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Castigat ridendo mores

L'Europa di oggi vista da uno storico del 2064

Durante "l'età dei grandi predatori dell'economia", intere generazioni di europei ben istruiti si fecero raggirare lasciandosi sottrarre tutto il patrimonio di diritti, di democrazia e di benessere costruito dai loro predecessori


Che la Storia non sia caratterizzata da un progresso continuo è stato ormai ampiamente provato, ma la regressione a cui furono condannati milioni di europei tra la fine degli anni '90 del Novecento e i primi due decenni del terzo millennio, ovvero in quella che viene comunemente definita "l'età dei grandi predatori dell'economia", è sicuramente il caso più eclatante, se non addirittura l'unico, di tutta l'età contemporanea.
Considerata da sempre l'area economica che meglio di tutti aveva saputo coniugare sviluppo economico e solidarietà sociale, l'Europa, all'inizio degli anni '20, si ritrovò con un tessuto sociale e produttivo completamente dissestato, con redditi, consumi, produzione e qualità dei servizi crollati al livello degli anni '70 del Novecento. Ma cos'era successo?
Per capirlo occorre fare qualche passo indietro. In primo luogo, l'area della moneta unica europea (l'Euro) era piombata in una crisi irreversibile già qualche anno prima. Nel 2013, in particolare, era ormai emerso chiaramente che il problema dell'eurozona non erano i paesi mediterranei, dal momento che anche quelli del Nord Europa scricchiolavano parecchio, e alcuni di loro presentavano condizioni critiche almeno quanto quelli del Sud. La Francia aveva una disoccupazione record, il più alto crollo del settore immobiliare dell'eurozona, l'industria e il manifatturiero con perdite senza precedenti, e oltretutto non era assolutamente in grado di rispettare nessuno dei parametri comuni che gli Stati europei si erano dati. L'Olanda registrava la maggior perdita di pil di tutta l'eurozona. Un modello considerato fino ad allora virtuoso, quello della Finlandia, aveva un'economia ormai completamente piantata. La Germania era l'unica a vantare una timida crescita del pil, in ciò favorita dall'aggressività dell'export, ma soprattutto da alcune eccezioni che le erano riservate in relazione alla possibilità di stampare Euro per acquistare i titoli di Stato. Tuttavia, era proprio in Germania che si trovava la "bomba nucleare" che avrebbe fatto deflagrare l'eurozona, in quanto le principali banche tedesche, ed in particolare la Deutsche Bank, avevano in cassa una quantità di "derivati tossici" che era 20 volte il pil del paese.
Emergeva chiaramente che l'idea di privare gli Stati di una moneta nazionale aveva prodotto effetti disastrosi. Noi oggi sappiamo che uno Stato che rinuncia alla propria moneta sovrana è paragonabile ad un uomo che si privi dei polmoni per respirare con quelli degli altri. Uno Stato senza moneta è come un padre senza reddito che ha perso la sua principale facoltà/dovere, quella di spendere per far crescere i figli degnamente. L'esempio fornito da quella fase drammatica della storia dell'Europa è servito alle generazioni successive affinché non si ripetesse lo stesso errore. Ma fu veramente un errore?
La storiografia è ormai concorde nell'affermare che non si trattò di un errore o di una cattiva gestione dell'unificazione economica europea, bensì di un piano ben preciso che ha indotto gli storici a coniare l'espressione di "età dei grandi predatori". Il piano fu elaborato dai numerosi club esclusivi, think tank e fondazioni varie che proliferarono in Europa e non solo a partire dagli anni '70. Grandi industriali europei e americani, leader delle banche d'affari, eredi delle aristocrazie europee di origine medievale, alcuni uomini politici collusi con queste élite affaristiche concepirono un esperimento che prevedeva la riduzione della sovranità degli Stati democratici europei fino ad annullarla del tutto, per poi arrivare al vero obiettivo, cioè un enorme e graduale trasferimento di ricchezza dalla massa a vantaggio di pochi "rentier". Per raggiungere lo scopo bisognava togliere agli Stati l'ossigeno, ovvero la moneta di cui lo Stato è il proprietario-monopolista.
