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Castigat ridendo mores

L'Italia di oggi vista da uno storico del 2041

In un Paese tesdardamente conservatore, solo delle personalità esterne ai partiti riuscirono a prendere decisioni impopolari su pensioni, lavoro e caste, sancendo il fallimento di una classe politica troppo pavida e immorale

Quando Monti andò a Palazzo Chigi, gli Italiani avevano alle spalle 18 anni durante i quali si erano sentiti ripetere fino alla nausea che il Paese era frenato da un mercato del lavoro con regole troppo rigide, dall'esistenza di caste (politici, magistrati, professioni, docenti universitari) chiuse e monolitiche, da un sistema pensionistico che divorava risorse pubbliche preziose, da infrastrutture poco moderne.
Ebbene, dopo 18 anni in cui le uniche riforme che la classe politica era riuscita a realizzare (pensioni e lavoro) si erano rivelate già vecchie nel momento in cui erano entrate in vigore, gli Italiani si erano svegliati una mattina e avevano scoperto che in due decenni di battaglie politiche furibonde si era solo perso tempo. Nove governi, dal 1994 al 2011, non avevano combinato quasi nulla, tanto che, quando arrivò il momento delle "decisioni irrevocabili", il Paese si dovette affidare a un governo di professori universitari e di banchieri, tutte persone di indiscusso valore professionale e di specchiata virtù, ma in ogni caso mai votati da nessuno. Un po' come quando il fratello minore, un po' asinello, non riuscendo a svolgere un compito che la prof. gli ha assegnato, se lo faccia fare dal fratello maggiore, più studioso e preparato.
Il governo dei professori (o "governo tecnico", come si usava dire all'epoca), oltre ad avere la copertura dei poteri finanziari e l'appoggio dei partiti, beneficiava di altri indubbi vantaggi: non era espressione delle forze politiche, non doveva rispondere direttamente agli elettori (che non lo avevano eletto) e le personalità che ne erano entrate a far parte erano consapevoli che il loro ruolo era a tempo determinato, nel senso che, una volta esaurito il compito che era stato loro assegnato, sarebbero tornati alle proprie cattedre liberando il posto ai politici di professione (solo alcuni ministri si ricandidarono alle successive elezioni, ma rimasero relegati in ruoli marginali, finendo lentamente nel dimenticatoio). Insomma, quasi un governo "usa e getta", un gruppo di "incorruttibili" senza macchia e senza paura (e soprattutto senza bacino elettorale), assoldati per fare il lavoro sporco.
L'Italia dell'epoca, infatti, era un Paese cocciutamente conservatore e i governi della Seconda Repubblica avevano fallito miseramente perché erano espressione di una classe politica immorale e pavida, che non era mai riuscita a spiegare ai cittadini le ragioni di riforme indispensabili per mettersi al passo dei partner europei (i quali le avevano realizzate già alla fine degli anni '90) e che per queste ragioni aveva sempre rinunciato a prendere decisioni impopolari, preferendo tirare a campare. Quei pochi tentativi che erano stati fatti per modernizzare il Paese erano stati sempre frustrati dal dilagante trasformismo che faceva cadere i governi come mosche.
Fatto sta che il governo Monti, contro ogni pronostico, nel giro di 15 mesi (dicembre 2011 - febbraio 2013) riuscì in quello che i partiti non erano stati capaci di fare in vent'anni: abolì le pensioni di anzianità e portò l'età per la pensione di vecchiaia a 67 anni per gli uomini e a 65 per le donne; abolì le province e obbligò molti piccoli Comuni a consorziarsi; ridusse il numero dei parlamentari e dei consiglieri regionali, abbassando le rispettive indennità; accorpò molti tribunali di provincia; abolì gli ordini professionali e liberalizzò il mercato del lavoro, rendendo possibili i licenziamenti anche per i dipendenti con contratto a tempo indeterminato. A due mesi dalle elezioni, solo violente proteste di piazza impedirono al Parlamento di approvare il disegno di legge con il quale il governo aveva reinserito, nel piano energetico, l'opzione nucleare. L'episodio pregiudicò la tenuta della maggioranza che tra l'altro era pronta ad approvare anche l'abolizione del valore legale dei titoli di studio, ovvero l'unica riforma decente nel campo dell'istruzione e della formazione che fosse stata proposta in Italia da 50 anni a quella parte. 
Quanto alla modernizzazione delle infrastrutture e dei servizi, questa sarebbe stata possibile solo negli anni successivi, ma sempre grazie al risanamento del bilancio pubblico fatto dal governo Monti, che rese possibile anche una riduzione della pressione fiscale, arrivata ormai a livelli intollerabili. E con l'abbassamento delle tasse anche l'evasione diminuì, perché molti contribuenti disonesti preferirono stare in regola con il fisco.
L'evasione fiscale, tuttavia, rimase ancora per anni una tra le più elevate in Europa; in generale, l'etica pubblica era (come ancora oggi) uno dei due principali handicap dell'Italia. L'altro continuò ad essere il divario Nord-Sud. In effetti, nonostante tutte le importantissime riforme realizzate, la crescita del Pil rimaneva modesta, il che era dovuto al fatto che solo una parte del Paese continuava ad essere una delle aree più sviluppate d'Europa, "tirando la carretta" per quella più arretrata della quale assorbiva una grossa parte dei disoccupati.
Il giudizio storico sul biennio 2011-2013, comunque, resta positivo, anche se non può sfuggire il fatto che il sistema democratico fu commissariato senza tanti complimenti. La Terza Repubblica avrebbe accentuato la crisi dei partiti come strumento di partecipazione dei cittadini alla vita politica, mentre la riforma costituzionale del 2015 diede alla democrazia tratti sempre più decisionisti e quasi autoritari.
  

1 commento:

  1. vorrei tanto vedere questi mangia pane lavorare seriamente a soli 1000 euro al mese e senza rimborsi di nessun genere.
    devono pagarsi tutto come faccio io!!
    certi mesi(tutti quasi) dopo aver pagato le spese di casa non mi rimane neanche 1 euro per comprare da mangiare!
    se sucedesse a loro?forse capirebbero?

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