nostre). Ok, abbiamo detto che questo va bene per la Mosler Economics Modern Money Theory, perché noi acquisiamo beni reali e ricchezza reale, mentre il settore estero si prende la nostra carta (moneta). Ma voi due signore mi direte: sì, ma chi finanzia tutta quella carta moneta italiana che va all’estero in cambio dei loro beni e servizi? Buona domanda.
La risposta è che può essere lo Stato italiano coi suoi soldi, oppure i cittadini/aziende/mestieri coi loro soldi. Ok. I cittadini/aziende/mestieri italiani hanno dei soldi, e li possono spendere per comprare più beni dai Paesi esteri di quanti ne vendano ai Paesi esteri. Ma come già detto, questo fa sì poi che i cittadini/aziende/mestieri abbiano un deficit in denaro. Allora a questo punto deve intervenire lo Stato con la sua spesa pubblica, per rimpolpare di denaro le tasche di cittadini/aziende/mestieri. Deve cioè spendere per i cittadini/aziende/mestieri di più di quanto li tassi (spesa a deficit dello Stato), così a noi rimangono in tasca abbastanza soldini per vivere, lavorare, essere assistiti, e anche per poterne avere in più per comprare dall’estero tutti quei beni. Ecco fatto il trucco. Cioè: il deficit dell’Italia verso i Paesi esteri rimane, ma passa dal settore di cittadini/aziende/mestieri (noi) al settore dello Stato.
Ok, ok, Sora Marta si calmi. Lo so benissimo che per tutta la vita che le hanno detto che il deficit dello Stato è una cosa terribile. Non è vero, anzi, è vero il contrario. Si vada a leggere il perché in questo semplice documento: Programma di Salvezza Economica Nazionalewww.memmt.info. Ora devo andare… e mi svegli la Sora Lella che sono 20 minuti che russa.

Paolo Barnard www.paolobarnard.info 

Le tasse non possono finanziare la spesa dello Stato

Il governo prima spende e solo dopo tassa, sicché è profondamente sbagliato pensare che per spendere lo Stato sia costretto prima a incassare. Il concetto è così evidente da risultare persino banale


Lo Stato prima spende e solo dopo tassa. Prima mette in circolo la moneta mediante la propria spesa, dopodiché si riprende indietro i soldi (tutti o in parte) attraverso le tasse. Pertanto è sbagliato e ingenuo pensare che noi, pagando le tasse, finanziamo la spesa dello Stato, semplicemente perché nessuno di noi può pagare le tasse se prima lo Stato non ha immesso il denaro nel circuito economico. Un’azione, questa, che lo Stato compie spendendo, e creando quindi, direttamente (dipendenti pubblici) o indirettamente (tutti gli altri) TUTTI I REDDITI ESISTENTI.
L'andamento dell'economia varia in funzione del prelievo che lo Stato fa dopo aver speso, cioè se preleva meno di quello che ha speso, oppure più, oppure la stessa cifra che ha speso.
Ribadisco: le tasse non finanziano la spesa dello Stato. Se io vado allo stadio, il Milan ritira all'entrata il biglietto che lui stesso prima ha creato e venduto. Con le tasse il meccanismo è lo stesso: nessuno di noi coltiva le monete nell'orto, perciò noi possiamo pagare i tributi solo dopo che lo Stato ci ha dato i soldi versandoli nel circuito economico attraverso la propria spesa.
Le tasse, in effetti, servono ad altro: a) drenare una parte del denaro che lo Stato versa nel circuito affinché il mercato non venga “allagato” di moneta, col rischio di svalutarla; b) imporre a tutti i cittadini l’uso della sua moneta, visto che le tasse si possono pagare solo con la moneta emessa dallo Stato; c) incoraggiare o scoraggiare alcuni comportamenti/acquisti; d) regolare l’equilibrio all’interno del circuito economico, per esempio quando alcune categorie manifestano un’eccessiva concentrazione di ricchezza a danno della maggioranza dei cittadini, oppure quando l’economia corre troppo e questo provoca un rialzo dei prezzi.

Noi dobbiamo immaginare l’economia nel modo seguente: da una parte un’entità astratta, lo Stato, che è il creatore della moneta. Dall’altra c’è invece un contenitore all’interno del quale ci sono tutti i cittadini della nazione, comprese banche e classe politica, tutti. Lo Stato emette le monete/banconote, dopodiché, usandole per gli innumerevoli capitoli di spesa che uno Stato ha, le versa nel contenitore in cui ci siamo tutti noi, che le guadagniamo con modalità e quantità diverse a seconda del lavoro che svolgiamo.
Questo funzionamento della macroeconomia di uno Stato ci induce alle seguenti conclusioni:
a) la spesa dello Stato è fondamentale. Ridurla eccessivamente significa, da un lato, bloccare il flusso di liquidità nell’economia, dall’altro, rende impossibile il mantenimento di quei servizi che fanno vivere bene tutti, anche le fasce sociali più deboli, la cui capacità d'acquisto, oltretutto, è di vitale importanza per l'economia;
b) all’interno del contenitore in cui ci sono tutti i cittadini della nazione, nessuno può creare ricchezza nuova, dal momento che il denaro passa semplicemente da una mano all’altra;
c) l’evasore fiscale va perseguito in primo luogo perché viola una legge dello Stato, in secondo luogo perché crea squilibri e iniquità all’interno del contenitore. Tuttavia, se avete compreso quanto è scritto nel punto b), è evidente che l’evasore, il privilegiato, il mantenuto, lo spreco non sottraggono neanche un euro al denaro totale che circola all’interno del contenitore;
d) solo lo Stato può creare ricchezza nuova nel circuito economico, determinando così una crescita dell’economia, e può farlo solo in questo modo: prelevando dal contenitore (tasse) una cifra inferiore a quella che prima ci ha versato dentro (spesa pubblica);
e) il debito dello Stato equivale fino all’ultimo centesimo all’attivo del contenitore in cui ci siamo tutti noi. Lo Stato, inoltre, non ha alcun limite nel creare il denaro di cui lui è il proprietario-monopolista, pertanto può anche rimborsare eventuali creditori senza alcun problema;
f) uno Stato che non possiede una propria moneta, e che immette nel contenitore una moneta che prima deve prendere in prestito dai mercati finanziari, ai quali deve restituirla fino all’ultimo centesimo, non può in alcun modo mettere in pratica il processo, vitale per l’economia, descritto ai punti d) ed e), dal momento che è obbligato a riprendere dal contenitore come minimo tutto il denaro che ci ha versato dentro, lasciando ZERO a cittadini e aziende. Lo stesso discorso vale anche in caso di moneta sovrana, ma agganciata al valore di una valuta straniera (vedi Argentina).


Oggi le regole dell’eurozona impongono allo Stato italiano di produrre addirittura degli avanzi di bilancio, cioè a prelevare dal contenitore una cifra superiore a quella che prima è stata immessa nel contenitore stesso, il che è possibile solo andando a pescare nel risparmio che le famiglie e le aziende italiane hanno fatto quando lo Stato si indebitava, arricchendole, proteggendole e permettendo loro di vivere nel benessere.     

L'Europa di oggi vista da uno storico del 2064 (2a parte)

Durante "l'età dei grandi predatori dell'economia", intere generazioni di europei ben istruiti si fecero raggirare lasciandosi sottrarre tutto il patrimonio di diritti, di democrazia e di benessere costruito dai loro predecessori


Continua dal precedente articolo L'Europa di oggi vista da uno storico del 2064 (1a parte). La svolta fu data da Germania e Francia. L'unificazione tedesca (1989) preoccupò parecchio Parigi, che come contropartita per l'appoggio dato alla nascita di un grande Stato tedesco nel cuore dell'Europa, chiese una maggiore integrazione economica fra i paesi del Vecchio Continente con la creazione della moneta unica. In realtà, dietro questo progetto si nascondeva il piano delle élite neofeudali e neoliberiste, nonché delle industrie neomercantili francesi e tedesche, che videro l'occasione irripetibile di fare affari formidabili nel Sud Europa, e non solo. Infatti, dal momento che era naturale prevedere che degli Stati senza moneta sovrana sarebbero andati incontro a enormi difficoltà, Germania e Francia si sarebbero tutelate favorendo l'ingresso nell'eurozona dell'Italia, la cui industria - che stracciava tutti in Europa in fatto di esportazioni - senza la capacità di spesa e di debito dello Stato (e con una moneta più forte della Lira) avrebbe perso colpi come rivale commerciale, diventando al contempo un boccone prelibato e facile da divorare (leggi "acquistare a prezzi di saldo") per le industrie neomercantili francesi e tedesche.
La compiacenza suicida di una parte della classe dirigente italiana verso questo piano, fu un surplus inaspettato per i sostenitori dell'unione monetaria. In particolare, la sinistra Dc e l'ex Partito comunista videro in questo processo l'occasione per privare della capacità di spesa (che si traduceva spesso in clientelismo e corruzione) la classe politica al potere. Così finirono per buttare via il bambino con l'acqua sporca. In realtà, i vertici dell'ex Partito comunista cercarono e trovarono, nel sostegno al progetto neofeudale e neoliberista franco-tedesco di unione monetaria europea e castrazione della sovranità degli Stati, quella legittimazione che non avevano mai avuto fino ad allora, tanto più che ormai non erano considerati più come un pericolo, ora che il comunismo nell'Europa dell'Est era morto, e con esso era finita la "guerra fredda". Di lì a poco, le inchieste giudiziarie che colpirono i partiti di governo accrebbero ancora di più la credibilità, anche internazionale, degli eredi del Pci.

