Un’inchiesta pubblicata lo scorso 1° febbraio sul Financial Times getta una luce
inquietante sulla situazione del tessuto industriale italiano e sui rapporti di
forza che si stanno delineando nell’economia europea. Quella rete di piccole e
medie imprese che fino a poco tempo fa faceva del Nord Italia l’area economica
più ricca d’Europa e che ha contribuito, fino al 2000, a far sì che l’Italia
fosse il primo paese in Europa per produzione industriale, rischia di finire
tutta in mani straniere, e in particolare tedesche. L’industria italiana è in
svendita, questa è la realtà drammatica. Di seguito, ecco alcuni passaggi dell’articolo
del Financial Times.
“Le piccole e medie imprese tedesche hanno fatto
un'abbuffata di acquisizioni oltralpe, diventando le acquirenti straniere
di imprese italiane più attive in Europa. Una serie di accordi in cui
le piccole e medie imprese del settore industriale tedesco si conquistano
l'accesso alle conoscenze tecniche delle imprese italiane sono in fase di
negoziazione, e in alcuni casi le sedi sono trasferite a Nord delle Alpi.
Secondo Dealogic, nel momento in cui la recessione abbatte i prezzi di
vendita nell'Europa meridionale, le imprese tedesche stanno cogliendo
l'opportunità di espandersi, e come quantità di accordi conclusi nel 2013 per
l'acquisizione di imprese italiane si posizionano dietro solo alle imprese
statunitensi.
In un momento di rinnovato ottimismo, con gli indici sulla fiducia
delle imprese al livello più alto dal primo trimestre del 2012, questi
affari ci fanno capire in che misura le aziende tedesche considerano
l'eurozona come un'area attraente per gli investimenti.
Marcel Fratzscher, capo del DIW, un istituto economico
tedesco, dice che, a parte l'Asia, l'attenzione delle imprese tedesche si è concentrata
molto sulla "zona di crisi", dove possono venire in aiuto delle medie
imprese italiane che spesso devono lottare per ottenere l'accesso al credito.
Dice: «Sono
aziende in saldo. Nel Nord Italia, che ha una forte base industriale, ci sono
un sacco di imprese di medie dimensioni che non sono così diverse nella
struttura da quelle che abbiamo in Germania.»
Benché anche alcune grandi società tedesche stiano
acquisendo delle imprese italiane – in particolare l'acquisto da 1,1 miliardi
di dollari di moto Ducati da parte del marchio Audi di Volkswagen nel mese di
aprile 2012 – la maggior parte dell'attività riguarda le piccole e medie
imprese.
Nel 2013 ci sono stati 23 accordi che hanno coinvolto PMI
italiane acquistate da imprese tedesche, e 20 nel 2012. Gli accordi di vendita
ad acquirenti stranieri di società italiane dello scorso anno sono stati 171 in
totale.
Tra questi, l'acquisizione di Ph Srl, uno dei
principali fornitori italiani di servizi di test alimentari, da parte di TÜV SÜD, un fornitore di
servizi tecnici con sede a Monaco di Baviera.
«L'accordo
è stato una dimostrazione del modo in cui le medie imprese raggiungono una
dimensione di scala globale” secondo TÜV
SÜD, che aggiunge : "Stiamo investendo per espandere il nostro network
di laboratori internazionale, ultimamente con acquisizioni in Brasile e in
Italia. Collegando il nostro laboratorio in Italia con altre sedi in tutto
il mondo e attraverso un intenso scambio di tecnologia, siamo in grado di
offrire test identici a livello globale.»"
Una colonizzazione in piena regola, insomma. La
situazione non potrebbe essere più chiara: la Germania, insieme alla Francia, è
stata il principale sponsor dell’eurozona, un sistema monetario basato su
parametri di bilancio disumani che impediscono ai paesi membri di ricorrere al
debito e che, in mancanza di una moneta sovrana da adoperare quando necessario,
li consegnano totalmente alla speculazione finanziaria. A quel punto, però,
affinché i promotori dell’unione monetaria ne traessero qualche vantaggio, essi hanno
fatto di tutto per favorire l’ingresso dell’Italia, in modo che anche noi
adottassimo una moneta forte, sbarazzandosi in tal modo del principale
competitor commerciale.
E non finisce qui, perché, fa notare l’articolo, "le acquisizioni sono spesso descritte come accordi strategici, ma degli insider ci dicono che il
linguaggio nasconde una serie di
acquisizioni aggressive". Tradotto: contro la volontà delle stesse
aziende.