Uno dei casi più tipici di questo cambiamento è proprio l'Italia, dove si può dire che l'esperimento ebbe inizio grazie all'intervento di alcuni uomini della politica e della finanza. Qui, nel 1981, il governatore della Banca d'Italia Carlo Azeglio Ciampi fu l'artefice principale del "divorzio" tra Banca d'Italia e Ministero del Tesoro. Per capire gli effetti di questa decisione, occorre ricordare che fino a quel momento l'Italia era stato il paese dove la facoltà dello Stato di spendere a deficit era stata applicata in maniera più efficace, in particolare negli anni '70. I governi italiani, infatti, si indebitavano continuamente, ma poiché, come sappiamo, il debito dello Stato corrisponde fino all'ultimo centesimo all'attivo dell'economia privata, la crescita dell'Italia, cominciata nella seconda metà degli anni '50, era diventata sempre più dirompente: era il quarto esportatore del mondo, era il primo paese europeo per produzione industriale e il secondo al mondo per risparmio privato. Utilizzando la propria moneta, che emetteva liberamente secondo le necessità dell'economia, lo Stato italiano poteva coprire il proprio debito e finanziarlo a tassi assai contenuti. Il sistema era il seguente: lo Stato ogni anno produceva un deficit, dopodiché emetteva dei titoli che venivano acquistati sul mercato finanziario e con i quali otteneva in prestito la quota mancante per sanare il debito, ma una grossa parte di quei titoli veniva acquistata dalla Banca d'Italia "stampando" moneta. In definitiva, si trattava di un debito fittizio che lo Stato aveva con se stesso. E anche quando erano dei privati a comprare i titoli, lo Stato non aveva alcun problema né limite nel rimborsarli: gli era sufficiente emettere moneta, e proprio per questa ragione la sua affidabilità era massima. È assolutamente impossibile fallire, cioè non rimborsare i creditori, per uno Stato che possiede una moneta.
Questa modalità di creazione della ricchezza nel contenitore di cittadini e aziende era non solo assai produttiva, ma anche alquanto "protettiva", dal momento che non erano i cittadini ad indebitarsi con i fornitori privati di credito (le banche, le quali prestano la moneta che ricevono dallo Stato e poi la restituiscono allo Stato stesso, incassando gli interessi dal cittadino/azienda debitore), ma era appunto lo Stato, che in tal modo stimolava anzi il risparmio privato.
Tuttavia, nel 1981, con il divorzio tra Banca d'Italia e Ministero del Tesoro, le cose cambiarono radicalmente. La Banca d'Italia non era più obbligata ad acquistare i titoli di Stato e Ciampi volle che questa prerogativa venisse applicata alla lettera. I governi, all'improvviso, si ritrovarono privi dell'unico strumento idoneo per foraggiare l'economia e stimolare i redditi, i consumi, la produzione, il lavoro. Improvvisamente il debito dello Stato cominciò ad assumere dimensioni gigantesche, ma questo in sé non costituiva un ostacolo (debito dello Stato = attivo dell'economia privata), ed in effetti proprio a metà degli anni '80 l'Italia diventò la quinta economia del pianeta. Il problema era che lo Stato, per ripagarlo, non aveva più il supporto della propria banca centrale e prima o poi questa disfunzione avrebbe palesato i suoi effetti deleteri per l'economia e per la stessa democrazia. Il peggio infatti doveva ancora venire. Il progetto della moneta unica europea cominciava proprio in quel momento ad accelerare e a prendere forma.      
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Tutti i più bigotti luoghi comuni sull'Euro