L'esperimento (cfr. 1a parte), a quel punto, poteva avere inizio. Gli Stati che entrarono nell'eurozona furono privati delle monete nazionali e quindi della loro principale prerogativa. L'Euro, infatti, non era creato da alcuno Stato, pertanto non veniva emesso da una banca centrale nazionale e introdotto attraverso la spesa pubblica direttamente nel circuito economico - da cui lo Stato ne preleva poi solo una parte, attraverso le tasse - ma veniva emesso da una banca centrale europea e immesso nei mercati finanziari, da cui gli Stati lo avrebbero preso in prestito per poi restituirlo con tutti gli interessi. Era naturale, a quel punto, che gli Stati sarebbero stati costretti a prelevare dal circuito economico almeno tanto denaro quanto ne versavano (pareggio di bilancio), e infatti le regole che gli Stati dell'eurozona si diedero erano molto restrittive sia per il deficit (debito annuale) che per il rapporto tra debito complessivo e pil. Gli stessi Trattati, oltretutto, limitavano fortemente la sovranità costituzionale e parlamentare delle nazioni a vantaggio di un governo sovranazionale ed elitario, di fatto non eletto dai popoli europei.
Per alcuni Stati come l'Italia la situazione sarebbe divenuta presto insostenibile, sia perché lo Stato si era indebitato moltissimo allo scopo di far crescere l'economia e di creare una rete di protezione per le fasce più deboli, sia perché questo processo era ormai strutturale, e quindi per cambiarlo era necessario tagliare le spese dello stato sociale e aumentare il prelievo fiscale su tutte le categorie, a cominciare da quelle più produttive. Dal 1992, pertanto, i governi italiani cominciarono ad operare in termini di avanzi di bilancio (determinando ovviamente effetti opposti rispetto a quelli prodotti dal debito fatto nei decenni precedenti) e infatti in Italia l'eurosistema fu attuato, di fatto, già dal 1992.
Nel 2002, quando entrò in corso l'Euro al posto delle vecchie monete nazionali, gli Stati ex sovrani si trovarono di colpo in preda alla drammatica necessità di prendere in prestito ogni singolo euro necessario non solo al pagamento del vecchio debito accumulato e dei relativi interessi, ma anche alla spesa ordinaria.
I popoli europei accettarono tutto ciò senza letteralmente rendersi conto di quanto stava accadendo. In primo luogo, le élite neofeudali e neoliberiste da almeno vent'anni avevano infiltrato loro uomini dappertutto: nelle università, nelle burocrazie, negli organi di informazione, nella classe politica. Attraverso un lavaggio del cervello martellante la gente era stata convinta che il debito di uno Stato (non a caso veniva chiamato con un termine quasi terroristico: "debito pubblico") era un male da estirpare senza esitazione in quanto pericolosissimo per l'esistenza dello Stato stesso, mentre il divieto di spendere a deficit era giustificato dal fantomatico rischio di iperinflazioni. Nel contempo, tutti i cittadini, non esclusi quelli più istruiti, erano stati abilmente indottrinati a modalità di analisi economica puramente "micro", sicché il dibattito politico era dominato esclusivamente dall'esigenza di spostare risorse da una categoria all'altra (del resto lo Stato ormai non poteva fare che questo), e la stessa polemica, sempre più feroce, contro i privilegi della classe politica e contro gli evasori fiscali, che era una sacrosanta battaglia di giustizia sociale, veniva ingenuamente confusa con il problema, ben più importante, di creare ricchezza nuova nel circuito economico, che uno Stato senza moneta non poteva più affrontare e men che meno risolvere. In secondo luogo, l'unione monetaria venne spacciata non per quello che era veramente, cioè un piano di trasferimento di sovranità e ricchezza dal basso verso l'alto, ma come un primo passo verso la nascita degli Stati uniti d'Europa, che naturalmente più o meno tutti i popoli europei accettarono con entusiasmo.
Gli scopi principali del cambiamento in atto erano i seguenti: a) costringere gli Stati democratici a cedere la loro sovranità popolare a una élite di tecnocrati; b) svuotarli della loro funzione primaria, cioè spendere a deficit per creare ricchezza e protezione sociale; c) in seguito alle difficoltà inevitabili che sarebbero derivate dal divieto di indebitarsi, costringerli a vendere i beni pubblici, compresi i servizi irrinunciabili (acqua, energia, telefonia, trasporti, persino carceri e cimiteri), le cosiddette "captive demand" (letteralmente, "richiesta prigioniera"); d) la crisi ancor più inevitabile dell'economia avrebbe creato una massa di disoccupati e sottoccupati disposta a lavorare a qualsiasi condizione contrattuale, mentre nelle economie del Sud Europa avrebbe determinato difficoltà tali per le aziende da costringerle a vendere le loro attività all'industria neomercantile franco-tedesca e alle grandi multinazionali; e) poiché gli Stati, per qualsiasi tipo di spesa, dovevano chiedere il denaro in prestito a interesse ai mercati finanziari, si aprivano favolose opportunità di profitto per banche d'affari e speculatori a vario titolo abili a "giocare" con gli interessi dei titoli di Stato, tenendo in pugno gli Stati democratici, i quali per forza di cose non avrebbero potuto attuare politiche che contrastassero con gli interessi dei mercati finanziari.

Tutto ciò si concretizzò puntualmente. In Italia, i cittadini cominciarono ad "assaporare" gli effetti dei Trattati europei già negli anni '90, soprattutto con un aumento continuo e asfissiante della tassazione. Con i governi di centrosinistra arrivarono anche le privatizzazioni, con la svendita di numerose industrie e servizi a partecipazione statale. Con l'avvento dell'Euro la situazione, per l'economia italiana, cominciò a peggiorare sempre più velocemente, fino allo shock provocato da un evento esterno, il "crac" finanziario statunitense. Il contagio che ne seguì fece emergere tutte le magagne dell'eurozona, il primo imprevisto per i neofeudali che l'avevano edificata. Quella che sembrava una crisi giunta da lontano diventò invece una recessione economica devastante e causata proprio dall'impianto dell'eurozona. L'Italia ne fu investita nel 2011, con un po' di ritardo rispetto ai partner, in seguito a un colossale gioco speculativo che fece crescere artificiosamente gli interessi sul suo debito pubblico. La paralisi politica ed economica che ne seguì giustificò la nascita di un governo tecnico eurofanatico, appoggiato da partiti ormai ostaggio delle minacce dei mercati finanziari, che in un solo anno diede un colpo ferale al Welfare State italiano, eroso poi ancora di più dai successivi governi di larghe intese. Il bilancio dello Stato italiano era ormai scritto dalla Commissione europea, mentre il prelievo fiscale raggiunse livelli al limite dell'accanimento.
Torniamo così al 2013-2014 (cfr. prima parte), quando il tessuto socio-economico italiano era ormai stato semi-smantellato, e anche tutta l'Europa settentrionale era in caduta libera. La disoccupazione era a livelli record dappertutto, le aziende chiudevano a ritmi impensabili anche nel Nord Italia e molte venivano acquisite da industrie tedesche. Ma il problema nuovo era diventata la deflazione (contrario di inflazione), con prezzi che continuavano a precipitare perché la gente cercava disperatamente di risparmiare per paura del domani. I successivi "step" furono dapprima il crac delle banche che si verificò nel 2015-2016, a cominciare dal sistema bancario che fino a qualche anno prima era stato il più solido dell'eurozona, quello italiano. Nello stesso tempo, il "fiscal compact" - il nuovo regime di bilancio in base al quale gli Stati dovevano produrre avanzi primari ancora più larghi di quelli fatti fino a quel momento - rese la situazione insostenibile, anche perché il piccolo risparmio era stato eroso fino a toccare il fondo del barile. Il premier italiano Matteo Renzi si rifiutò di stare al gioco di Fondo Monetario e Commissione Ue, ma questa volta alle sue dimissioni non seguì, come era successo altre volte, la nascita di un altro governo tecnico che mettesse in atto i dettami di Fmi e Ue (che con la giustificazione di sistemare i conti avevano già preparato il piano di svendita delle principali aziende pubbliche, ovvero Eni, Finmeccanica e Fincantieri). E neppure la solita, artificiosa impennata degli interessi sul debito pubblico valse a convincere la maggioranza del Parlamento a dare l'appoggio al governo tecnico di Mario Draghi, ex governatore della Banca centrale europea. Il vecchio presidente della Repubblica Napolitano fu così costretto a sciogliere le camere (gennaio 2017).
A quel punto, in Italia, Spagna e Francia, dopo decenni di assoluta apatia, la situazione sociale esplose. I successi elettorali di movimenti politici contrari alla moneta unica e all'impianto macroeconomico dell'eurozona portò a referendum che costrinsero anche gli altri paesi a prendere atto della situazione. Nella Conferenza di Copenaghen (2018) fu sciolta ufficialmente l'unione monetaria e si ritornò alle monete nazionali. Il cambiamento, però, non determinò subito gli effetti sperati, proprio perché il ritorno alla sovranità monetaria era avvenuto in modo traumatico (e dopo aver vinto fortissime resistenze nazionali organiche ai neofeudali, sia tra i partiti che tra gli organi di informazione). Nessuno Stato aveva avuto la lungimiranza di predisporre un piano preventivo di uscita dall'eurozona con un programma di spesa che garantisse subito piena occupazione, piena produzione e pieni servizi. L'Europa uscì definitivamente dalla recessione solo intorno alla metà degli anni '20.

Uno degli aspetti più paradossali di quella fase drammatica della storia europea fu il fatto che le generazioni mediamente più istruite che fossero esistite fino ad allora si lasciarono circuire in modo clamoroso, facendosi sottrarre l'enorme eredità, in teoria intoccabile e non trattabile, che i loro predecessori avevano lasciato: un patrimonio fatto di democrazia costituzionale e parlamentare avanzata; di diritti come l'attività lavorativa dipendente o in proprio degnamente retribuita e/o profittevole, e un orario di lavoro che lasciasse spazio alle altre attività fondamentali per la crescita personale; di benessere economico diffuso; di servizi essenziali che tutelassero le categorie più deboli della società. Questo patrimonio era stato costruito dalle classi dirigenti che avevano guidato l'Italia dopo la guerra, era stato edificato dagli italiani che avevano portato l'Italia fuori dalla guerra, al prezzo di duro lavoro e lotte sanguinose, oltre che di immane impegno intellettuale. E lo stesso discorso vale ovviamente anche per gli altri popoli europei. Le generazioni successive, molto più istruite e socialmente emancipate, si lasciarono depredare tutta questa eredità dal neofeudalesimo sociopatico, senza muovere un dito, anzi avallando inconsapevolmente la rapina. La causa era stata proprio l'inerzia sociale, l'indolenza, l'apatia, l'ottuso materialismo e l'individualismo che si erano impossessati di intere generazioni, abbindolate e defraudate proprio laddove i loro antenati semianalfabeti avevano cambiato un mondo in meglio. Quel che resta è una pagina di Storia costellata di errori da non ripetere mai più.                            

