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Castigat ridendo mores

Quando la politica fa e la giustizia disfa

Leggi approvate dal Parlamento, ma poi cancellate dalla magistratura, quando non addirittura ignorate dai giudici. Norme scritte male, talvolta, ma anche sentenze dal sapore ideologico

Il Consiglio di Stato ha deciso di cancellare tutte le procedure d’urgenza eseguite in varie città italiane per arginare il problema delle baraccopoli irregolari e del loro impatto di criminalità nei quartieri. Vengono abrogate così le norme sull’identificazione, sui censimenti e sulla vigilanza fuori dai campi, nonché le regole di convivenza stabilite dalle istituzioni. Quanto all'ordinanza emanata tre anni fa dalla presidenza del Consiglio, e alla quale si erano attenute le amministrazioni comunali, per il Consiglio di Stato le motivazioni sono insufficienti per decretare lo stato di emergenza per un pericolo più paventato che realmente esistente.
Non è che l'ultimo caso in cui le sentenze giudiziarie cancellano, perché ritenute illegittime, delle leggi approvate dal Parlamento o dei decreti varati dal governo. Non si può fare a meno di notare che negli ultimi tre anni questi episodi si siano moltiplicati e come a farne le spese sia stato soprattutto il pacchetto sicurezza, ormai praticamente svuotato. E' facile immaginare che il cittadino comune resti sconcertato se delle norme che dovrebbero garantirne la sicurezza vengono cancellate dalla sera alla mattina. Ma di chi è la colpa? Dei politici che scrivono leggi palesemente incostituzionali o formalmente scorrette? O dei magistrati che nel verificarne la legittimità si lasciano influenzare dalle loro idee politiche? Diciamo un po' tutte e due.
Per capire basta analizzare quanto accaduto negli ultimi anni. Cominciamo dall'autunno del 2009, quando l'allora ministro dell'Interno, Roberto Maroni, dichiarò alle agenzie che «la legge sulla clandestinità è chiara, la capisce anche un bambino di sei anni. Non può esistere che un magistrato dica che è una legge incomprensibile. Non possiamo accettare che i magistrati la interpretino in un modo o in un altro». Fatto sta che era esattamente ciò che i magistrati facevano. A due anni di distanza, nell'aprile del 2011, saltò fuori una circolare interna del capo della procura di Milano, Bruti Liberati, con la quale questi chiedeva ai suoi aggiunti e ai suoi pm di annullare gli arresti per clandestinità. Si trattava di una legge della Repubblica Italiana, approvata nel 2008 dal Parlamento, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale e mai abrogata. Ma per tre procuratori della Repubblica che seguirono l'esempio di Bruti Liberati la legge che prevedeva il carcere per gli immigrati clandestini non esisteva più. I tre procuratori avevano vivamente «suggerito» ai loro sostituti di considerare estinta la norma. Sicché a Milano, Firenze, Roma e Lecce, nessuno straniero veniva più arrestato, come pure prevedeva la legge, per violazione dell’obbligo di lasciare il Paese. Il tutto senza che la decisione parlamentare fosse stata rimossa dall’ordinamento in seguito a ricorsi alla Corte Costituzionale o ad un referendum abrogativo.
Di lì a poco, una sentenza controversa della Corte di Giustizia europea mise tutti d'accordo, chiedendo all'Italia di cancellare il reato di clandestinità (anche se solo all'Italia e non ad altri Stati membri che pure prevedono il medesimo reato). Ora, si potrà anche essere favorevoli o contrari al reato di clandestinità (personalmente sono contrario): ma è normale che il potere giudiziario si rifiuti di applicare le leggi approvate dal Parlamento liberamente eletto?
E' vero anche, come accade spesso, che alcune leggi sono palesemente incostituzionali. Meno di un anno fa, per esempio, la Corte Costituzionale annullò una norma con la quale era stato deciso il carcere obbligatorio per il reato di stupro, poi ampliato ai casi di omicidio che erano stati equiparati ai delitti di mafia. Una forzatura inammissibile, dissero i giudici della Consulta, che l'anno prima avevano già eliminato la parte relativa alla violenza sessuale. Questo è il caso tipico di una legge la cui incostituzionalità potrebbe rilevarla anche un bambino. Ma un qualunque avvocato potrebbe citarvi mille esempi di leggi legittime dal punto di vista del rispetto del dettato costituzionale, ma scritte così male dal legislatore da diventare di fatto inapplicabili, in quanto incomprensibili. Tanto per capirci, sono queste le leggi che fanno felici gli avvocati più smaliziati.
D'altra parte le leggi, talvolta, sono dettate dal furore ideologico. Ma quando le idee politiche spingono le maggioranze di governo ad adottare determinate misure, credo che nessuno possa avere nulla da obiettare, se non nel caso in cui si abbiano delle opinioni diverse. Quando invece le idee politiche influenzano le sentenze con le quali il potere giudiziario cassa le leggi del Parlamento, il discorso cambia. Purtroppo, sempre in materia di sicurezza, è accaduto spesso che a leggi assolutamente ragionevoli siano state trovate delle imperfezioni così insignificanti da far adombrare il sospetto che dietro l'annullamento ci fossero rilievi di carattere politico, più che giuridico. Il caso più eclatante ha riguardato la sentenza con la quale, otto mesi fa, la Corte costituzionale ha annullato la cosiddetta legge sui "sindaci-sceriffi", che consentiva appunto ai sindaci di emettere ordinanze in materia di ordine pubblico e di decoro urbano. Sono state così vanificate tutte le norme contro le prostitute e i loro clienti, nonché i provvedimenti che colpivano l'accattonaggio molesto.
L'ultima chicca è di qualche settimana fa, quando è stata dichiarata illegittima la legge con la quale nel Nord Italia si aprivano delle sedi decentrate di alcuni ministeri. Tutti (o quasi) d'accordo sul fatto che si trattasse di una mastodontica stupidaggine politica, da seppellire con un diluvio di pernacchie, ma sul piano giuridico era ineccepibile. A chiederne la cancellazione, però, sapete chi è arrivato? Un giudice del lavoro che ha rilevato il fatto che nell'istituire le sedi periferiche non erano stati consultati i sindacati...

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