Sull'Unione Europea e sulla moneta unica l'approccio più diffuso è di tipo mistico. La causa è la pressoché totale ignoranza sul tema. Ecco tutte le false credenze smentite punto per punto


Solo il sentir pronunciare le terribili parole "uscire dall'Euro" provoca in molti di noi reazioni che sfociano nell'irrazionale. Un po' come accadeva nell'Europa medievale se qualcuno sosteneva idee inconsuete riguardo alla religiosità: se il "blasfemo" era fortunato, chi gli stava di fronte si faceva il segno della croce, invocando il perdono divino per l'anima del sacrilego e soprattutto per la propria, per avere osato soltanto ascoltare quelle parole empie, magari condividendone in cuor proprio la sostanza. Oggi, persino di fronte ad un olocausto economico e generazionale senza precedenti, l'idea di tornare alla moneta sovrana genera più o meno le stesse reazioni mistico-bigotte, dalle quali, si faccia attenzione, non sono immuni nemmeno molti fautori del ritorno alla Lira. Vediamo quindi quali sono i luoghi comuni più diffusi sull'Euro con l'evidenza della loro totale infondatezza.

1) L'Euro è una moneta come le altre, però più forte, perché è il frutto dell'unione delle vecchie monete nazionali e/o di più economie. L'Euro NON È una moneta come il dollaro, la sterlina, o come le vecchie lire o i vecchi marchi. Le valute come il dollaro, la sterlina, la lira etc. sono delle monete sovrane, di cui lo Stato è il proprietario-monopolista. Attraverso la propria spesa lo Stato le crea e le immette nel contenitore che comprende l'insieme dei cittadini, generando direttamente o indirettamente tutti i redditi esistenti: dei dipendenti pubblici e privati, dei lavoratori autonomi, degli imprenditori, della classe politica, delle banche, di tutti. Successivamente ha la libertà di prelevare solo una parte della moneta emessa, per mezzo delle tasse, le quali, pertanto, non hanno la funzione di finanziare la spesa dello Stato, ma servono solo a drenare una parte della moneta che lo Stato versa nel contenitore di cittadini-aziende affinché il mercato non venga "allagato" di moneta, col rischio di svalutarla. Le tasse servono inoltre a regolare l'equilibrio nel contenitore di cittadini-aziende, a incoraggiare o scoraggiare alcuni comportamenti/acquisti/investimenti, e soprattutto, sono il mezzo attraverso il quale lo Stato ci impone di usare solo la sua moneta, dal momento che le tasse si possono pagare solo con la valuta dello Stato. In definitiva, lo Stato proprietario-monopolista della moneta che i cittadini usano non ha limiti di alcun tipo quando deve emetterla e versarla nel contenitore di cittadini-aziende.
L'Euro, invece, non è una moneta sovrana, infatti nessuno Stato dell'Eurozona ne è il proprietario. L'Euro viene emesso dalla Banca centrale europea, ed immesso non nel contenitore di cittadini-aziende, bensì nelle riserve dei mercati finanziari, da cui gli Stati dell'Eurozona lo devono prendere in prestito e, dopo aver versato il denaro nel contenitore di cittadini-aziende, riprenderlo tutto dallo stesso contenitore e restituirlo ai mercati. Chiunque può facilmente capire che, stando così le cose, lo Stato è obbligato come minimo a pareggiare i conti, cioè a tassare esattamente quanto spende, se non anche di più. E questo perché lo Stato non possiede una moneta, che deve chiedere in prestito ad altri. La metafora più azzeccata per spiegare questo sistema l'ha inventata Paolo Barnard: "Uno Stato che rinuncia alla propria sovranità monetaria e di spesa è come un uomo che rinuncia ai propri polmoni per respirare con quelli degli altri. E in questo caso gli altri sono i mercati di capitali privati".

2) Il debito pubblico è dannoso e pericoloso, dunque fa bene l'Europa a imporre a tutti gli Stati il contenimento o addirittura la riduzione del debito. Questo è il più falso ma anche il più devastante dei luoghi comuni che ci sono stati inculcati a forza nella mente in anni e anni di paziente lavaggio del cervello attuato a tutti i livelli, dalle università agli organi di informazione, dal dibattito politico alla piazza. Se avete seguito il punto 1) avete già la risposta: se lo Stato spende più di quanto tassa (come faceva lo Stato italiano prima di adottare i parametri europei, cioè prima del 1992), lo Stato registra un disavanzo, ma quel debito corrisponde fino all'ultimo centesimo all'attivo del contenitore di cittadini-aziende, dunque alla nostra ricchezza. L'unica condizione necessaria affinché lo Stato possa mettere in atto questo processo vitale per l'economia è che possegga una propria moneta, perché è evidente che con il sistema di emissione dell'Euro descritto al punto 1) ciò non può essere assolutamente possibile. Non ci vuole una mente geniale per comprendere che l'annullamento di questa prerogativa dello Stato (cioè spendere più di quanto tassa), provoca l'effetto opposto: se lo Stato preleva dal nostro contenitore la stessa cifra che versa, a noi rimane esattamente zero. Ma la situazione oggi è anche peggiore: dal momento che lo Stato deve pagare anche gli interessi sul debito accumulato prima della nascita della moneta unica europea, quel 3% di deficit di cui si parla sempre in televisione (che è il limite di indebitamento che l'Europa impone) comprende anche gli interessi sul debito passato. Pertanto, escludendo quelli, lo Stato produce ogni anno un avanzo di bilancio, vale a dire che preleva dal nostro contenitore più di quanto ci versa dentro, tassa più di quanto spende. E ovviamente l'avanzo dello Stato corrisponde al nostro disavanzo. Domanda: ma se lo Stato versa 100, come può pescare 103? Semplice: pesca dall'attivo che noi abbiamo fatto nei decenni passati, quando cioè lo Stato si indebitava arricchendo l'economia. Oggi, a poco a poco, si riprende indietro tutto a furia di avanzi di bilancio, sistematicamente, ogni anno, dal 1992. Le conclusioni le lascio a voi, mi limito solo a ricordarvi cosa succede oggi in Italia: CHEMIOTASSAZIONE, TAGLI ALLO STATO SOCIALE e uno Stato che si limita ad agire all'interno del nostro contenitore spostando risorse da una categoria all'altra.