L'Europa di oggi vista da uno storico del 2064

Durante "l'età dei grandi predatori dell'economia", intere generazioni di europei ben istruiti si fecero raggirare lasciandosi sottrarre tutto il patrimonio di diritti, di democrazia e di benessere costruito dai loro predecessori


Che la Storia non sia caratterizzata da un progresso continuo è stato ormai ampiamente provato, ma la regressione a cui furono condannati milioni di europei tra la fine degli anni '90 del Novecento e i primi due decenni del terzo millennio, ovvero in quella che viene comunemente definita "l'età dei grandi predatori dell'economia", è sicuramente il caso più eclatante, se non addirittura l'unico, di tutta l'età contemporanea.
Considerata da sempre l'area economica che meglio di tutti aveva saputo coniugare sviluppo economico e solidarietà sociale, l'Europa, all'inizio degli anni '20, si ritrovò con un tessuto sociale e produttivo completamente dissestato, con redditi, consumi, produzione e qualità dei servizi crollati al livello degli anni '70 del Novecento. Ma cos'era successo?
Per capirlo occorre fare qualche passo indietro. In primo luogo, l'area della moneta unica europea (l'Euro) era piombata in una crisi irreversibile già qualche anno prima. Nel 2013, in particolare, era ormai emerso chiaramente che il problema dell'eurozona non erano i paesi mediterranei, dal momento che anche quelli del Nord Europa scricchiolavano parecchio, e alcuni di loro presentavano condizioni critiche almeno quanto quelli del Sud. La Francia aveva una disoccupazione record, il più alto crollo del settore immobiliare dell'eurozona, l'industria e il manifatturiero con perdite senza precedenti, e oltretutto non era assolutamente in grado di rispettare nessuno dei parametri comuni che gli Stati europei si erano dati. L'Olanda registrava la maggior perdita di pil di tutta l'eurozona. Un modello considerato fino ad allora virtuoso, quello della Finlandia, aveva un'economia ormai completamente piantata. La Germania era l'unica a vantare una timida crescita del pil, in ciò favorita dall'aggressività dell'export, ma soprattutto da alcune eccezioni che le erano riservate in relazione alla possibilità di stampare Euro per acquistare i titoli di Stato. Tuttavia, era proprio in Germania che si trovava la "bomba nucleare" che avrebbe fatto deflagrare l'eurozona, in quanto le principali banche tedesche, ed in particolare la Deutsche Bank, avevano in cassa una quantità di "derivati tossici" che era 20 volte il pil del paese.
Emergeva chiaramente che l'idea di privare gli Stati di una moneta nazionale aveva prodotto effetti disastrosi. Noi oggi sappiamo che uno Stato che rinuncia alla propria moneta sovrana è paragonabile ad un uomo che si privi dei polmoni per respirare con quelli degli altri. Uno Stato senza moneta è come un padre senza reddito che ha perso la sua principale facoltà/dovere, quella di spendere per far crescere i figli degnamente. L'esempio fornito da quella fase drammatica della storia dell'Europa è servito alle generazioni successive affinché non si ripetesse lo stesso errore. Ma fu veramente un errore?
La storiografia è ormai concorde nell'affermare che non si trattò di un errore o di una cattiva gestione dell'unificazione economica europea, bensì di un piano ben preciso che ha indotto gli storici a coniare l'espressione di "età dei grandi predatori". Il piano fu elaborato dai numerosi club esclusivi, think tank e fondazioni varie che proliferarono in Europa e non solo a partire dagli anni '70. Grandi industriali europei e americani, leader delle banche d'affari, eredi delle aristocrazie europee di origine medievale, alcuni uomini politici collusi con queste élite affaristiche concepirono un esperimento che prevedeva la riduzione della sovranità degli Stati democratici europei fino ad annullarla del tutto, per poi arrivare al vero obiettivo, cioè un enorme e graduale trasferimento di ricchezza dalla massa a vantaggio di pochi "rentier". Per raggiungere lo scopo bisognava togliere agli Stati l'ossigeno, ovvero la moneta di cui lo Stato è il proprietario-monopolista.
Uno dei casi più tipici di questo cambiamento è proprio l'Italia, dove si può dire che l'esperimento ebbe inizio grazie all'intervento di alcuni uomini della politica e della finanza. Qui, nel 1981, il governatore della Banca d'Italia Carlo Azeglio Ciampi fu l'artefice principale del "divorzio" tra Banca d'Italia e Ministero del Tesoro. Per capire gli effetti di questa decisione, occorre ricordare che fino a quel momento l'Italia era stato il paese dove la facoltà dello Stato di spendere a deficit era stata applicata in maniera più efficace, in particolare negli anni '70. I governi italiani, infatti, si indebitavano continuamente, ma poiché, come sappiamo, il debito dello Stato corrisponde fino all'ultimo centesimo all'attivo dell'economia privata, la crescita dell'Italia, cominciata nella seconda metà degli anni '50, era diventata sempre più dirompente: era il quarto esportatore del mondo, era il primo paese europeo per produzione industriale e il secondo al mondo per risparmio privato. Utilizzando la propria moneta, che emetteva liberamente secondo le necessità dell'economia, lo Stato italiano poteva coprire il proprio debito e finanziarlo a tassi assai contenuti. Il sistema era il seguente: lo Stato ogni anno produceva un deficit, dopodiché emetteva dei titoli che venivano acquistati sul mercato finanziario e con i quali otteneva in prestito la quota mancante per sanare il debito, ma una grossa parte di quei titoli veniva acquistata dalla Banca d'Italia "stampando" moneta. In definitiva, si trattava di un debito fittizio che lo Stato aveva con se stesso. E anche quando erano dei privati a comprare i titoli, lo Stato non aveva alcun problema né limite nel rimborsarli: gli era sufficiente emettere moneta, e proprio per questa ragione la sua affidabilità era massima. È assolutamente impossibile fallire, cioè non rimborsare i creditori, per uno Stato che possiede una moneta.
Questa modalità di creazione della ricchezza nel contenitore di cittadini e aziende era non solo assai produttiva, ma anche alquanto "protettiva", dal momento che non erano i cittadini ad indebitarsi con i fornitori privati di credito (le banche, le quali prestano la moneta che ricevono dallo Stato e poi la restituiscono allo Stato stesso, incassando gli interessi dal cittadino/azienda debitore), ma era appunto lo Stato, che in tal modo stimolava anzi il risparmio privato.
Tuttavia, nel 1981, con il divorzio tra Banca d'Italia e Ministero del Tesoro, le cose cambiarono radicalmente. La Banca d'Italia non era più obbligata ad acquistare i titoli di Stato e Ciampi volle che questa prerogativa venisse applicata alla lettera. I governi, all'improvviso, si ritrovarono privi dell'unico strumento idoneo per foraggiare l'economia e stimolare i redditi, i consumi, la produzione, il lavoro. Improvvisamente il debito dello Stato cominciò ad assumere dimensioni gigantesche, ma questo in sé non costituiva un ostacolo (debito dello Stato = attivo dell'economia privata), ed in effetti proprio a metà degli anni '80 l'Italia diventò la quinta economia del pianeta. Il problema era che lo Stato, per ripagarlo, non aveva più il supporto della propria banca centrale e prima o poi questa disfunzione avrebbe palesato i suoi effetti deleteri per l'economia e per la stessa democrazia. Il peggio infatti doveva ancora venire. Il progetto della moneta unica europea cominciava proprio in quel momento ad accelerare e a prendere forma.      
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Tutti i più bigotti luoghi comuni sull'Euro

Sull'Unione Europea e sulla moneta unica l'approccio più diffuso è di tipo mistico. La causa è la pressoché totale ignoranza sul tema. Ecco tutte le false credenze smentite punto per punto


Solo il sentir pronunciare le terribili parole "uscire dall'Euro" provoca in molti di noi reazioni che sfociano nell'irrazionale. Un po' come accadeva nell'Europa medievale se qualcuno sosteneva idee inconsuete riguardo alla religiosità: se il "blasfemo" era fortunato, chi gli stava di fronte si faceva il segno della croce, invocando il perdono divino per l'anima del sacrilego e soprattutto per la propria, per avere osato soltanto ascoltare quelle parole empie, magari condividendone in cuor proprio la sostanza. Oggi, persino di fronte ad un olocausto economico e generazionale senza precedenti, l'idea di tornare alla moneta sovrana genera più o meno le stesse reazioni mistico-bigotte, dalle quali, si faccia attenzione, non sono immuni nemmeno molti fautori del ritorno alla Lira. Vediamo quindi quali sono i luoghi comuni più diffusi sull'Euro con l'evidenza della loro totale infondatezza.

1) L'Euro è una moneta come le altre, però più forte, perché è il frutto dell'unione delle vecchie monete nazionali e/o di più economie. L'Euro NON È una moneta come il dollaro, la sterlina, o come le vecchie lire o i vecchi marchi. Le valute come il dollaro, la sterlina, la lira etc. sono delle monete sovrane, di cui lo Stato è il proprietario-monopolista. Attraverso la propria spesa lo Stato le crea e le immette nel contenitore che comprende l'insieme dei cittadini, generando direttamente o indirettamente tutti i redditi esistenti: dei dipendenti pubblici e privati, dei lavoratori autonomi, degli imprenditori, della classe politica, delle banche, di tutti. Successivamente ha la libertà di prelevare solo una parte della moneta emessa, per mezzo delle tasse, le quali, pertanto, non hanno la funzione di finanziare la spesa dello Stato, ma servono solo a drenare una parte della moneta che lo Stato versa nel contenitore di cittadini-aziende affinché il mercato non venga "allagato" di moneta, col rischio di svalutarla. Le tasse servono inoltre a regolare l'equilibrio nel contenitore di cittadini-aziende, a incoraggiare o scoraggiare alcuni comportamenti/acquisti/investimenti, e soprattutto, sono il mezzo attraverso il quale lo Stato ci impone di usare solo la sua moneta, dal momento che le tasse si possono pagare solo con la valuta dello Stato. In definitiva, lo Stato proprietario-monopolista della moneta che i cittadini usano non ha limiti di alcun tipo quando deve emetterla e versarla nel contenitore di cittadini-aziende.
L'Euro, invece, non è una moneta sovrana, infatti nessuno Stato dell'Eurozona ne è il proprietario. L'Euro viene emesso dalla Banca centrale europea, ed immesso non nel contenitore di cittadini-aziende, bensì nelle riserve dei mercati finanziari, da cui gli Stati dell'Eurozona lo devono prendere in prestito e, dopo aver versato il denaro nel contenitore di cittadini-aziende, riprenderlo tutto dallo stesso contenitore e restituirlo ai mercati. Chiunque può facilmente capire che, stando così le cose, lo Stato è obbligato come minimo a pareggiare i conti, cioè a tassare esattamente quanto spende, se non anche di più. E questo perché lo Stato non possiede una moneta, che deve chiedere in prestito ad altri. La metafora più azzeccata per spiegare questo sistema l'ha inventata Paolo Barnard: "Uno Stato che rinuncia alla propria sovranità monetaria e di spesa è come un uomo che rinuncia ai propri polmoni per respirare con quelli degli altri. E in questo caso gli altri sono i mercati di capitali privati".

