Per quanto gran parte dell'opinione pubblica sia da sempre molto critica e diffidente nei confronti dell'euro-moneta, gli Italiani, oggi come oggi, non sarebbero pronti ad abbandonare l'Euro per tornare alla Lira. Ad una eventualità del genere, infatti, si guarda come ad un salto nel buio, con una paura alimentata soprattutto dagli organi di informazione.
Non tutti gli economisti, però, sono concordi nel dire che il ritorno ad una moneta nazionale comporterebbe effetti disastrosi, anzi c'è chi sostiene il contrario. Vale a dire che, alla luce della situazione attuale, il sistema euro per noi è assolutamente deleterio e perciò uscirne sarebbe una totale liberazione. Cerchiamo di capire il perché.
Secondo gli ultimi dati forniti dall'Istat, il debito pubblico ha raggiunto il 126,1 per cento del Pil, nuovo record storico. Significa che se la nostra ricchezza equivale a 100 il debito è di 126. Già a marzo di quest'anno il rapporto era arrivato al 123 per cento, battendo il precedente record del 1995. Tutto ciò è dovuto al fatto che, se da un lato le entrate tributarie rimangono sostanzialmente stabili o al massimo aumentano di poco (più tasse, meno evasione, ma anche meno ricchezza da tassare), lasciando di fatto inalterato il debito complessivo nonostante i tagli alla spesa, dall'altro lato la ricchezza del paese (Pil, ovvero la somma dei redditi lordi dei cittadini) continua a dimunire inesorabilmente, il che causa anche un aumento della spesa pubblica per gli ammortizzatori sociali, annullando di fatto i tagli di cui sopra. Colpa della crisi, ovviamente, ma anche e soprattutto delle manovre finanziarie finalizzate (qui sta il paradosso) a recuperare soldi per ridurre il debito. Così il famoso 60 per cento di rapporto debito/pil chiesto dall'Ue è ormai pura utopia. Anzi, si allontana sempre di più anche l'obiettivo del 100 per cento.
Se si considera il fatto che i governi non hanno nessuna alternativa all'aumento delle tasse (riducendole ci vorrebbero infatti 7-10 anni per far tornare le entrate ai livelli attuali), e che in Europa le due paroline "stampare banconote" sono paraticamente bandite, dovrebbe essere evidente anche ai più sprovveduti in materia di economia che ormai il disperato tentativo dell'Italia di rimanere nel sistema-euro rischia di trasformarsi in un suicidio di massa, anche perché i sacrifici richiesti, nel prossimo futuro, potrebbero essere ancora più sanguinosi. Basta guardare cosa sta avvenendo in Grecia e Spagna.
Secondo gli ultimi dati forniti dall'Istat, il debito pubblico ha raggiunto il 126,1 per cento del Pil, nuovo record storico. Significa che se la nostra ricchezza equivale a 100 il debito è di 126. Già a marzo di quest'anno il rapporto era arrivato al 123 per cento, battendo il precedente record del 1995. Tutto ciò è dovuto al fatto che, se da un lato le entrate tributarie rimangono sostanzialmente stabili o al massimo aumentano di poco (più tasse, meno evasione, ma anche meno ricchezza da tassare), lasciando di fatto inalterato il debito complessivo nonostante i tagli alla spesa, dall'altro lato la ricchezza del paese (Pil, ovvero la somma dei redditi lordi dei cittadini) continua a dimunire inesorabilmente, il che causa anche un aumento della spesa pubblica per gli ammortizzatori sociali, annullando di fatto i tagli di cui sopra. Colpa della crisi, ovviamente, ma anche e soprattutto delle manovre finanziarie finalizzate (qui sta il paradosso) a recuperare soldi per ridurre il debito. Così il famoso 60 per cento di rapporto debito/pil chiesto dall'Ue è ormai pura utopia. Anzi, si allontana sempre di più anche l'obiettivo del 100 per cento.
