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Castigat ridendo mores

Il debito pubblico non è un problema, anzi: è la nostra ricchezza

Dalle telefonate del pubblico ad un'emittente radiofonica emerge un quadro che fa cadere le braccia. "Renzi, riduci il debito pubblico", suggerisce un ascoltatore. Al quale ora proviamo a spiegare che il debito dello Stato non è affatto un male, semmai il contrario


L'ispirazione per questo articolo è arrivata seguendo una trasmissione radiofonica in onda su una nota emittente a diffusione nazionale, durante la quale i conduttori ricevevano le telefonate degli ascoltatori che avessero qualche consiglio da offrire al neo premier Matteo Renzi. E tra i tanti, improbabili suggerimenti, ne spicca uno che ti fa realizzare quanto il lavaggio del cervello fatto in questi anni ai cittadini sia andato in profondità, ad un livello tale da rendere ardua l'impresa di una contro-lavanda cerebrale in tempi brevi.
"A Renzi consiglio di impegnarsi sulla riduzione del debito pubblico, che ci costa tanto anche in termini di interessi", è l'opinione di un ascoltatore secondo il quale il vero problema è il debito dello Stato.
Ora, caro ascoltatore, chiunque tu sia, cercherò di spiegarti che le cose non stanno come tu credi, e lo farò con l'umiltà di chi fino a un paio di anni fa credeva, come te, che la radice di tutti i mali fosse il presunto disavanzo pubblico dovuto ai cosiddetti sprechi, alla cosiddetta evasione fiscale, alle cosiddette riforme non realizzate, nonché alla corruzione di cui noi italiani saremmo gli indiscussi campioni mondiali. Chi scrive era un convinto elettore di destra che pensava che il debito pubblico fosse il male assoluto alimentato da una spesa pubblica scellerata. Da questo punto di vista ero un fanatico, un vero ultrà. Senonché, quando nell'autunno del 2011 scoppiò in Italia la crisi dello spread con la conseguente "isteria da deficit", cominciai a pormi delle domande e mi resi conto che le mie convinzioni erano in realtà molto fragili.
Fu in particolare un giornalista di sinistra, Paolo Barnard, a farmi aprire gli occhi su parecchie dinamiche dell'economia che io ignoravo completamente. I suoi articoli stimolarono in me una grande voglia di studiare, di documentarmi, di scoprire cose nuove riguardo all'economia, e in particolare alla gestione del bilancio dello Stato. All'improvviso scoprii di essere totalmente ignorante in materia, ma la lettura di Barnard e la scoperta di economisti come Warren Mosler, Randall Wray, e di rimando, John Maynard Keynes (in realtà una riscoperta), mi hanno portato a ribaltare completamente tutto ciò in cui credevo. Tra le altre cose, mi sono reso conto che quelle che noi oggi chiamiamo "destra" e "sinistra" sono solo due etichette senza senso.

Cercherò di essere breve. Innanzitutto, caro amico, il debito dello Stato non è assolutamente un male, anzi, corrisponde al centesimo alla ricchezza dell'economia privata. Non è necessario essere degli economisti per comprendere questo assunto, basta saper fare due conti elementari: se lo Stato produce un deficit, significa che incassa dal prelievo fiscale meno di quanto spende. Fatta 100 la spesa dello Stato, il prelievo fiscale sarà inferiore a quel numero, per esempio 95. Lo Stato registra un disavanzo di 5, ma l'economia del settore non governativo (aziende e lavoratori-consumatori, inclusi tutti i dipendenti pubblici) registra un +5. Questa parte credo che sia già abbastanza chiara, ma voglio riproporre questo concetto in un altro modo. Bisogna considerare che il settore non governativo (aziende e lavoratori-consumatori) non può creare ricchezza al netto, perché la ricchezza circola in tondo: per qualcuno che si arricchisce c'è qualcun altro che si indebita o si impoverisce e così via, in un circolo che può anche dare l'illusione di funzionare autonomamente (solo l'illusione però) quando la ricchezza circola velocemente. Quando però il circolo rallenta o si arresta (e i motivi possono essere molteplici), solo lo Stato può rimetterlo in moto, perché in effetti solo lo Stato può immettere ricchezza al netto in quel circolo, in un modo molto semplice: lasciando nelle tasche dei cittadini e delle aziende più denaro di quanto ne incassa dalle tasse, in pratica producendo un disavanzo. Il che si può ottenere abbassando le tasse o aumentando la spesa o facendo entrambe le cose contemporaneamente. Si può affermare che questa sia la base imprescindibile per il funzionamento dell'economia di uno Stato. Il fatto di averla cancellata di colpo, attraverso il dogma del pareggio di bilancio o addirittura dell'avanzo di bilancio, costituisce un atto di una gravità inaudita, quanto di più antidemocratico e antieconomico si possa concepire.