2) Il debito pubblico è dannoso e pericoloso, dunque fa bene l'Europa a imporre a tutti gli Stati il contenimento o addirittura la riduzione del debito. Questo è il più falso ma anche il più devastante dei luoghi comuni che ci sono stati inculcati a forza nella mente in anni e anni di paziente lavaggio del cervello attuato a tutti i livelli, dalle università agli organi di informazione, dal dibattito politico alla piazza. Se avete seguito il punto 1) avete già la risposta: se lo Stato spende più di quanto tassa (come faceva lo Stato italiano prima di adottare i parametri europei, cioè prima del 1992), lo Stato registra un disavanzo, ma quel debito corrisponde fino all'ultimo centesimo all'attivo del contenitore di cittadini-aziende, dunque alla nostra ricchezza. L'unica condizione necessaria affinché lo Stato possa mettere in atto questo processo vitale per l'economia è che possegga una propria moneta, perché è evidente che con il sistema di emissione dell'Euro descritto al punto 1) ciò non può essere assolutamente possibile. Non ci vuole una mente geniale per comprendere che l'annullamento di questa prerogativa dello Stato (cioè spendere più di quanto tassa), provoca l'effetto opposto: se lo Stato preleva dal nostro contenitore la stessa cifra che versa, a noi rimane esattamente zero. Ma la situazione oggi è anche peggiore: dal momento che lo Stato deve pagare anche gli interessi sul debito accumulato prima della nascita della moneta unica europea, quel 3% di deficit di cui si parla sempre in televisione (che è il limite di indebitamento che l'Europa impone) comprende anche gli interessi sul debito passato. Pertanto, escludendo quelli, lo Stato produce ogni anno un avanzo di bilancio, vale a dire che preleva dal nostro contenitore più di quanto ci versa dentro, tassa più di quanto spende. E ovviamente l'avanzo dello Stato corrisponde al nostro disavanzo. Domanda: ma se lo Stato versa 100, come può pescare 103? Semplice: pesca dall'attivo che noi abbiamo fatto nei decenni passati, quando cioè lo Stato si indebitava arricchendo l'economia. Oggi, a poco a poco, si riprende indietro tutto a furia di avanzi di bilancio, sistematicamente, ogni anno, dal 1992. Le conclusioni le lascio a voi, mi limito solo a ricordarvi cosa succede oggi in Italia: CHEMIOTASSAZIONE, TAGLI ALLO STATO SOCIALE e uno Stato che si limita ad agire all'interno del nostro contenitore spostando risorse da una categoria all'altra.

3) Se lo Stato copre il debito stampando moneta ci sarà una grande inflazione. Il più classico degli spauracchi, molto simile alle storie che si raccontano ai bambini per farli stare buoni. Se lo Stato si indebita usando la propria moneta, stimola indubbiamente la domanda di beni perché ci sarà più denaro da spendere per gli acquisti. Un negozio di abbigliamento che deve vendere 10 capi per potenziali 10 clienti, vende quei capi ad un determinato prezzo. Ma se i clienti diventano 12 il prezzo aumenterà, è il tipico caso di scuola. Attenzione però: lo stimolo che lo Stato dà all'economia con il suo debito incentiva non solo la domanda, ma anche l'offerta, dunque la produzione. E' vero che i clienti del negozio diventeranno 12, ma anche i capi da vendere potrebbero diventare 12, se non addirittura 13, o magari 11. Usa, Giappone e Gran Bretagna, soprattutto da quando è scoppiata la crisi, stanno facendo larghissimo uso dello strumento monetario. Alzi la mano chi ha sentito parlare di inflazione in quei paesi.

4) Uscire dall'Eurozona è un rischio enorme. La nuova Lira potrebbe valere nulla, con tutte le conseguenze del caso. Quando sento questa mi viene da ridere. E' agghiacciante sapere che ci sono italiani i quali pensano che, in caso di ritorno alla Lira, ci vorrebbero circa 2 mila delle nuove Lire per fare un Euro. Innanzitutto, la nuova Lira partirebbe con un rapporto di 1 a 1 rispetto all'Euro (e ci mancherebbe) e sarebbe poi il mercato a deciderne il valore nel tempo. E il mercato significa l'economia, significa quante persone comprano o vendono la tua moneta. In secondo luogo, autorevoli economisti affermano che in caso di ritorno alla Lira, lo Stato italiano potrebbe ritrovarsi a dover gestire il problema opposto, ovvero una ipervalutazione della nuova Lira, a causa della corsa che tutti noi, volenti o nolenti, dovremmo fare per acquistare Lire al posto degli Euro. Sarebbe quest'ultimo, anzi, a svalutarsi, anche a causa della perdita di credibilità dell'intero sistema in seguito all'uscita di uno Stato membro. Le fantomatiche previsioni dei terroristi (in malafede), tipo costo dell'energia alle stelle (soprattutto la benzina, dicono gli stupidi, quando il prezzo della benzina è fatto per il 60 per cento di tasse) o tassi sul debito pubblico che ci strozzeranno (ne parlo nel prossimo punto) meritano semplicemente delle enormi e rumorose pernacchie.


5) Se dovessimo pagare il nostro debito in Lire, gli interessi diventerebbero insostenibili. Questa, oltre che bella grossa, è anche una colossale e inaccettabile presa in giro. Ti senti come un soldato che in guerra ha subito l'amputazione del braccio e che poi viene deriso dagli stessi nemici per quella menomazione. Poc'anzi abbiamo visto che la nuova Lira non avrebbe alcun problema di svalutazione (e comunque non esiste un solo elemento per fare una simile previsione), e questo già stronca sul nascere la convinzione che i mercati (cioè coloro che acquistano i titoli di debito che lo Stato emette) non accetterebbero di essere ripagati in Lire (?), o comunque chiederebbero rendimenti (interessi) più alti. Tale affermazione vi sembrerà ancora più infondata e assurda dopo che avrete letto quanto segue: l'unico fattore per cui uno Stato può pagare interessi alti (che a loro volta provocano la crescita del famoso "spread", la differenza con gli interessi che paga la Germania) sul vecchio debito accumulato è proprio il fatto di non possedere una propria moneta. Ovvio: se lo Stato non ha una moneta (ricordate il punto 1?) deve sottostare alle richieste dei mercati, deve pagare gli interessi che loro richiedono, sono i mercati ad avere "il coltello dalla parte del manico". Lo spread, infatti, misura quanto un titolo è più rischioso rispetto ad un altro. Ed è ovvio che un titolo di uno Stato privo di moneta è sempre ad alto rischio, dal momento che lo Stato non ha ability to pay. Se invece lo Stato possiede la propria moneta i tassi di interesse sono sempre bassi e la sua affidabilità è massima, perché i titoli di debito possono essere acquistati dallo Stato stesso, ovvero dalla sua banca centrale, emettendo moneta, la moneta di cui lo Stato è il proprietario-monopolista. E sempre usando la stessa moneta lo Stato non ha alcun problema né limite nel rimborsare gli acquirenti privati. E' esattamente ciò che faceva l'Italia prima dell'Euro, ciò che fanno ancora oggi la Gran Bretagna, gli Stati Uniti, il Giappone, la Svezia, solo per citare alcuni paesi ricchi con moneta sovrana. Quando lo Stato ha la sovranità monetaria non è esposto ai giochi speculativi che hanno travolto la Grecia, il Portogallo, la Spagna, e che nel 2011 hanno colpito pesantemente anche l'Italia. In conclusione, i politici che vanno in tv a dire "attenti, potremmo pagare interessi astronomici" si devono semplicemente vergognare, e se invece sono in buona fede devono mettersi a studiare. E di brutto.

6) Bisogna tornare alla Lira per svalutarla e rendere i nostri prodotti più competitivi. Il 90% dei pochi fautori dell'abbandono dell'Euro considera questo come il motivo più valido per tornare alla sovranità monetaria. In parole povere il concetto è il seguente: tornare alla Lira e poi fare in modo che la Lira valga poco affinché le nostre aziende possano esportare più facilmente. Il che è un po' come dire: ti do una cura contro il cancro, ma da domani inizia a fumare tre pacchetti di sigarette al giorno. Questa gente non si rende conto che un'economia che punta tutto sulle esportazioni produce due effetti: a) calo dei consumi interni, perché se noi consumiamo tutto quello che le aziende producono non resta più nulla da esportare; b) crollo dei salari e flessibilità ultras sul mercato del lavoro [che poi è funzionale al punto a)], cioè tagli al costo del lavoro per vincere la battaglia dei prezzi contro gli agguerritissimi concorrenti stranieri, che peraltro oggi sono Cina, India, Brasile, ovvero paesi dove il costo del lavoro è 1/3, 1/4, 1/5 rispetto a quello dei paesi ricchi. Una roba folle. Questo sistema economico fatto di esportazioni selvagge, delocalizzazioni di aziende, dipendenza dagli investimenti stranieri è uno dei capisaldi del modello economico che ci sta spazzando via. Le esportazioni sono utili nella misura in cui servono a compensare, a pareggiare le necessarie importazioni, stop. Ancora oggi, l'80% della produzione degli Stati Uniti è assorbito dalla spesa degli americani, credo sia un esempio molto significativo per capire che bisogna stimolare i consumi interni, il lavoro, la produzione, la ricchezza nazionale. 
Resta il fatto, ad ogni modo, che dei sei luoghi comuni sull'Euro descritti fin qui, quest'ultimo è probabilmente il meno grave e il meno ridicolo.

Per concludere è doveroso far notare che è sciocco illudersi che votando questo o quel candidato al Parlamento europeo si possano ottenere dei cambiamenti. Il Parlamento europeo, infatti, non ha potere legislativo, di conseguenza le maggioranze al suo interno contano meno di zero e non possono prendere alcuna iniziativa legislativa o costituzionale. Tutto il potere è in mano a una Commissione di funzionari non eletti. La convinzione che votare alle europee sia un dovere civico, nonché un atto importante per decidere le nostri sorti è il settimo luogo comune da smentire categoricamente. Del resto, risulterebbe fin troppo evidente che in Europa le elezioni sono solo una mera formalità se si conoscessero i veri scopi per cui è nata l'Eurozona: tutto fuorché una promessa di benessere e di democrazia.                          

Il vero scopo per cui è nata l'Eurozona

La moneta unica europea è un esperimento perfettamente riuscito. I suoi scopi: superare la democrazia e stroncare la piccola e media borghesia, il tutto scolpito in Trattati che hanno dato tutto il potere a una élite sovranazionale di nominati

Non è un complotto ordito in una stanza buia, no. L’Eurozona è un esperimento fatto alla luce del sole, anche se senza mai chiamare in causa direttamente il popolo. Ad ogni modo, la sua forma e il modello socio-economico a cui si ispira sono scritti a lettere di fuoco in Trattati sovranazionali scelleratamente firmati da tutti i paesi membri. Ho avuto modo di parlarne già alcuni mesi fa, qui mi limiterò a riassumere i veri obiettivi dei Trattati di Maastricht (1992) e Lisbona (2007).
In numerose occasioni ho scritto che l’Eurozona ha annientato l’unico vero modello economico in grado di garantire il benessere comune. Ricapitolando telegraficamente: lo Stato con moneta sovrana è il monopolista della moneta che lui emette spendendo. Nel momento in cui crea la moneta effettuando la propria spesa, lo Stato versa quella moneta nel contenitore dell'insieme dei cittadini, generando direttamente o indirettamente TUTTI I REDDITI ESISTENTI: dei dipendenti pubblici e privati, dei lavoratori autonomi, degli imprenditori, della classe politica, di tutti. Attraverso le tasse preleva poi solo una parte di quel denaro, in modo da creare un attivo nel contenitore, che per lo Stato è un debito. Pertanto, il debito dello Stato corrisponde fino all’ultimo centesimo al nostro attivo, alla nostra ricchezza, dunque non è un peccato mortale, anzi, è un processo assolutamente necessario, poiché questo è l'unico modo affinché venga prodotta ricchezza nuova nel contenitore di cittadini-aziende, all'interno del quale nessuno può generare un attivo dal momento che il denaro passa semplicemente da una mano all'altra. Come logica conseguenza, è sbagliato pensare che le tasse finanzino la spesa pubblica; infatti servono ad altro, come ho spiegato in altri articoli del blog, ed è evidentemente impossibile che il processo parta dal basso, ovvero dal nostro contenitore. Noi non possiamo finanziare la spesa dello Stato, semplicemente perché la moneta non la creiamo noi, bensì lo Stato, il quale prima spende e solo dopo tassa, e, ribadisco, deve tassare meno di quanto ha speso, senza avere limiti di alcun tipo. Neanche il pericolo dell'inflazione può costituire un limite per la capacità di spesa dello Stato, semplicemente perché è un pericolo inesistente, soprattutto in un paese con un elevato potenziale produttivo, dal momento che quando lo Stato spende più di quanto preleva stimola la domanda di beni ma anche l'offerta, i consumi ma anche la produzione (se volete maggiori dettagli visitate il sito di Paolo Barnard o quello della Mosler Economics).