L’articolo continua: “In alcuni casi le offerte sono
strutturate in modo che la gestione e il marketing siano spostati fuori
dall'Italia, riducendo al minimo gli impianti di produzione della società
acquisita.
Carlos Mack, un consulente legale di Lehel Invest Bayern, un gruppo di private equity specializzato
nell'espansione all'estero delle medie imprese, dice che il ragionamento che
sta dietro lo spostamento della sede è «avere
tutte le attività di valore, marchi, brevetti, elenchi di clienti e anche
gestione/commercializzazione, fuori d'Italia, per rendere più facile ottenere
prestiti da una banca non italiana.»
In un caso recente, dice Mr Mack, un'azienda del settore
dentale è stata trasferita interamente, compresi gli impianti di produzione,
che sono stati smantellati dalla Toscana e ricostruiti in Baviera.
Le imprese tedesche, aggiunge Mr. Mack, non sono
interessate soprattutto all'Italia a causa del mercato italiano. «Esse sono interessate ai
prodotti, e a commercializzarli da qualche altra parte.»
Benché alcuni osservatori italiani abbiano accolto con
favore gli investimenti stranieri, vi è la preoccupazione diffusa che le
acquisizioni porteranno a perdite di posti di lavoro o a minacciare le
industrie strategiche.
Francesco Daveri, professore di economia all'Università
di Parma, dice: «La
mia opinione, che non è l'opinione della maggioranza, è che nei casi in cui
l'azienda è mal gestita e il bilancio è mal messo, se c'è qualcuno che viene da
fuori per migliorare la gestione, questa è una buona notizia, una creazione di
valore e così via. Ma non è una cosa che è molto spesso accettata.
Immediatamente si fa richiesta di garanzie per tutelare l'occupazione.»
A differenza dei loro omologhi italiani, le aziende
tedesche incontrano poche difficoltà a ottenere finanziamenti in banca. Un
sondaggio di consulenti aziendali e di M&A
presso le banche ha trovato che le banche italiane sono strettamente coinvolte
con le filiali di aziende tedesche, perché estendono loro i finanziamenti al
fine di proteggere gli stessi investimenti delle banche nelle aziende italiane in
crisi."
Qui siamo al paradosso, ho dovuto sgranare gli occhi per
accertarmi di aver letto bene. Le banche italiane non prestano il becco di un
quattrino ai nostri piccoli imprenditori, ma intanto fanno credito ai tedeschi?
Su questo punto, faccio mie le parole del giornalista Paolo Barnard: «Deflazione Economica Imposta dall’Euro: le nostre aziende affogano,
quindi le banche italiane strangolano le aziende italiane perché sono in
difficoltà, e arrivano i tedeschi a papparsi i nostri marchi di prestigio a due
soldi, e le banche italiane ci fanno affari.»
La
rivelazione fa ancora più rabbia se si ricorda quanto emerso nel 2011 da un articolo del Corriere della Sera, in cui Massimo Mucchetti, attuale deputato
del Pd, faceva notare come già la stessa Cassa Depositi e Prestiti tedesca,
banca pubblica con capitale interamente pubblico, prestasse denaro in grandi
quantità coprendolo con titoli obbligazionari, senza che tutto ciò venisse
conteggiato nel debito pubblico tedesco, come invece avviene per i crediti della
nostra Cassa Depositi e Prestiti, peraltro a capitale misto pubblico-privato.
L’articolo del Financial si conclude così: “Stefan
Brandes, managing partner per l'Italia di Rödl
& Partner, la società di servizi professionali che ha effettuato
l'indagine, afferma: «La
tendenza è di comprare il partner italiano – può essere il distributore o un
cliente o un fornitore – che probabilmente ha qualche tipo di difficoltà, ma ha
buoni servizi.»
Norbert Pudzich, consigliere delegato della camera di
Commercio tedesco-italiana di Milano, dice che anche prima della recessione le
aziende italiane avevano difficoltà ad ottenere credito, perché manca una
stretta relazione con una "banca del territorio", di cui le piccole e
medie società tedesche possono invece godere.
La recessione ha anche peggiorato il problema dei ritardi
nei pagamenti. Mr. Pudzich spiega: «In
Italia, il tempo standard per i pagamenti è di 90-100 giorni. Se il debitore è
lo stato, sono 180 giorni. Ora, a causa dell'indebitamento dello Stato, è a 200
giorni o anche più.»”
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