3) Se lo Stato copre il debito stampando moneta ci sarà una grande inflazione. Il più classico degli spauracchi, molto simile alle storie che si raccontano ai bambini per farli stare buoni. Se lo Stato si indebita usando la propria moneta, stimola indubbiamente la domanda di beni perché ci sarà più denaro da spendere per gli acquisti. Un negozio di abbigliamento che deve vendere 10 capi per potenziali 10 clienti, vende quei capi ad un determinato prezzo. Ma se i clienti diventano 12 il prezzo aumenterà, è il tipico caso di scuola. Attenzione però: lo stimolo che lo Stato dà all'economia con il suo debito incentiva non solo la domanda, ma anche l'offerta, dunque la produzione. E' vero che i clienti del negozio diventeranno 12, ma anche i capi da vendere potrebbero diventare 12, se non addirittura 13, o magari 11. Usa, Giappone e Gran Bretagna, soprattutto da quando è scoppiata la crisi, stanno facendo larghissimo uso dello strumento monetario. Alzi la mano chi ha sentito parlare di inflazione in quei paesi.

4) Uscire dall'Eurozona è un rischio enorme. La nuova Lira potrebbe valere nulla, con tutte le conseguenze del caso. Quando sento questa mi viene da ridere. E' agghiacciante sapere che ci sono italiani i quali pensano che, in caso di ritorno alla Lira, ci vorrebbero circa 2 mila delle nuove Lire per fare un Euro. Innanzitutto, la nuova Lira partirebbe con un rapporto di 1 a 1 rispetto all'Euro (e ci mancherebbe) e sarebbe poi il mercato a deciderne il valore nel tempo. E il mercato significa l'economia, significa quante persone comprano o vendono la tua moneta. In secondo luogo, autorevoli economisti affermano che in caso di ritorno alla Lira, lo Stato italiano potrebbe ritrovarsi a dover gestire il problema opposto, ovvero una ipervalutazione della nuova Lira, a causa della corsa che tutti noi, volenti o nolenti, dovremmo fare per acquistare Lire al posto degli Euro. Sarebbe quest'ultimo, anzi, a svalutarsi, anche a causa della perdita di credibilità dell'intero sistema in seguito all'uscita di uno Stato membro. Le fantomatiche previsioni dei terroristi (in malafede), tipo costo dell'energia alle stelle (soprattutto la benzina, dicono gli stupidi, quando il prezzo della benzina è fatto per il 60 per cento di tasse) o tassi sul debito pubblico che ci strozzeranno (ne parlo nel prossimo punto) meritano semplicemente delle enormi e rumorose pernacchie.