Conosco l'obiezione: come si copre il debito? Noi sappiamo che il debito dello Stato, in realtà, è un debito che non si estingue mai e che si riproduce all'infinito. Quando lo Stato produce un disavanzo cosa fa? Emette dei titoli azionari, i cosiddetti Bot, Btp, Cct etc., che gli investitori acquistano per un determinata somma, fornendo così allo Stato i soldi per ripianare il deficit. Quei titoli hanno una scadenza, al termine della quale gli investitori si riprendono i soldi precedentemente "prestati" allo Stato con l'aggiunta di un interesse. A questo punto, dove prende i soldi lo Stato? Semplice: vende altri titoli ad altri investitori, ottenendo così il denaro necessario per ripagare gli investitori di prima, e magari per ripianare un eventuale nuovo deficit. E' questo il sistema adottato da tutti gli Stati moderni. Gli Usa, per esempio, rinnovano in questo modo il loro debito dal 1837.
Utilizzando un minimo di logica, ci si rende facilmente conto che comunque il debito complessivo è destinato ad aumentare a causa degli interessi. Il punto è proprio questo: fare in modo che gli interessi siano bassi, altrimenti il debito cresce in modo esponenziale, di conseguenza i titoli da vendere diventano sempre di più e anche gli stessi interessi aumentano. Insomma, se gli interessi sono alti, lo Stato non può fare debiti, quindi non può mai rimettere in moto l'economia producendo ricchezza al netto nel circolo (ricordi cosa ho scritto sopra?). Per poter fare debito deve quindi fare in modo che gli interessi siano minimi.

Il sistema c'è. Lo Stato fa in modo che sia la propria Banca centrale a comprare tutti o una parte dei titoli. Ovviamente la Banca centrale può farlo solo emettendo nuova moneta, cioè inventandosi il denaro dal nulla; volgarmente si dice "stampando moneta" (anche se oggi non si stampa proprio nulla, visto che si tratta in gran parte di numerini pigiati sulle tastiere dei computer). In tal modo gli interessi scendono notevolmente e ti spiego perché: se lo Stato decide di piazzare i propri titoli sul mercato ad un tasso di interesse, facciamo un esempio, dello 0,5%, gli investitori interessati dovranno accontentarsi di quel rendimento, dal momento che a) in caso di mancata vendita lo Stato fa acquistare i titoli alla propria banca; b) i titoli di debito di uno Stato con moneta sovrana non presentano il minimo rischio, nel senso che gli investitori hanno la garanzia di essere rimborsati, ecco perché gli interessi sono bassi. E' evidente che quando uno Stato non ha una propria banca che può emettere moneta liberamente, succede il processo opposto: in quel caso è il mercato ad avere il coltello dalla parte del manico e a poter chiedere gli interessi che vuole, mentre lo Stato deve cedere obbligatoriamente alle richieste degli investitori perché ha necessità di vendere, tanto più che i suoi titoli, in assenza di una moneta con cui ripagarli, sono assai rischiosi, e infatti lo Stato per rimborsare gli acquirenti, come ho spiegato sopra, deve incassare i soldi vendendo altri titoli, in una catena infinita (su questo punto torno tra poco, perché ha delle implicazioni tragiche per la democrazia, anche se sono sicuro, caro amico, che ci sei già arrivato).
So già qual è la nuova obiezione: ma se lo Stato emette tutta questa moneta, non si rischia di svalutarla troppo e di avere un'inflazione enorme? Ti rispondo tra un attimo. Prima ti faccio notare, in primo luogo, che se la Banca centrale acquista tutti o una parte dei titoli, il debito complessivo diminuisce, perché in quel caso sarebbe come se lo Stato avesse un debito con se stesso, quindi praticamente nessun debito. In secondo luogo, non bisogna dimenticare che, quando invece sono i privati ad acquistare i titoli, a quel debito, in fin dei conti, corrisponde un uguale credito: se io investo 10 mila euro in Bot o "Buoni postali", vanto un credito nei confronti dello Stato, quindi ho in mano una ricchezza che diventerà tale quando riprenderò indietro i soldi investiti con l'interesse maturato; il che ci fa capire che il concetto stesso di "debito pubblico" non ha senso. Esiste semmai il "credito pubblico", a dimostrazione ulteriore del fatto che, come ho scritto sopra, il debito dello Stato corrisponde alla ricchezza dell'economia privata.