L’Eurozona è invece il capovolgimento di quanto scritto sopra. Nell’Eurozona nessuno Stato è proprietario della moneta Euro, la quale viene emessa dalla Banca centrale europea e immessa nelle riserve dei mercati di capitali privati da cui gli Stati la devono prendere in prestito e restituirla con gli interessi. Non solo: il Trattato di Maastricht impone agli Stati firmatari di contenere il deficit (debito annuale) entro un limite insignificante, che peraltro include anche gli interessi sul debito accumulato prima della nascita dell’Eurozona, il che di fatto obbliga gli Stati a produrre ogni anno un avanzo di bilancio, dunque tagli alla spesa o aumento del prelievo fiscale, o entrambe le cose. Considerando ciò che ho scritto prima sul funzionamento degli Stati a moneta sovrana, tutto ciò implica che lo Stato preleva dal nostro contenitore più di quanto versa con la sua spesa. Il risultato è IMPOVERIMENTO ARITMETICO dell’economia. In definitiva, lo Stato non può assolutamente indebitarsi, sia perché glielo vietano i Trattati, sia perché non possiede una moneta.

Adesso dovete capire questo: tale impianto assurdo non è frutto di un errore, ma di un piano realizzato a beneficio esclusivo di grandi multinazionali, grandi speculatori e di una élite aristocratica di tipo neofeudale. Queste élite puntano a:
   
1) imprigionare gli Stati in una camicia di forza, perché, come scrive Paolo Barnard, “uno Stato senza portafoglio è come un eunuco, anzi peggio, è come un padre senza reddito”. Le conseguenze sul potere d'intervento del governo e del parlamento eletti dal popolo sono ovvie: quel potere di fatto scompare, perché lo Stato deve SOTTOSTARE AI DIKTAT DEI MERCATI FINANZIARI E DEGLI INVESTITORI STRANIERI (“senza mettersi in contrasto, anche solo brevemente, con le loro richieste”, cit. Marcello De Cecco, uno dei più grandi economisti italiani viventi), VENDERE IL VENDIBILE (cioè privatizzazioni, naturalmente a prezzi stracciati), compresi i servizi essenziali, quelli a cui non possiamo rinunciare, come l’energia, l’acqua, i treni, le autostrade, la sanità, persino le carceri e i cimiteri (le cosiddette “captive demand”, letteralmente “richiesta prigioniera”);

2) arricchirsi speculando sui debiti degli Stati, perché uno Stato senza moneta non può indebitarsi, ma poiché tutti gli Stati hanno un debito pregresso (che è stata la nostra ricchezza passata) che devono ripagare, non possedendo una propria moneta, DIPENDONO TOTALMENTE DAI PRESTITI DEI MERCATI DI CAPITALI PRIVATI (titoli di Stato), i quali hanno il coltello dalla parte del manico e possono fissare gli interessi che vogliono dal momento che lo Stato non può fare a meno dei loro soldi. E non dimentichiamo che quanto più lo Stato persegue il pareggio di bilancio o l'avanzo di bilancio, più l’economia nazionale regredisce, diminuiscono sempre più le entrate fiscali mentre aumentano le spese per gli ammortizzatori sociali. Quindi nuovi debiti (inutili, poiché servono solo a tappare la falle senza creare ricchezza) e sempre maggiore dipendenza dai mercati finanziari;

3) cancellare la piccola e media borghesia e i suoi diritti, per tornare ad un sistema molto simile a quello FEUDALE, CON UN’ARISTOCRAZIA CHE DETIENE TUTTE LE LEVE DEL POTERE POLITICO ED ECONOMICO E UNA MASSA DI LAVORATORI SOTTOPAGATI (compresi quelli qualificati), quando non addirittura sfruttati (si pensi agli immigrati), e di piccole aziende schiacciate. È l’ovvia conseguenza di quanto scritto finora, ma non dimentichiamo che questi neofeudali, per dare l’illusione di aiutare i popoli a superare la crisi economica che loro stessi creano, intimano agli Stati di aumentare la flessibilità del lavoro, ridurre i salari, licenziare i dipendenti pubblici, tagliare i servizi e le pensioni, spacciando tutto questo per “sacrifici necessari”. Lo Stato, come detto, non può opporsi più di tanto perché ha le mani legate, mentre IL PARLAMENTO NON CONTA PIÙ NULLA, visto che i Trattati scavalcano di fatto la Carta costituzionale, e le leggi della Commissione Ue non eletta da nessuno sono superiori a quelle adottate dal Parlamento nazionale. Il governo, dal canto suo, può limitarsi soltanto ad agire all'interno del nostro contenitore, spostando risorse da una categoria all'altra. I lavoratori, infine, finiscono per accettare la riduzione dei salari e delle garanzie, perché “meglio quello piuttosto che niente”. Lo scopo, in definitiva, è farci lavorare da kosovari, ma in strutture moderne. 

Tutto questo oggi si sta concretizzando sotto i nostri occhi, ce l’abbiamo sulla soglia di casa. Non c’è alcuna cospirazione segreta, è tutto pubblico e alla luce del sole. Finirà solo se e quando il popolo deciderà di staccare la spina. Ma se questa dovesse diventare la nostra dimensione abituale, se cioè dovessimo assuefarci a questo decadimento, le sofferenze finiranno ugualmente, nel senso che non ci faremo più caso, saremo sfruttati e sereni, immemori del passato benessere e dei diritti perduti. A noi la scelta.   

Eurozona: il mostro con cui le élite neofeudali cancelleranno democrazia e diritti. La storia e i nomi

Impedire agli Stati democratici di spendere per il bene comune e costringerli a sottostare a leggi sovranazionali emanate da persone non elette: così i grandi poteri stanno distruggendo la democrazia e la borghesia, creando una massa di sottopagati. Una storia di estrema cupidigia che Paolo Barnard riassume in questo articolo con fatti e nomi precisi


Continua da tre precedenti articoli: 1)Il debito pubblico non è un problema, anzi: è la nostra ricchezza; 2)Ecco perché gli evasori e la "casta" non sottraggono nemmeno un euro alla ricchezza nazionale; 3)Un sistema economico da disfare: a cominciare dal culto delle esportazioni.
Proseguiamo con il discorso avviato alcune settimane fa per comprendere come funziona l'economia finalizzata al benessere comune, e per capire come questa economia sia stata scientificamente smantellata. Ma da chi e con quali scopi? L'ultimo articolo della serie sarà dedicato proprio a queste risposte, e riporterà integralmente un articolo pubblicato da Paolo Barnard sul proprio sito, con cui il giornalista sintetizza quanto scritto nel libro "Il più grande crimine".
Abbiamo cercato fin qui di dimostrare che l'Eurozona non è altro che il più tragico e riuscito esperimento messo in atto per capovolgere la vera economia che aveva portato democrazia, diritti e benessere per un numero di persone mai visto prima. L'economia basata sull'assunto che lo Stato deve essere il proprietario e monopolista della moneta che tutti noi usiamo; lo Stato la emette (attraverso la sua spesa) versandola nel contenitore pubblico-privato di aziende-lavoratori-consumatori, e generando direttamente o indirettamente tutti i nostri redditi; ne preleva poi attraverso le tasse solo una parte, affinché il nostro contenitore registri un attivo. Il capovolgimento di questo sistema è invece l'Eurozona, dove la moneta non è emessa da alcuno Stato, bensì dalla Banca centrale europea, la quale la immette non nel nostro contenitore, ma nelle riserve dei mercati di capitali privati, da cui gli Stati la prendono in prestito dovendola poi restituire tutta con gli interessi. Conseguentemente sono obbligati a prelevare dal nostro contenitore tutto il denaro che vi hanno versato prima, lasciando a noi zero. Il risultato è impoverimento matematico, tagli alla spesa e ai servizi, tasse ammazza-economia, deflazione, disoccupazione, masse disposte a lavorare a qualsiasi condizione, Stati in balìa della speculazione e delle grandi multinazionali.
Veniamo quindi all'articolo di Barnard. E' una storia di estrema cupidigia che parte da molto lontano e che il giornalista riassume in questo articolo con fatti e nomi precisi. Buona lettura, e se trovate l'articolo troppo lungo potete leggerlo un po' alla volta, ne vale davvero la pena.