5) Se dovessimo pagare il nostro debito in Lire, gli interessi diventerebbero insostenibili. Questa, oltre che bella grossa, è anche una colossale e inaccettabile presa in giro. Ti senti come un soldato che in guerra ha subito l'amputazione del braccio e che poi viene deriso dagli stessi nemici per quella menomazione. Poc'anzi abbiamo visto che la nuova Lira non avrebbe alcun problema di svalutazione (e comunque non esiste un solo elemento per fare una simile previsione), e questo già stronca sul nascere la convinzione che i mercati (cioè coloro che acquistano i titoli di debito che lo Stato emette) non accetterebbero di essere ripagati in Lire (?), o comunque chiederebbero rendimenti (interessi) più alti. Tale affermazione vi sembrerà ancora più infondata e assurda dopo che avrete letto quanto segue: l'unico fattore per cui uno Stato può pagare interessi alti (che a loro volta provocano la crescita del famoso "spread", la differenza con gli interessi che paga la Germania) sul vecchio debito accumulato è proprio il fatto di non possedere una propria moneta. Ovvio: se lo Stato non ha una moneta (ricordate il punto 1?) deve sottostare alle richieste dei mercati, deve pagare gli interessi che loro richiedono, sono i mercati ad avere "il coltello dalla parte del manico". Lo spread, infatti, misura quanto un titolo è più rischioso rispetto ad un altro. Ed è ovvio che un titolo di uno Stato privo di moneta è sempre ad alto rischio, dal momento che lo Stato non ha ability to pay. Se invece lo Stato possiede la propria moneta i tassi di interesse sono sempre bassi e la sua affidabilità è massima, perché i titoli di debito possono essere acquistati dallo Stato stesso, ovvero dalla sua banca centrale, emettendo moneta, la moneta di cui lo Stato è il proprietario-monopolista. E sempre usando la stessa moneta lo Stato non ha alcun problema né limite nel rimborsare gli acquirenti privati. E' esattamente ciò che faceva l'Italia prima dell'Euro, ciò che fanno ancora oggi la Gran Bretagna, gli Stati Uniti, il Giappone, la Svezia, solo per citare alcuni paesi ricchi con moneta sovrana. Quando lo Stato ha la sovranità monetaria non è esposto ai giochi speculativi che hanno travolto la Grecia, il Portogallo, la Spagna, e che nel 2011 hanno colpito pesantemente anche l'Italia. In conclusione, i politici che vanno in tv a dire "attenti, potremmo pagare interessi astronomici" si devono semplicemente vergognare, e se invece sono in buona fede devono mettersi a studiare. E di brutto.

6) Bisogna tornare alla Lira per svalutarla e rendere i nostri prodotti più competitivi. Il 90% dei pochi fautori dell'abbandono dell'Euro considera questo come il motivo più valido per tornare alla sovranità monetaria. In parole povere il concetto è il seguente: tornare alla Lira e poi fare in modo che la Lira valga poco affinché le nostre aziende possano esportare più facilmente. Il che è un po' come dire: ti do una cura contro il cancro, ma da domani inizia a fumare tre pacchetti di sigarette al giorno. Questa gente non si rende conto che un'economia che punta tutto sulle esportazioni produce due effetti: a) calo dei consumi interni, perché se noi consumiamo tutto quello che le aziende producono non resta più nulla da esportare; b) crollo dei salari e flessibilità ultras sul mercato del lavoro [che poi è funzionale al punto a)], cioè tagli al costo del lavoro per vincere la battaglia dei prezzi contro gli agguerritissimi concorrenti stranieri, che peraltro oggi sono Cina, India, Brasile, ovvero paesi dove il costo del lavoro è 1/3, 1/4, 1/5 rispetto a quello dei paesi ricchi. Una roba folle. Questo sistema economico fatto di esportazioni selvagge, delocalizzazioni di aziende, dipendenza dagli investimenti stranieri è uno dei capisaldi del modello economico che ci sta spazzando via. Le esportazioni sono utili nella misura in cui servono a compensare, a pareggiare le necessarie importazioni, stop. Ancora oggi, l'80% della produzione degli Stati Uniti è assorbito dalla spesa degli americani, credo sia un esempio molto significativo per capire che bisogna stimolare i consumi interni, il lavoro, la produzione, la ricchezza nazionale. 
Resta il fatto, ad ogni modo, che dei sei luoghi comuni sull'Euro descritti fin qui, quest'ultimo è probabilmente il meno grave e il meno ridicolo.

Per concludere è doveroso far notare che è sciocco illudersi che votando questo o quel candidato al Parlamento europeo si possano ottenere dei cambiamenti. Il Parlamento europeo, infatti, non ha potere legislativo, di conseguenza le maggioranze al suo interno contano meno di zero e non possono prendere alcuna iniziativa legislativa o costituzionale. Tutto il potere è in mano a una Commissione di funzionari non eletti. La convinzione che votare alle europee sia un dovere civico, nonché un atto importante per decidere le nostri sorti è il settimo luogo comune da smentire categoricamente. Del resto, risulterebbe fin troppo evidente che in Europa le elezioni sono solo una mera formalità se si conoscessero i veri scopi per cui è nata l'Eurozona: tutto fuorché una promessa di benessere e di democrazia.                          