Torniamo all'obiezione di prima: il pericolo dell'inflazione. Ti rispondo subito: il pericolo è fasullo, in un paese con un elevato potenziale produttivo non esiste minimamente. Mi vedo costretto a smentire la convinzione comune che lo Stato possa stampare moneta in misura proporzionale all'oro che possiede; purtroppo c'è ancora tanta gente che crede che il sistema sia ancora questo, quando invece il "Gold Exchange Standard" non esiste più dal lontano 1944 (accordi di Bretton Woods). Fino al 1971 fu mantenuto comunque in vita un sistema in parte simile, solo che come punto di riferimento l'oro fu sostituito dal dollaro. In breve, ai tempi del Gold Standard, chiunque poteva recarsi in banca e chiedere oro in cambio dei soldi. Di conseguenza, lo Stato aveva dei grossi limiti se voleva aumentare la moneta circolante, perché se lo faceva senza avere abbastanza oro nei forzieri, tutta la moneta circolante si svalutava con conseguente rialzo dei prezzi (inflazione). Dal 1944, e più ancora dal 1971 (decisione del presidente americano Nixon) questo sistema non è più in vigore. Oggi le cose stanno così: se attraverso i meccanismi di cui sopra lo Stato fa aumentare la moneta in circolazione (debito - acquisto dei titoli da parte della Banca centrale con l'emissione di nuova moneta), sicuramente i consumatori avranno più denaro da spendere, ci sarà dunque una crescita della domanda di beni e servizi, quindi un potenziale aumento dei prezzi. Ma quando lo Stato usa lo strumento monetario, anche le aziende, quindi i produttori, ne beneficiano, il che vuol dire che anche la produzione aumenta, dunque cresce anche l'offerta di beni e servizi andando così a pareggiare l'accresciuta domanda. Il risultato è che non c'è alcuna inflazione, e gli esempi degli ultimi trent'anni lo dimostrano ampiamente, fino ad arrivare agli Usa di Obama o al Giappone, due Stati che negli ultimi anni hanno fatto abbondante uso di questo strumento senza che ci sia stato un aumento dei prezzi. Risulta evidente che l'emissione di moneta ha dei limiti legati esclusivamente alla capacità produttiva del paese. Un paese con un tessuto economico debole (non è certamente il caso dell'Italia) ha un limite molto basso. Faccio notare, infine, che l'inflazione galoppante dell'Italia degli anni '80 era dovuta al fatto che lo Stato continuava a indebitarsi senza che la Banca d'Italia acquistasse i titoli del debito pubblico, cosa che non avvenne più dal 1981. Si trattò di una sorta di preparazione a quello che sarebbe poi stato il sistema-Euro.

