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Castigat ridendo mores

Un teatrino sempre più indecente

Il crac finanziario ha coinvolto il mondo intero e a tutti i leader ha causato ripetute sconfitte elettorali. Ma l'unico Paese in cui l'argomento prioritario è come ribaltare il governo, tanto per cambiare, è l'Italia

Adesso anche i fedelissimi cercano di convincere Silvio a mollare, prima ancora di essere sfiduciato dal Parlamento. Segno che per l'attuale governo Berlusconi la maggioranza è irrimediabilmente evaporata. In effetti, il suggerimento dei colonnelli del premier sembra quantomai saggio.
In attesa di vedere che cosa accadrà, ancora una volta non possiamo non evidenziare la singolarità della democrazia italiana. Un caso unico, il nostro, e per certi versi patologico. Solo da noi, infatti, la tenuta della maggioranza di governo è messa continuamente in discussione fin dal primo giorno. Già, proprio così: quante volte infatti avete sentito parlare di "maggioranza risicata" (e quindi a rischio) già durante le trasmissioni televisive che seguono lo spoglio delle schede? L'instabilità dei governi, ovvero il fatto che una volta chiuse le urne, non sappiamo se a distanza di un anno ci sarà la stessa maggioranza, è il male cronico che la politica italiana si porta dietro addirittura dal Risorgimento.
Nelle altre democrazie una roba del genere non è neanche concepibile. Per capirlo basta vedere ciò che è accaduto negli ultimi due anni in Germania, Francia, Stati Uniti e Spagna. Anche in questi Paesi, più che da noi, la crisi si è fatta sentire e ha avuto delle ripercussioni fortemente negative sui governi. In Germania la Merkel, nel 2011, sta passando di disfatta in disfatta, avendo perso tutte e sei le tornate elettorali che si sono svolte per il rinnovo delle amministrazioni dei Länder (le regioni tedesche). Eppure nessuno si sogna di mettere in discussione la cancelliera, anche perché ci sono regole precise che ne blindano la maggioranza (vedi questo articolo dell'Attaccabrighe http://lattaccabrighe.blogspot.com/2011/09/ma-la-legge-elettorale-che-cazzecca.html). Idem in Francia, dove Sarkozy, dopo aver perso le elezioni regionali del 2010, ha subito una sonora batosta anche alle ultime "cantonali" (in pratica le nostre provinciali), ma l'idea che il presidente possa dimettersi non è presa nemmeno in considerazione, visto che l'architettura istituzionale è congegnata in maniera tale da permettere all'esecutivo di completare il mandato salvo cataclismi (politici), anche in presenza di una maggioranza parlamentare di colore diverso. Regole molto simili esistono nella democrazia americana, dove le elezioni per il Congresso si svolgono quando il mandato presidenziale è già a metà, e perciò può verificarsi il caso - come è accaduto ad Obama - che il partito del presidente, in seguito alle elezioni, si trovi in minoranza in una o in tutte e due le camere (attualmente i Democratici hanno la maggioranza solo al Senato).
Si potrà obiettare magari che Francia e Usa sono delle democrazie presidenzialiste, ma quella tedesca non lo è. Ed è una democrazia parlamentare come la nostra anche quella spagnola, dove da tre anni i socialisti di Zapatero vengono sistematicamente asfaltati nelle elezioni locali, ma ciò non ha impedito al premier spagnolo di arrivare quasi a fine mandato (solo la situazione economica sull'orlo del crac lo ha costretto a dimettersi sei mesi prima dalla scadenza naturale della legislatura).
Insomma, nelle altre democrazie del mondo occidentale la tenuta della maggioranza di governo non è messa in discussione (e non può esserlo) nemmeno dopo ripetuti scossoni elettorali, tanto più se questi sono causati da una crisi economica internazionale di portata mai vista. Anzi, proprio la crisi induce le opposizioni ad assumere atteggiamenti costruttivi e a mettere da parte la tentazione di fare sgambetti a chi governa, mentre nella maggioranza si serrano i ranghi, rimandando a momenti più opportuni i regolamenti di conti interni.
In Italia, invece, si assiste al paradosso di chiedere le dimissioni del premier dopo che il suo partito ha perso solo qualche grosso Comune, e finanche dopo aver vinto. Perché, avete per caso dimenticato ciò che avvenne nell'aprile del 2010? Il centrodestra, dopo aver conseguito un successo nelle provinciali e nelle europee del 2009, vinse in modo trionfale le regionali, nonostante tutto il marasma che aveva preceduto le elezioni (crisi economica, escort, liste del PdL annullate, per dire le cose più note). Insomma, una vittoria che in qualunque Stato democratico (dove comunque le elezioni di medio termine hanno una loro valenza per verificare che ci sia ancora il consenso degli elettori) avrebbe blindato la maggioranza e il suo leader. Invece da noi, tempo 15 giorni (15) e il numero due del partito di maggioranza relativa decise di fare una scissione, rischiando di sfasciare senza motivo una forza politica che veleggiava intorno al 40 per cento.
Questo per dire quali dimensioni parossistiche abbia raggiunto il nostro esasperato parlamentarismo. Ora Berlusconi avrà anche disatteso gli impegni presi con gli elettori e per questa ragione, probabilmente, non ha più la maggioranza nel Paese. Ma gli altri partiti che i cittadini, nel 2008, hanno messo all'opposizione, hanno in mano soluzioni così geniali da dover anticipare la cacciata di Berlusconi e del suo governo, che in ogni caso andrebbe a casa nel 2013? E soprattutto, è solo dell'Attaccabrighe l'impressione che dietro tutto questo teatrino non ci sia tanto il desiderio di salvare l'Italia dal crac, quanto la sete di poltrone?

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