Tratto da paolobarnard.info, titolo originale: "Il Neofeudalesimo si chiama Eurozona. E' un mostro. Storia, nomi, fatti".
Il complotto. Una parola trasformatasi in un’arma micidiale ai danni di chi studia, denuncia, e lotta contro il Vero Potere. E’ usata da giornalisti soprattutto, quelli che dalle pagine dei grandi quotidiani e dagli schermi Tv ammiccano sorrisetti spregiativi quando quelli come me parlano di Unione Europea criminale, di progetto Neoclassico e infine di NEOFEUDALESIMO. Ci tacciano di essere dei fantasisti o pazzoidi che parlano di complotti, sciocchezze… suvvia, siamo seri.
Io (e pochissimi altri) denuncio cose che volano in effetti chilometri sopra la comprensione comune della gente. Esse sono così distanti dal ‘ragionevole’, dal ‘plausibile’, che è gioco facile, per coloro che sanno invece benissimo che quello che io denuncio è vero, squalificarmi come complottista. E allora l’Olocausto?
Il massimo storico dell’Olocausto mai esistito si chiamava Prof. Raul Hilberg. Il suo monumentale volume “La Distruzione degli Ebrei d’Europa” racconta fra la tante cose un fatto proprio ‘irragionevole’ e ‘non-plausibile’, una cosa che si direbbe pazzesca. Ed è che nella civilissima Germania degli anni ’40 del XX secolo, la macchina mostruosa dell’Olocausto si compose precisamente di due componenti:
A) di un’ideologia divenuta fede – cioè che l’ebreo andava eliminato per la salvezza del continente Europa;
B) e di una, si faccia attenzione!, macchina burocratica di sterminio AUTOPROPAGATASI, cioè non comandata dall’alto pianificata dai vertici nazisti. Ovvero di un moto perpetuo e autonomo che creava pezzi della macchina di sterminio man mano che questo moto passava da una testa all’altra, da una burocrazia all’altra, da una regione all’altra, da un’autorità locale all’altra, in Germania come in Polonia ecc. Nessun decreto di Hitler con le parole “gassateli”, nessun comando berlinese di ingegneri pianificatori dei campi di concentramento, nessuna riunione del Terzo Reich dove ogni sei mesi si faceva il punto dello sterminio. Ma, ripeto, un moto AUTOPROPAGATOSI da un’ideologia/fede e che ha finito col ricomporsi SPONTANEAMENTE in un Olocausto gestito da migliaia di pezzetti burocratici autonomi senza alcuna gestione centrale. Non so se vi è chiaro, ma tutto questo ha dell’incredibile, eppure fu così, lo decreta il massimo storico del Nazismo mai esistito. Ora…
… immaginate se un’autorità della statura immensa come quella del prof. Raul Hilberg avesse scritto di tutto ciò, previsto tutto ciò, negli anni dell’ascesa al potere di Hitler. Ma è straovvio: lo avrebbero squalificato come un mentecatto delirante e un complottista, probabilmente anche dagli stessi ebrei tedeschi. Facile, come bere un bicchier d’acqua.
E qui arrivo al nostro NEOFEUDALESIMO. Il mio lavoro di oggi, dopo il saggio Il Più Grande Crimine 2011, sta svelando una pianificazione di quasi un secolo da parte delle elite Tradizionaliste Neofeudali europee, cioè il Vero Potere, per riprendersi il dominio perduto dall’Illuminismo in poi; per, soprattutto, re-imporre alle “masse ignoranti” d’Europa un GIUSTO ORDINE che ne avrebbe evitato, a loro parere, la degenerazione in un modello di ‘depravata democrazia all’americana’. Il GIUSTO ORDINE significava e significa oggi per loro l’assoluto controllo di una elite non-eletta su centinaia di milioni di cittadini europei sempre più impoveriti, e quindi resi servi impotenti. E lo strumento che queste elite Neofeudali hanno usato per portare al successo quella pianificazione è l’UNIONE MONETARIA EUROPEA, oggi chiamata Eurozona, che infatti sta ottenendo la devastazione della democrazia e degli standard di vita in tutta Europa, con crolli di quegli standard e dell’economia della piccola-media borghesia di proporzioni indicibili. Ebbene, ricordate Hilberg: facile per i tromboni servi del Vero Potere ridicolizzare me e le mie autorevoli fonti accademiche come complottisti. Ma non lo siamo. Noi vi stiamo raccontando il prossimo Olocausto, dove nei campi di sterminio è già oggi finita la DEMOCRAZIA.

Elite Tradizionaliste Neofeudali: da dove nascono? E cosa hanno fatto?
Per semplificare un racconto immenso, parto dal New Deal di Franklin D. Roosevelt. Quando la notizia di quella rivoluzione sociale ed economica americana giunse in Europa, essa fu accolta dai discendenti delle famiglie dominanti e dai maggiori capitani d’industria, i Tradizionalisti Neofeudali, con orrore. Niente meno che orrore. Ma che stava facendo quel pazzo degenerato di Roosevelt?, pensarono. Dio! Stava usando i soldi dello Stato per creare dei “falsi diritti” per le “masse ignoranti”, per i disoccupati, e gli stava migliorando lo standard di vita! Questo era anatema per Tradizionalisti Neofeudali, per due motivi: lo Stato USA, poiché possessore di una moneta sovrana, aveva in mano uno strumento di potere di fuoco infinito per far avanzare proprio le spregevoli “masse ignoranti”, e questo poteva contagiare anche gli Stati d’Europa. Andava evitato a tutti i costi; e una volta che le “masse ignoranti” avessero ottenuto abbastanza diritti e benessere, sarebbero divenute troppo potenti e avrebbero definitivamente distrutto i VALORI DEL GIUSTO ORDINE SOCIALE perduto dopo il crollo dei feudalesimi a favore della democrazia. Questi valori sono:
A) sottomissione delle “masse ignoranti” alla superiore saggezza delle elite non-elette, che le governa attraverso istituzioni SOVRANAZIONALI rette da tecnocrati fedeli ai Tradizionalisti Neofeudali (vi dice già qualcosa….?).
B) una vita di permanente povertà o scarsità delle “masse ignoranti” per non alzare troppo la testa sopra il regno della Chiesa vaticana, fedele alleata della restaurazione del GIUSTO ORDINE.
C) da quella scarsità doveva venire paura e insicurezza continua delle “masse ignoranti” per cementare tutto ciò. Un esempio concreto: essi pensarono che con “masse ignoranti” rese benestanti ‘alla americana’ non sarebbe più stato possibile spedire milioni di poveracci a crepare come maiali al macello nelle trincee di una guerra Neofeudale (I Guerra Mondiale), o in avventure coloniali dello stesso stampo, non sarebbe più stato possibile estrarre manodopera della gleba per i loro conglomerati industriali.
Ora ecco chi erano i Tradizionalisti Neofeudali. Il primo gruppo si riunì fra le due Grandi Guerre attorno al Comité des Forges in Francia, finanziato dalla famiglia Wendel e dai tedeschi Krupp, con interventi finanziari di non poco conto della Banca di Francia. Erano politici principalmente, ma raccoglievano le idee di pensatori noti, da Junger a Keyserling, Heidegger, Jouvenel, Perroux, Mounier, Celine, naturalmente selezionandone le analisi più convenienti per il loro sogno di restaurazione del GIUSTO ORDINE, e scartandone molte altre (ad eccezione di Perroux che fu preso e copia-incollato da cima a fondo). Gli economisti di riferimento erano i Neoclassici più noti allora: Walras, Jevons, Menger. Questo primo drappello fu immediatamente ingrossato nelle sue fila dai maggiori industriali nord europei (franco-tedeschi soprattutto, il cosiddetto cartello dell’acciaio-carbone), dalle famiglie nobili, prima fra tutte la famiglia tedesca dei Thurn Und Taxis e i belgi Davignon e Boel, i Reali allora esistenti in Europa (esclusa la Gran Bretagna), e la miriade di discendenti della casa Hohenstaufen (non posso qui elencare tutti questi ‘rentiers’ europei, ma sono migliaia di famiglie).
Se ne deduce che era principalmente un ‘asse’ franco-tedesco, ed aveva un progetto ben preciso: sottomettere a quasi servitù intere nazioni europee a cominciare da Italia, Portogallo, Spagna, il Benelux, e anche gli scandinavi. L’Europa dell’est neppure era presa in considerazione, la consideravano territorio coloniale come l’Africa. Per quanto riguarda gli Stati Uniti, i Tradizionalisti Neofeudali avevano due visioni nette: la prima era che la ‘democrazia dei consumi’ d’oltreoceano avrebbe finito per corrompere quella società con i valori ‘depravati’ del benessere minimo della gente, fino alla sua distruzione. Infatti il capitalismo americano, per quanto infestato di imperfezioni, doveva (e deve) mantenere in vita un minimo di spesa pubblica per evitare il collasso totale dei consumi, che è contrario agli interessi delle Corporations, e quindi doveva (e deve) mantenere le strutture democratiche di: governo sovrano, Parlamento che decide la spesa (Congresso), e Banca Centrale che la finanzia (FED). Tutti elementi, questi, che per i Tradizionalisti Neofeudali erano bestemmie politiche allo stato puro che avrebbero affondato gli USA celebrando la vittoria della loro Europa neofeudale; la seconda visione era che appunto l’Europa non avrebbe mai dovuto diventare un modello americano di Stati Uniti d’Europa con un governo centrale democraticamente eletto, un Tesoro comune e Banca Centrale a garanzia dei debiti pubblici (vi dice già qualcosa…..?). Il fatto è che in America nessun singolo Potere era, ed è mai riuscito badate bene, come invece in Europa oggi proprio al culmine del sogno Neofeudale, a impossessarsi di tutti e tre i poteri fondamentali delle elite: il potere economico, quello politico e quello di manipolazione delle masse. I Tradizionalisti Neofeudali invece lavorarono proprio per impossessarsi di tutti e tre questi poteri, con un successo tragico oggi chiamato Unione Europea/Eurozona.
Ora torniamo al loro valore numero uno, sopradescritto come: A) sottomissione delle “masse ignoranti” alla superiore saggezza delle elite non-elette, che le governa attraverso istituzioni SOVRANAZIONALI rette da tecnocrati fedeli ai Tradizionalisti Neofeudali. La domanda che si posero fu come ottenere una struttura simile. La risposta che gli arrivò fu lampante: creare una UNIONE MONETARIA, che privando gli Stati della loro moneta li distruggeva di fatto totalmente, e li assoggettava ai gestori esterni, sovranazionali, di quella UNIONE. Uno Stato senza portafoglio è un eunuco, anche meno di questo, è come un padre di famiglia senza reddito, il cui Parlamento diventa una facciata di cartapesta: democrazia MORTA. Di conseguenza le “masse ignoranti” sarebbero andate allo sbando e crollate nella deflazione permanente del loro standard di vita (vi dice già qualcosa….?), esattamente lo scopo dei Tradizionalisti Neofeudali.
La sopraccitata risposta gli fu servita da quattro uomini: Robert Schuman, lobbista dell’industria pesante francese di acciaio e carbone, e un prediletto del Vaticano, uomo di collegamento coi trust dell’acciao-carbone tedeschi; Jean Monnet, banchiere, esperto di finanza, e uomo strategico perché in buoni rapporti con gli USA; Walter Funk, presidente della Reichbank (1943); e Francois Perroux, economista, il vero cervello dietro la moneta unica e il modello di Banca Centrale Europea che poi sarebbe venuto, un filonazista puro (almeno fino a che non giudicò Hitler troppo ‘soffice’), con cui lavorava un altro economista di pura tradizione neofeudale, Jaques Rueff.
I Neofeudali di Francia e Germania a quel tempo, e qui stiamo già parlando dei primi anni dopo il 1945, capirono però che non potevano portare avanti un progetto di rottura così violento coi valori americani, perché l’Europa ridotta a macerie era appesa alla tetta di Washington disperatamente. Qui fu la furbizia di Monnet a fare il trucco. Monnet semplicemente descrisse il micidiale progetto neofeudale della UNIONE MONETARIA ai presidenti USA Truman e Eisenhower come un’unione europea di nazioni retta da un governo di saggi in funzione anti Sovietica! Un muro contro il ‘pericolo rosso’. Non solo, Monnet disse agli americani che la Banca di Francia avrebbe continuato a finanziare la Germania dell’ovest, visto che i Wendel erano di fatto i padroni della banca. Washington ci cascò, e rimase totalmente inconsapevole della vera natura del progetto descritta sopra, e del suo odio feroce per qualsiasi modello americano.
Prima di proseguire, va spiegata una cosa di una importanza cruciale, ma veramente assoluta. Quando parliamo di uomini del Vero Potere, tendiamo automaticamente a pensare a questi vampiri che siedono su castelli stracolmi di oro, ricchezze, fortune immani, e che fanno ciò che fanno a milioni di innocenti per pura arrogante avidità. No. Fermi. Personaggi di questa matrice esistono certamente, ma sono più gli americani a essere di quella pasta, come alcuni europei certo, ma NON i Tradizionalisti Neofeudali. No, no e no. Essi, dovete capirlo, lavorarono, e oggi lavorano, solo per due motivi:
A) Un senso di investitura divina al DIRITTO di governare le “masse ignoranti”, esattamente come i loro antenati in epoca feudale. Ma soprattutto…
B) Un senso del DOVERE, cioè di dover fare quello che fanno, se no, essi sono convinti, il mondo del GIUSTO ORDINE SOCIALE verrà travolto dalla depravazione di quel mostro purulento chiamato democrazia, che per loro è la fonte della fine di ogni valore, di ogni buon senso, la fonte della fine di tutto. Loro DEVONO salvarsi e salvarci, a costo di ammassare montagne di cadaveri. Ricordate bene: un uomo come l’attuale presidente del Consiglio Europeo, il super-Neofeudale Herman Von Rompuy, o un uomo come Mario Monti, ne sono convinti fin nel midollo. Così Juncker, Draghi, Issing, Barnier, Rehn, così era Padoa Schioppa e soci. Ecco perché non mostrano un milligrammo di pietà umana per le sofferenze di milioni di europei oggi (vedi Grecia). Essi pensano che essa è la giusta via del SACRIFICIO per impedire a tutto il continente di sprofondare nella sparizione finale dei loro ‘GIUSTI VALORI’. Lo Stato non dovrà MAI PIU’ garantire alle masse i “falsi diritti” del welfare, della democrazia, del benessere in crescita (non vi dice già qualcosa….?). In questo i Tradizionalisti Neofeudali odierni derivano la loro ideologia non solo dai personaggi sopraccitati, ma anche da Heidegger, Hitler, Goebbels, Funk e Schacht, tutti autori di scritti e noti discorsi contro la ‘perversione’ del New Deal di Roosevelt, cioè del modello di Stato interventista nel sociale, e a favore invece della supremazia delle elite su Stati imbelli. Ma la derivano soprattutto (Monti fra i primi) da colui che si contende il titolo di ‘Il più sociopatico economista mai vissuto’ con Robert Malthus, cioè Friedrich Von Hayek, della cosiddetta scuola austriaca, un vero razzista di proporzioni epiche, l’uomo che scrisse di poter tollerare un minimo di Stato Sociale ma solo “per impedire ai poveri di esasperarsi al punto da divenire un pericolo fisico per le classi dominanti” (sic). E’ l’uomo che dopo il francese Perroux si batté per impedire l’accesso delle “masse ignoranti” all’istruzione pubblica, considerata pericolosa perché avrebbe fatto comprendere alle masse l’economia.