Caro amico della radio, possiedi già le basi per modificare radicalmente le tue vecchie convinzioni e per effettuare un'auto-lavanda cerebrale molto accurata. Ci sarebbero ancora due o tre dettagli da approfondire, ma lascio a te la scelta di cercare da solo le risposte alle tue domande. E comunque il mio blog è sempre aperto e su questo argomento scriverò altri articoli.
Una domanda di certo è inevitabile porsela: chi ha inventato il sistema economico attuale e perché lo ha fatto? Beh, è evidente che uno Stato democratico, dotato di un tessuto produttivo ricco e dinamico, e che non ha limiti di spesa (nel senso che può indebitarsi quando e come gli pare per il bene dell'economia nazionale) è una potenza indistruttibile, non c'è "potere forte" (o occulto, per chi ama i complottismi, ma ti assicuro che qui non c'è nulla di occulto perché tutto viene fatto alla luce del sole, anche le peggiori nefandezze) che possa condizionarlo o limitarlo nella sua autorità e nella sua sovranità. Uno Stato che invece non può mai indebitarsi e che non possiede nemmeno una propria moneta, come succede appunto con l'Euro, che non è di nessuno Stato, dal momento che viene emesso dalla Banca centrale europea e immesso direttamente nei mercati finanziari, da cui gli Stati lo possono solo prendere in prestito (vedi a tal proposito gli altri articoli del blog), uno Stato che quindi non può in alcun modo foraggiare il circolo della ricchezza privata, è uno Stato paralizzato, costretto ad avvitarsi su se stesso, con cittadini a loro volta impegnati a dare la caccia con "la bava alla bocca" ai rubagalline presenti all'interno del loro ristrettissimo pollaio, e che non si
accorgono che lo Stato è letteralmente nelle mani della speculazione finanziaria (ricordi quanto ho scritto prima a proposito della compravendita di Bot, Btp etc.?). Ma chi ne trae vantaggio? Di sicuro, chi si arricchisce sul debito degli Stati privi di una moneta e obbligati al pareggio di bilancio, ma ancora di più si arricchiscono le grandi multinazionali, le quali, approfittando dell'inevitabile impoverimento degli Stati, si ritrovano sempre più manodopera disoccupata o sottoccupata disponibile a basso costo, cioè disposta a lavorare a qualunque condizione contrattuale, per non parlare delle aziende private e pubbliche in difficoltà, che finiscono per essere messe in svendita a prezzi molto al di sotto del loro valore di mercato. Idem per i servizi pubblici essenziali, quelli a cui non si può rinunciare, come acqua ed elettricità, ormai tutti privatizzati. Tu ti chiederai: ma gli Stati democratici non possono fare proprio nulla? E allora io ti chiedo: ma gli Stati democratici, in Europa, hanno ancora dei poteri? Non è che forse le decisioni vengono prese da una élite sovranazionale di tecnocrati non eletti da nessuno? E non credi che questi poteri forti abbiano in alcuni politici dei riferimenti nel Parlamento, nel governo e in altri organi democratici, per non parlare degli organi di informazione? Apri gli occhi, amico.
Questi "rentier", queste aristocrazie, si erano eclissate, prima con le conquiste democratiche dell'Ottocento e del Novecento, e ancora di più con la svolta del 1971. Uno Stato democratico e in possesso della propria moneta sovrana moderna che usa per il benessere del popolo, non può soccombere dinanzi ad alcun potere antidemocratico. E' invincibile. Per i rentier era come la criptonite per Superman. Perciò andava fermato.
Ora, caro amico della radio, lascio a te il compito di fare un po' di ricerche. Leggi qualcosa di nuovo e di diverso dalle solite banalità stereotipate. Barnard, Wray, Mosler, Keynes, Krugman, alcuni di questi sono dei premi Nobel. C'è l'imbarazzo della scelta. Buon viaggio.
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Così i tedeschi stanno facendo un'abbuffata di aziende italiane in crisi

Un'inchiesta del Financial Times rivela come le aziende tedesche stiano acquistando a man bassa piccole e medie imprese del Nord Italia. Colpa della crisi, ovviamente, ma anche degli squilibri creati dall'Euro e di un sistema bancario che paradossalmente preferisce fare credito ai tedeschi piuttosto che agli italiani


Un’inchiesta pubblicata lo scorso 1° febbraio sul Financial Times getta una luce inquietante sulla situazione del tessuto industriale italiano e sui rapporti di forza che si stanno delineando nell’economia europea. Quella rete di piccole e medie imprese che fino a poco tempo fa faceva del Nord Italia l’area economica più ricca d’Europa e che ha contribuito, fino al 2000, a far sì che l’Italia fosse il primo paese in Europa per produzione industriale, rischia di finire tutta in mani straniere, e in particolare tedesche. L’industria italiana è in svendita, questa è la realtà drammatica. Di seguito, ecco alcuni passaggi dell’articolo del Financial Times.
   