Se si considera il fatto che i governi non hanno nessuna alternativa all'aumento delle tasse (riducendole ci vorrebbero infatti 7-10 anni per far tornare le entrate ai livelli attuali), e che in Europa le due paroline "stampare banconote" sono paraticamente bandite, dovrebbe essere evidente anche ai più sprovveduti in materia di economia che ormai il disperato tentativo dell'Italia di rimanere nel sistema-euro rischia di trasformarsi in un suicidio di massa, anche perché i sacrifici richiesti, nel prossimo futuro, potrebbero essere ancora più sanguinosi. Basta guardare cosa sta avvenendo in Grecia e Spagna.
Della Grecia conosciamo la disastrosa situazione che ha portato il paese ellenico al fallimento di fatto. Un po' meno si sa della Spagna, paese la cui espansione economica è stata fin troppo esaltata, addirittura indicata come modello da seguire. Una sciocchezza, visto che l'economia spagnola, presa nel suo complesso, nel momento di massimo splendore poteva essere paragonata al nostro Sud, salvo qualche eccezione. Comunque un confronto con gli iberici può essere utile. Ebbene: tralasciando il massacro di tagli e di tasse a cui gli amici spagnoli sono sottoposti da due anni, in Spagna, sempre da due anni, lo Stato non paga le tredicesime ai dipendenti pubblici. Avete letto bene: la tredicesima dei dipendenti pubblici viene trattenuta! Da due anni. Cari lettori, quando un governo arriva a prendere una decisione così estrema, significa che ormai ha raschiato il fondo del barile e che la toppa è troppo colorata per coprire il buco. Senza tredicesima è l’apocalisse dell’economia reale, sei al default di fatto e ti tengono in vita artificialmente.
Credete forse che l'Italia non dovrà ricorrere a misure come questa? Poveri illusi! Basta rileggere ciò che ho scritto sopra per rendersi conto che, continuando con l'attuale trend, arriveremo pari pari alla situazione spagnola, non appena l'economia del Nord sarà stata completamente spolpata a colpi di tasse. Non c'è scampo.

Resta il dubbio se, per uscire dall'euro, oltre alle resistenze della nostra classe dirigente, dovremmo scontrarci anche con quelle dell'Ue e del Fmi, i quali potrebbero fare con noi quello che stanno facendo ora con Grecia e Spagna, obbligandoci a rimanere nell'euro solo perché le loro banche hanno le casse piene di titoli del nostro debito pubblico: un po' come se un creditore, per non perdere i soldi che il debitore gli deve, cercasse in tutti i modi di impedirne il fallimento. Non si dimentichi inoltre un altro dato fondamentale: se la moneta unica dovesse perdere un tassello dimostrerebbe ai mercati di non essere così irreversibile come tutti i leader dell'eurozona si affannano continuamente a dire. Uscito un paese, tutti gli altri sarebbero così in balia della speculazione, costretti a ripagare i loro titoli del debito pubblico a tassi da strozzinaggio. Ecco spiegata la tenacia con cui i governi italiano, greco, spagnolo, portoghese, irlandese si ostinano a tenere i loro paesi ancorati all'Euro. Subiscono certamente straordinarie pressioni esterne. E sono disposti a fare di tutto, anche l'indecente.
E' di qualche ora fa, infatti, una voce trapelata dalla Camera dei Deputati. Protagonista di un'agghiacciante dichiarazione il sottosegretario all'Economia Gianfranco Polillo, che ai giornalisti presenti ha confidato che "stiamo cercando di ridurre i consumi per dipendere meno dalle importazioni estere. Bisogna capire che l'Italia ha vissuto al di sopra delle proprie possibilità". Ridurre i consumi, dunque, soprattutto quelli legati alle importazioni. Vivere secondo le proprie possibilità, sicuramente inferiori al tenore di vita degli ultimi decenni. Stando a queste parole, la contrazione dei consumi sarebbe voluta, non un effetto indesiderato. Stiamo andando a sbattere a tutta velocità. Chi aziona il freno?
Nessun commento:
Posta un commento