Il salto del Neofeudalesimo dei Tradizionalisti al Vero Potere Neofeudale del giorno d’oggi.
Non vi faccio perdere tempo. La nascita dell’Unione Europea è roba stranota come tappe formali: Piano Schuman 1949, la CECA nel 1951, il Trattato di Roma 1957, nel 1967 la Comunità Europea (CE), nel 1979 eleggemmo il primo Parlamento Europeo, poi arriva il 1993 quando nasce l’Unione Europea col Trattato di Maastricht, che sancì una serie di riforme eclatanti, fra cui dal 1 gennaio 2002 quella dell’Euro come moneta unica per i suoi membri. La nostra Banca Centrale Europea di oggi è stata modellata precisamente sulle indicazioni del tradizionalista neofeudale Francois Perroux, che già allora scrisse quelli che oggi sono i comandamenti della BCE: impedire agli Stati di spendere a deficit per il terrore dell’inflazione; le crisi si curano con Austerità feroci, cioè tagli sociali e super tasse; il Mercato Unico deve esser il Signore assoluto senza nessuna interferenza degli Stati; la flessibilità del lavoro è un comandamento imprescindibile. Questo scrisse il neofeudale Perroux nel 1943 (!), e questo è oggi!
E sempre stando col francese, ma anche con l’ultra neofeudale austriaco sopraccitato, Hayek, si viene a sapere che l’idea di sottomettere le banche al potere delle elite neofeudali – oggi in pieno svolgimento con l’Unione Bancaria UE (si legga http://paolobarnard.info/intervento_mostra_go.php?id=834) – fu loro già 60 anni fa.
Oggi, le idee tradizionaliste/neofeudali degli anni ’30 di UNIONE MONETARIA, Banca Centrale e distruzione della spesa pubblica degli Stati, hanno preso la forma della perversa struttura dell’Eurozona, con l’UNIONE MONETARIA, la BCE, e le AUSTERITA’. Queste perfette riproduzioni del vecchio progetto tradizionalista neofeudale hanno di fatto spogliato totalmente gli Stati ex sovrani di ogni reale potere consegnandolo a elite non-elette (Commissione UE), e ne hanno esautorato i Parlamenti con i Trattati UE sovranazionali che sono superiori in autorità alle nostre leggi, cioè il sogno neofeudale come detto più sopra. Ora notate però una cosa: il progetto tradizionalista neofeudale ha tolto tutto allo Stato nazionale meno una cosa: il potere di polizia fiscale, proprio per imporre a milioni di esasperati cittadini gli orrori del ‘giusto sacrificio’ del GIUSTO ORDINE neofeudale, che io ho battezzato coi nomi di Economicidio e Chemiotassazione. Bene, anche questa idea risale al club di Perroux, Funk, Rueff e soci, altra mostruosità neofeudale presente sulla soglia di casa di milioni di noi oggi.
Ma chi sono oggi i portatori dell’oscena torcia Neofeudale nella UE? cioè: CHI SONO GLI UOMINI CHE HANNO RACCOLTO L’EREDITA’ DEL PIANO TRADIZIONALISTA NEOFEUDALE DEGLI ANNI ’30, E CHE LA STANNO PORTANDO ALLA VITTORIA CON LA DEVASTAZIONE DI TUTTE LE NOSTRE EX DEMOCRAZIE, CON DISOCCUPAZIONE RECORD, PAURA SOCIALE, E DEFLAZIONE ECONOMICA PERMANENTE AI MASSIMI LIVELLI DA 70 ANNI CREATE A TAVOLINO DALL’EUROZONA E DAI SUOI TRATTATI?
Ne ho già nominati alcuni, cioè Herman Von Rompuy, Mario Monti, Juncker, Draghi, Issing, Barnier, Rehn, Barroso, così era Padoa Schioppa. Aggiungo alcuni altri colossi neofeudali: Jaques Attali, Jaques Santer, lo fu Francois Mitterrand, Jean Claude Trichet, poi Giuliano Amato, Romano Prodi, Theo Weigel, col codazzo di centinaia di vassalli tecnocrati come gli italiani Marco Buti e Massimo Tononi. Vi si aggiunge la corte di latifondisti, nobili e massoni ammorbati di Opus Dei che si riuniscono attorno a Etienne Davignon e al famigerato club Bilderberg, sempre potentissimi. Poi il micidiale Jaques Delors, l’uomo di devota ‘scuola Perroux’ che ha tenuto le massime redini d’Europa (Presidente Commissione Europea, il vero potere UE) per tutti i 10 anni cruciali del passaggio dalle democrazie degli anni ’70 agli Stati fantoccio del dopo Maastricht/Eurozona. Poi non si dimentichino le correnti tedesche di economia della Scuola di Berlino e di Bremen, con il cosiddetto ‘Ordo-Liberismo’ di Walter Eucken che ha spacciato a generazioni di gonzi tedeschi il Neofeudalesimo come corrente sociale!
Ma qui c’è un altro passaggio da capire, che è cruciale. L’avanzata del NEOFEUDALESIMO, cioè della VERA ANIMA di tutto quello che a voi raccontano come Eurozona e Unione Europea e che ci sta distruggendo come democrazie, si è servita di una specie di ‘ascensore’ per arrivare invisibile nella stanze del potere. Hanno usato l’economia cosiddetta Neoclassica e quella Neoliberista. Come detto, i Neofeudali hanno usato un’arma principale per ottenere l’abbattimento del potere degli Stati di spendere per la crescita del popolo e della democrazia: l’UNIONE MONETARIA, che, ripeto, significa 1) bloccare la spesa pubblica 2) creare il terrore dei deficit 3) imprigionare i governi entro spese pubbliche microscopiche 4) quindi paralizzare il flusso di denaro nelle società, portando deflazione economica, fallimenti a catena, disoccupazione alle stelle, paura e insicurezza di tutti 5) e consegnare noi cittadini/aziende nelle mani dei produttori ‘privati’ di denaro, cioè le banche, visto che il produttore di denaro pubblico, lo Stato, è stato castrato.
Bene, queste folli regole erano per coincidenza anche il vangelo degli economisti prezzolati dal Vero Potere che si organizzarono per distruggere, per letteralmente polverizzare, tutta l’Economia Sociale nata dal pensiero di Marx, di Keynes, della Robinson, di Kalecki, di Godley, quella cioè che predicava l’esatto opposto: uno Stato DEVE SPENDERE PIU’ DI QUELLO CHE TASSA PER FAR CRESCERE IL 99%, A SCAPITO DELL’1%. Questi economisti prezzolati dal Vero Potere erano e sono appunto i Neoclassici e i Neoliberisti, quelli che (parlando dell’Italia) oggi campeggiano alla Bocconi e sul Corriere della Sera, cioè i Giavazzi, gli Alesina, i Boeri, i Mingardi, Stagnaro, Boldrin, ecc. Ma soprattutto i loro ‘superiori’ internazionali come Von Mises, Friedman, Brunner, Tsiang, Meltzer, Lucas, Reinhart e Rogoff, Mankiw ecc. La cosa pietosa di sto drappello di venduti con crimini sociali sulla coscienza è che non si sono mai resi conto di essere stati usati come ‘ascensori’ da un potere ben più devastante, quello Neofeudale, che li disprezza persino, considerandoli troppo morbidi nell’opera di annientamento delle “masse ignoranti”, così come Perroux considerava Hitler troppo morbido. Ma i Neofeudali li hanno e li stanno ancora usando. Il problema è che tantissimi antagonisti del Vero Potere credono in buona fede che il nemico da combattere in UE siano ste ‘puttane’ dell’economia Neoclassica Neoliberista, mentre no! NO!, il nemico ha un altro nome: NEOFEUDALESIMO. Ma naturalmente…. Barnard è un complottista… eh? cari miei economisti ‘di sinistra’ eteroignari alla Brancaccio, Zezza o Bellofiore? Non avete ancora capito NIENTE del Vero gioco, sciocchi.