Il vero scopo per cui è nata l'Eurozona

La moneta unica europea è un esperimento perfettamente riuscito. I suoi scopi: superare la democrazia e stroncare la piccola e media borghesia, il tutto scolpito in Trattati che hanno dato tutto il potere a una élite sovranazionale di nominati

Non è un complotto ordito in una stanza buia, no. L’Eurozona è un esperimento fatto alla luce del sole, anche se senza mai chiamare in causa direttamente il popolo. Ad ogni modo, la sua forma e il modello socio-economico a cui si ispira sono scritti a lettere di fuoco in Trattati sovranazionali scelleratamente firmati da tutti i paesi membri. Ho avuto modo di parlarne già alcuni mesi fa, qui mi limiterò a riassumere i veri obiettivi dei Trattati di Maastricht (1992) e Lisbona (2007).
In numerose occasioni ho scritto che l’Eurozona ha annientato l’unico vero modello economico in grado di garantire il benessere comune. Ricapitolando telegraficamente: lo Stato con moneta sovrana è il monopolista della moneta che lui emette spendendo. Nel momento in cui crea la moneta effettuando la propria spesa, lo Stato versa quella moneta nel contenitore dell'insieme dei cittadini, generando direttamente o indirettamente TUTTI I REDDITI ESISTENTI: dei dipendenti pubblici e privati, dei lavoratori autonomi, degli imprenditori, della classe politica, di tutti. Attraverso le tasse preleva poi solo una parte di quel denaro, in modo da creare un attivo nel contenitore, che per lo Stato è un debito. Pertanto, il debito dello Stato corrisponde fino all’ultimo centesimo al nostro attivo, alla nostra ricchezza, dunque non è un peccato mortale, anzi, è un processo assolutamente necessario, poiché questo è l'unico modo affinché venga prodotta ricchezza nuova nel contenitore di cittadini-aziende, all'interno del quale nessuno può generare un attivo dal momento che il denaro passa semplicemente da una mano all'altra. Come logica conseguenza, è sbagliato pensare che le tasse finanzino la spesa pubblica; infatti servono ad altro, come ho spiegato in altri articoli del blog, ed è evidentemente impossibile che il processo parta dal basso, ovvero dal nostro contenitore. Noi non possiamo finanziare la spesa dello Stato, semplicemente perché la moneta non la creiamo noi, bensì lo Stato, il quale prima spende e solo dopo tassa, e, ribadisco, deve tassare meno di quanto ha speso, senza avere limiti di alcun tipo. Neanche il pericolo dell'inflazione può costituire un limite per la capacità di spesa dello Stato, semplicemente perché è un pericolo inesistente, soprattutto in un paese con un elevato potenziale produttivo, dal momento che quando lo Stato spende più di quanto preleva stimola la domanda di beni ma anche l'offerta, i consumi ma anche la produzione (se volete maggiori dettagli visitate il sito di Paolo Barnard o quello della Mosler Economics).

L’Eurozona è invece il capovolgimento di quanto scritto sopra. Nell’Eurozona nessuno Stato è proprietario della moneta Euro, la quale viene emessa dalla Banca centrale europea e immessa nelle riserve dei mercati di capitali privati da cui gli Stati la devono prendere in prestito e restituirla con gli interessi. Non solo: il Trattato di Maastricht impone agli Stati firmatari di contenere il deficit (debito annuale) entro un limite insignificante, che peraltro include anche gli interessi sul debito accumulato prima della nascita dell’Eurozona, il che di fatto obbliga gli Stati a produrre ogni anno un avanzo di bilancio, dunque tagli alla spesa o aumento del prelievo fiscale, o entrambe le cose. Considerando ciò che ho scritto prima sul funzionamento degli Stati a moneta sovrana, tutto ciò implica che lo Stato preleva dal nostro contenitore più di quanto versa con la sua spesa. Il risultato è IMPOVERIMENTO ARITMETICO dell’economia. In definitiva, lo Stato non può assolutamente indebitarsi, sia perché glielo vietano i Trattati, sia perché non possiede una moneta.