“Le piccole e medie imprese tedesche hanno fatto un'abbuffata di acquisizioni oltralpe, diventando le acquirenti straniere di imprese italiane più attive in Europa. Una serie di accordi in cui le piccole e medie imprese del settore industriale tedesco si conquistano l'accesso alle conoscenze tecniche delle imprese italiane sono in fase di negoziazione, e in alcuni casi le sedi sono trasferite a Nord delle Alpi.
Secondo Dealogic, nel momento in cui la recessione abbatte i prezzi di vendita nell'Europa meridionale, le imprese tedesche stanno cogliendo l'opportunità di espandersi, e come quantità di accordi conclusi nel 2013 per l'acquisizione di imprese italiane si posizionano dietro solo alle imprese statunitensi.
In un momento di rinnovato ottimismo, con gli indici sulla fiducia delle imprese al livello più alto dal primo trimestre del 2012, questi affari ci fanno capire in che misura le aziende tedesche considerano l'eurozona come un'area attraente per gli investimenti.
Marcel Fratzscher, capo del DIW, un istituto economico tedesco, dice che, a parte l'Asia, l'attenzione delle imprese tedesche si è concentrata molto sulla "zona di crisi", dove possono venire in aiuto delle medie imprese italiane che spesso devono lottare per ottenere l'accesso al credito.
Dice: «Sono aziende in saldo. Nel Nord Italia, che ha una forte base industriale, ci sono un sacco di imprese di medie dimensioni che non sono così diverse nella struttura da quelle che abbiamo in Germania.»
Benché anche alcune grandi società tedesche stiano acquisendo delle imprese italiane – in particolare l'acquisto da 1,1 miliardi di dollari di moto Ducati da parte del marchio Audi di Volkswagen nel mese di aprile 2012 – la maggior parte dell'attività riguarda le piccole e medie imprese.
Nel 2013 ci sono stati 23 accordi che hanno coinvolto PMI italiane acquistate da imprese tedesche, e 20 nel 2012. Gli accordi di vendita ad acquirenti stranieri di società italiane dello scorso anno sono stati 171 in totale.
Tra questi, l'acquisizione di Ph Srl, uno dei principali fornitori italiani di servizi di test alimentari, da parte di TÜV SÜD, un fornitore di servizi tecnici con sede a Monaco di Baviera.
«L'accordo è stato una dimostrazione del modo in cui le medie imprese raggiungono una dimensione di scala globale” secondo TÜV SÜD, che aggiunge : "Stiamo investendo per espandere il nostro network di laboratori internazionale, ultimamente con acquisizioni in Brasile e in Italia. Collegando il nostro laboratorio in Italia con altre sedi in tutto il mondo e attraverso un intenso scambio di tecnologia, siamo in grado di offrire test identici a livello globale.»"

Una colonizzazione in piena regola, insomma. La situazione non potrebbe essere più chiara: la Germania, insieme alla Francia, è stata il principale sponsor dell’eurozona, un sistema monetario basato su parametri di bilancio disumani che impediscono ai paesi membri di ricorrere al debito e che, in mancanza di una moneta sovrana da adoperare quando necessario, li consegnano totalmente alla speculazione finanziaria. A quel punto, però, affinché i promotori dell’unione monetaria ne traessero qualche vantaggio, essi hanno fatto di tutto per favorire l’ingresso dell’Italia, in modo che anche noi adottassimo una moneta forte, sbarazzandosi in tal modo del principale competitor commerciale.

E non finisce qui, perché, fa notare l’articolo, "le acquisizioni sono spesso descritte come accordi strategici, ma degli insider ci dicono che il linguaggio nasconde una serie di acquisizioni aggressive". Tradotto: contro la volontà delle stesse aziende.  