Il grande paradosso capitalistico.
Una domanda, sono certo, vi ha già percorso la mente da un bel po’. Questa: ma le classi capitaliste europee non la vedono la contraddizione fra la dottrina ormai dilagante del Neofeudalesimo e i loro interessi? Non lo vedono che distruggere la ricchezza immessa dallo Stato in cittadini/aziende (la spesa pubblica), che creare così deflazione permanente, e che ridurre alla semi-povertà milioni di europei li danneggia nei commerci di beni e servizi e quindi nei profitti?
La risposta a questa domanda è sempre – come tutto è quando si parla di Vero Potere, e così come nell’esempio iniziale dell’Olocausto – scioccante e incredibile. La semplifico. Uno dei colossi dell’economia sociale, quella dell’INTERESSE PUBBLICO, e naturalmente sepolto e dimenticato, era Michal Kalecki, polacco. Già lui negli anni ’40 del XX secolo ci avvisava della miopia, MIOPIA, permanente e irrimediabile della classe capitalista imprenditrice. Disse Kalecki che, contrariamente a tutte le evidenza della scienza economica, gli imprenditori nascono, crescono e muoiono con stampato nel loro cervello il Dogma secondo cui un’azienda profitta se paga i lavoratori il meno possibile. E questo, già ai tempi del geniale polacco, valeva per il gigante Krupp come per il salumaio di quartiere. Oggi questa demenziale distorsione mentale esiste identica in tutta la classe imprenditrice europea, dalla Fiat o Siemens, alle piccole medie imprese, al bar.
Non è valso nulla che un altro genio dell’economia sociale come John Maynard Keynes abbia dimostrato all’infinito che il “Paradosso del Risparmio” è una rovina di tutto il ciclo economico mondiale: se si pagano poco i lavoratori, se si risparmia e non si spende, crolla il flusso di liquidità che è proprio quello che fa crescere aziende ed economia, che permette gli investimenti e infine i profitti stessi. E’ lampante no? Ma no. Non è valso a nulla che Marx nell’800 o che Godley pochi decenni fa abbiano spiegato ai capitalisti i precisi meccanismi della creazione del profitto, che richiede SEMPRE l’esistenza di categorie di salariati capaci di spendere bene a favore di altre categorie (e se possibile senza ricorrere al debito con le banche), con, come fornitore di liquidità di ultima istanza lo Stato. No. Niente. I capitalisti non lo capivano, e non lo capiscono ancora oggi. Gli imprenditori colossi, ma anche quelli medi e piccoli, non la vogliono capire. E allora ecco che si spiega perché il fanatismo dei Neoclassici di ridurre tutti i salari a livelli di semi-povertà gli va a genio perfettamente. E’ il trionfo del loro istinto idiota di dominare i dipendenti credendo di trarne profitto. E’ il trionfo della cocciuta stupidità dell’imprenditore che NON CAPISCE MAI, MAI NULLA DEI FONDAMENTALI DELLA MACROECONOMIA KEYNESIANA, che invece farebbe la fortuna sua e dei suoi dipendenti allo stesso tempo.
Pensate, in questo contesto, al fenomeno delle mega-fusioni e acquisizioni industriali e bancarie. Spiego: da diversi anni assistiamo a una corsa maniacale di Corporations e banche ad acquistare rivali, o aziende minori, per creare questi colossi sempre più immensi. Cito solo la tedesca Audi o la Deutsche Bank perché la Germania è oggi lo Stato che più al mondo corre per gonfiare in modo mostruoso le dimensioni delle proprie maggiori aziende; ma anche la nostra Unicredit, ENI o ENEL tentano espansioni simili, e altri esempi sono infiniti. Il punto che hanno in comune tutti questi operatori del mega capitale è sempre il medesimo: tagliare i costi e i salari. Cosa stanno facendo questi sciagurati? Semplice: obbediscono all’ordine Neofeudale secondo cui appunto l’immane concentrazione del potere dei Signori deve ritornare agli splendori dei secoli IX o XII, con servitù della gleba come manodopera sia di colletti bianchi che blu. E di nuovo non comprendono che questo deprimerà proprio l’economia su cui vivono. No! Comandare è più importante per loro, del resto sono ciechi.
E poi si faccia attenzione: i Neofeudali sanno benissimo che una volte che una Corporation o una banca divengono ipertroficamente colossali, è impossibile per qualsiasi Stato lasciarle fallire quando l’economia che esse stesse hanno depresso, come detto sopra, collassa, perché finirebbero per trascinarsi dietro mezzo mondo. E allora gli Stati devono usare il denaro pubblico per salvarle, chinando la testa come sguatteri. E perché la chinano? PERCHE’ NON POSSONO PIU’ USARE LA LEGGE DEI PARLAMENTI PER COMANDARE NELL’INTERESSE PUBBLICO, VISTO CHE I NEOFEUDALI SONO OGGI I SOLI POSSESSORI DELLA LEGGE SOVANAZIONALE. Attenti a questo passaggio, lo ripeto. Solo i Tecnocrati Neofeudali possono oggi controllare questi colossi industriali e bancari, visto che sono loro, i Neofeudali della Commissione Europea, della BCE o del Consiglio UE che gestiscono l’arma finale di tutte le armi:
LA LEGGE, oggi da loro esclusivamente creata in UE.

La disperazione di un pubblico che non capisce. Cosa va fatto.
Una precisazione importantissima per i lettori, che, mi perdonino, non riescono mai bene a capire le ombre del Vero Potere e virano sempre verso un quadro di buoni contro cattivi, chi vince chi perde. No, le cose nel mondo del Vero Potere, specialmente nella sua versione Neofeudale, non stanno così.
La guerra è in corso, non è vinta, i Neofeudali hanno indiscutibilmente ottenuto vittorie agghiaccianti, le ho già descritte alla noia, ma ribadisco: basti pensare al fatto che Camera e Senato oggi sono stati resi teatrino di campagna assieme alla nostra Costituzione; basti pensare che l’Italia non ha mai visto un crollo dei consumi come quello odierno dalla fine della II Guerra Mondiale (Istat), con i giovani disoccupati italiani in numeri di livello africano. Io qui vi ho raccontato dell’esistenza di questo mostro e di ciò a cui mira in futuro. Ma ci sono forze antagoniste alla restaurazione finale del NEOFEUDALESIMO in Europa: non sono certo gli attivisti, che non ci capiscono nulla e si rifiutano di capire; non sono certo (perdonate, conato…) i sindacati. Sono alcune forze di capitalismo europeo filo-USA; è una parte del mondo finanziario, quella più vicina al sistema bancario ‘retail’, cioè piccole-medie banche; ma soprattutto sono le colossali incognite del capitalismo russo e cinese, dell’asse che stanno creando con l’idea di uno Yuan moneta di riserva internazionale sostenuta dal gas/petrolio russo, cioè un rivoluzione economica sempre modellata sugli Stati Uniti che potrebbe spazzare via da sola tutto il progetto neofeudale in pochi anni.
Ma per ora i Neofeudali sono qui, a Bruxelles e a Francoforte, e sono micidiali, hanno in mano tutto il potere, TUTTO. E qui arriva la mia disperazione: un pubblico che non capisce.
Lo avete capito che tutto ciò che hanno creato i NEOFEUDALI in oltre 70 anni è all’origine della più devastante crisi delle democrazie, dell’economia, dei posti di lavoro, del futuro dei giovani, della tutela sociale dalla fine della II Guerra Mondiale? Lo capite che l’urlo dell’operaio del Veneto, che la depressione della famiglia laziale una volta benestante e oggi in crisi, che il collasso dei diritti alla vita dignitosa alla salute alla prosperità di milioni di noi provengono tutti dal progetto Neofeudale, OGGI VINCITORE? Lo avete capito che quel progetto ha distrutto la spesa pubblica, la sovranità dei Parlamenti, e l’economia dell’Interesse Pubblico, per restaurare il GIUSTO ORDINE del regno delle elite sulle “masse ignoranti”? E si chiama Eurozona, UE dei tecnocrati.
Lo avete capito che un fantoccio patetico come Renzi, immediatamente chiamato a obbedienza dalla neofeudale Angela Merkel, conta come una cacca di piccione sul davanzale d’Europa? Lo capite che i politici di Roma sono ridicoli figuranti impotenti e grottescamente ignari di tutto il Vero Potere? Vi è chiaro che gli sbraiti di un cretino di Genova neppure arrivano alla soglia di casa dell'autista di uno come Herman Von Rompuy? Che neppure arrivano all’orecchio della camiciaia di Barnier? Lo avete capito che il Vero Potere va studiato e che dobbiamo contrapporgli una guerra totale combattuta da uomini e donne con pedigree d’acciaio, con una preparazione che spacca un capello con uno sguardo? Che va combattuto da chi ha la seguente idea chiara, limpida e scolpita nell’acciaio della propria determinazione a liberarsi:
I NEOFEUDALI CI HANNO SOTTOMESSI, DEPREDATI DI DEMOCRAZIA E DIRITTI, CI HANNO SCHIAVIZZATI USANDO CODICI DI LEGALITA’ DA LORO RESI ‘PLAUSIBILI’, QUANDO INVECE ERANO ‘INIMMAGINABILI’, E CI RISERVANO UN FUTURO DA SERVITU’ DELLA GLEBA NEL TERZO MILLENNIO.
ORA NOI DOBBIAMO RIPRENDERCI 250 ANNI DI CODICI DI VERA LEGALITA’, QUELLA CHE HA PRODOTTO LE PIU’ AVANZATE COSTITUZIONI DEL MONDO PER L’INTERESSE PUBBLICO, E SBATTERGLIELA IN FACCIA, CON IL POTERE RESTITUITO AGLI STATI SOVRANI E AI PARLAMENTI DI FERMARLI E DI ARRESTARLI, DI PROCESSARLI PER I LORO IMMANI CRIMINI, E DI FARLI SPARIRE.
Questo dobbiamo fare. Significa: l’uscita dell’Italia dall’Eurozona neofeudale, il ripristino della nostra SOVRANITA’ MONETARIA E PARLAMENTARE, e l’applicazione in Italia della migliore economia dell’Interesse Pubblico mai esistita: la Mosler Economics MMT. Leggete il Programma di Salvezza Economica per il PaeseMa significa soprattutto un’altra cosa, caro lettore, cara lettrice: che tu, come me, ritrovi il CORAGGIO, il coraggio di ribellarti, ora che sai cosa ti stanno facendo. Caro lettore, cara lettrice, senza coraggio siete morti, e saranno morti i vostri figli, e se non avrete coraggio ve lo meritate.
(p.s. buone elezioni europee… come andare a investire in un pollaio di Vicenza credendo di influenzare la Borsa di New York.)


* si ringraziano i contributi di: primo fra tutti Alain Parguez, poi Ferguson, Lacroix-Riz, Tooze, Bruneteau, Bliek, Piettre, Lhomme, Sartre, Herman, Chomsky, Zoccarato.
PAOLO BARNARD