Adesso dovete capire questo: tale impianto assurdo non è frutto di un errore, ma di un piano realizzato a beneficio esclusivo di grandi multinazionali, grandi speculatori e di una élite aristocratica di tipo neofeudale. Queste élite puntano a:
   
1) imprigionare gli Stati in una camicia di forza, perché, come scrive Paolo Barnard, “uno Stato senza portafoglio è come un eunuco, anzi peggio, è come un padre senza reddito”. Le conseguenze sul potere d'intervento del governo e del parlamento eletti dal popolo sono ovvie: quel potere di fatto scompare, perché lo Stato deve SOTTOSTARE AI DIKTAT DEI MERCATI FINANZIARI E DEGLI INVESTITORI STRANIERI (“senza mettersi in contrasto, anche solo brevemente, con le loro richieste”, cit. Marcello De Cecco, uno dei più grandi economisti italiani viventi), VENDERE IL VENDIBILE (cioè privatizzazioni, naturalmente a prezzi stracciati), compresi i servizi essenziali, quelli a cui non possiamo rinunciare, come l’energia, l’acqua, i treni, le autostrade, la sanità, persino le carceri e i cimiteri (le cosiddette “captive demand”, letteralmente “richiesta prigioniera”);

2) arricchirsi speculando sui debiti degli Stati, perché uno Stato senza moneta non può indebitarsi, ma poiché tutti gli Stati hanno un debito pregresso (che è stata la nostra ricchezza passata) che devono ripagare, non possedendo una propria moneta, DIPENDONO TOTALMENTE DAI PRESTITI DEI MERCATI DI CAPITALI PRIVATI (titoli di Stato), i quali hanno il coltello dalla parte del manico e possono fissare gli interessi che vogliono dal momento che lo Stato non può fare a meno dei loro soldi. E non dimentichiamo che quanto più lo Stato persegue il pareggio di bilancio o l'avanzo di bilancio, più l’economia nazionale regredisce, diminuiscono sempre più le entrate fiscali mentre aumentano le spese per gli ammortizzatori sociali. Quindi nuovi debiti (inutili, poiché servono solo a tappare la falle senza creare ricchezza) e sempre maggiore dipendenza dai mercati finanziari;

3) cancellare la piccola e media borghesia e i suoi diritti, per tornare ad un sistema molto simile a quello FEUDALE, CON UN’ARISTOCRAZIA CHE DETIENE TUTTE LE LEVE DEL POTERE POLITICO ED ECONOMICO E UNA MASSA DI LAVORATORI SOTTOPAGATI (compresi quelli qualificati), quando non addirittura sfruttati (si pensi agli immigrati), e di piccole aziende schiacciate. È l’ovvia conseguenza di quanto scritto finora, ma non dimentichiamo che questi neofeudali, per dare l’illusione di aiutare i popoli a superare la crisi economica che loro stessi creano, intimano agli Stati di aumentare la flessibilità del lavoro, ridurre i salari, licenziare i dipendenti pubblici, tagliare i servizi e le pensioni, spacciando tutto questo per “sacrifici necessari”. Lo Stato, come detto, non può opporsi più di tanto perché ha le mani legate, mentre IL PARLAMENTO NON CONTA PIÙ NULLA, visto che i Trattati scavalcano di fatto la Carta costituzionale, e le leggi della Commissione Ue non eletta da nessuno sono superiori a quelle adottate dal Parlamento nazionale. Il governo, dal canto suo, può limitarsi soltanto ad agire all'interno del nostro contenitore, spostando risorse da una categoria all'altra. I lavoratori, infine, finiscono per accettare la riduzione dei salari e delle garanzie, perché “meglio quello piuttosto che niente”. Lo scopo, in definitiva, è farci lavorare da kosovari, ma in strutture moderne. 

Tutto questo oggi si sta concretizzando sotto i nostri occhi, ce l’abbiamo sulla soglia di casa. Non c’è alcuna cospirazione segreta, è tutto pubblico e alla luce del sole. Finirà solo se e quando il popolo deciderà di staccare la spina. Ma se questa dovesse diventare la nostra dimensione abituale, se cioè dovessimo assuefarci a questo decadimento, le sofferenze finiranno ugualmente, nel senso che non ci faremo più caso, saremo sfruttati e sereni, immemori del passato benessere e dei diritti perduti. A noi la scelta.