L’articolo continua: “In alcuni casi le offerte sono strutturate in modo che la gestione e il marketing siano spostati fuori dall'Italia, riducendo al minimo gli impianti di produzione della società acquisita.
Carlos Mack, un consulente legale di Lehel Invest Bayern, un gruppo di private equity specializzato nell'espansione all'estero delle medie imprese, dice che il ragionamento che sta dietro lo spostamento della sede è «avere tutte le attività di valore, marchi, brevetti, elenchi di clienti e anche gestione/commercializzazione, fuori d'Italia, per rendere più facile ottenere prestiti da una banca non italiana.»
In un caso recente, dice Mr Mack, un'azienda del settore dentale è stata trasferita interamente, compresi gli impianti di produzione, che sono stati smantellati dalla Toscana e ricostruiti in Baviera.
Le imprese tedesche, aggiunge Mr. Mack, non sono interessate soprattutto all'Italia a causa del mercato italiano. «Esse sono interessate ai prodotti, e a commercializzarli da qualche altra parte.»
Benché alcuni osservatori italiani abbiano accolto con favore gli investimenti stranieri, vi è la preoccupazione diffusa che le acquisizioni porteranno a perdite di posti di lavoro o a minacciare le industrie strategiche.
Francesco Daveri, professore di economia all'Università di Parma, dice: «La mia opinione, che non è l'opinione della maggioranza, è che nei casi in cui l'azienda è mal gestita e il bilancio è mal messo, se c'è qualcuno che viene da fuori per migliorare la gestione, questa è una buona notizia, una creazione di valore e così via. Ma non è una cosa che è molto spesso accettata. Immediatamente si fa richiesta di garanzie per tutelare l'occupazione.»
A differenza dei loro omologhi italiani, le aziende tedesche incontrano poche difficoltà a ottenere finanziamenti in banca. Un sondaggio di consulenti aziendali e di M&A presso le banche ha trovato che le banche italiane sono strettamente coinvolte con le filiali di aziende tedesche, perché estendono loro i finanziamenti al fine di proteggere gli stessi investimenti delle banche nelle aziende italiane in crisi."

Qui siamo al paradosso, ho dovuto sgranare gli occhi per accertarmi di aver letto bene. Le banche italiane non prestano il becco di un quattrino ai nostri piccoli imprenditori, ma intanto fanno credito ai tedeschi? Su questo punto, faccio mie le parole del giornalista Paolo Barnard: «Deflazione Economica Imposta dall’Euro: le nostre aziende affogano, quindi le banche italiane strangolano le aziende italiane perché sono in difficoltà, e arrivano i tedeschi a papparsi i nostri marchi di prestigio a due soldi, e le banche italiane ci fanno affari.»
La rivelazione fa ancora più rabbia se si ricorda quanto emerso nel 2011 da un articolo del Corriere della Sera, in cui Massimo Mucchetti, attuale deputato del Pd, faceva notare come già la stessa Cassa Depositi e Prestiti tedesca, banca pubblica con capitale interamente pubblico, prestasse denaro in grandi quantità coprendolo con titoli obbligazionari, senza che tutto ciò venisse conteggiato nel debito pubblico tedesco, come invece avviene per i crediti della nostra Cassa Depositi e Prestiti, peraltro a capitale misto pubblico-privato.   

L’articolo del Financial si conclude così: “Stefan Brandes, managing partner per l'Italia di Rödl & Partner, la società di servizi professionali che ha effettuato l'indagine, afferma: «La tendenza è di comprare il partner italiano – può essere il distributore o un cliente o un fornitore – che probabilmente ha qualche tipo di difficoltà, ma ha buoni servizi.»
Norbert Pudzich, consigliere delegato della camera di Commercio tedesco-italiana di Milano, dice che anche prima della recessione le aziende italiane avevano difficoltà ad ottenere credito, perché manca una stretta relazione con una "banca del territorio", di cui le piccole e medie società tedesche possono invece godere.
La recessione ha anche peggiorato il problema dei ritardi nei pagamenti. Mr. Pudzich spiega: «In Italia, il tempo standard per i pagamenti è di 90-100 giorni. Se il debitore è lo stato, sono 180 giorni. Ora, a causa dell'indebitamento dello Stato, è a 200 giorni o anche più.»”

La cronaca, purtroppo, ci racconta anche di molti imprenditori che non vogliono o non riescono a vendere e che perciò scelgono di togliersi la vita. Per dirla con Paolo Barnard, “questa è la distruzione pianificata di una civiltà”. Troppa pena per commentare oltre.