
Ma un bel giorno di ottobre sull'Italia cominciò a incombere una minaccia spettrale: lo spread, ovvero la differenza tra gli interessi sui titoli del debito pubblico tedesco e quelli degli altri paesi dell'Euro. Quello italiano, nel giro di dieci giorni, passò da 310 a 530 punti, fino a toccare i 570 proprio il giorno successivo alle dimissioni del governo Berlusconi. Una cosa mai vista. A ben guardare, gli interessi sul debito italiano avevano fatto sì registrare una crescita improvvisa, ma l'aumento a forbice dello spread fu determinato anche dal cospicuo calo degli interessi sul debito tedesco, scesi poco sopra l'1 per cento. Quelli italiani, nel frattempo, erano aumentati dell'1 e qualcosa per cento (sfiorando il 6): una crescita preoccupante certo, ma non così grave da far temere una catastrofe tipo Grecia.
In Italia, però, scoppiò il panico. Senza che nessuno si prendesse la briga di andare a vedere quali strani movimenti erano avvenuti nelle banche tedesche che si erano improvvisamente liberate di una grossa quantità di titoli italiani (fatto alquanto anomalo in tempi di crisi e di incertezza, visto che Btp e Bot sono considerati da sempre tra i più affidabili del mercato), cominciarono a piovere accuse contro il governo Berlusconi, reo di aver fatto sprofondare l'Italia nel baratro, mentre lui, anziché governare, passava intere notti tra festini hard e gozzoviglie. Autorevoli giornali arrivarono a titolare "FATE PRESTO" a nove colonne, mentre il presidente Napolitano dava inizio alle grandi manovre per preparare la successione di Berlusconi. Mario Monti, ex presidente della Commissione europea, nonché affermato e prestigioso economista, fu nominato senatore a vita e di lì a poco le cose, per Berlusconi, cominciarono a precipitare. La risicata maggioranza parlamentare su cui poggiava venne meno in seguito alla decisione di alcuni deputati del centrodestra, tra cui alcuni fedelissimi, di uscire dalla maggioranza (non ci fu comunque nessun voto di sfiducia). Le dimissioni del premier arrivarono due giorni dopo (8 novembre), mentre il 13 novembre Mario Monti saliva al Colle per ricevere l'incarico da Napolitano. Lo stesso giorno, il presidente della Commissione Ue, Van Rompuy, nella sede del PdL affrontava a muso duro uno smarrito Alfano, che gli faceva notare la necessità di tornare alle urne: "In Italia non ci saranno elezioni", fu la risposta secca del presidente Ue, riportata da alcuni giornalisti presenti...
L'esucutivo di ministri tecnici da lui guidato fu accolto come il governo della svolta nonché della sobrietà. In realtà, per l'Italia fu invece l'inizio di uno smantellamento inesorabile della propria economia, di un tessuto che bene o male si era retto per cinquant'anni. Grazie al vergognoso sostegno parlamentare di partiti ormai genuflessi ai diktat dell'Europa (PdL e Pd su tutti, oltre ai centrini), il governo Monti mise mano fin da subito al sistema pensionistico. Con la riforma approvata, gli italiani si ritrovarono un'età pensionabile portata a livelli folli, lavoratori ormai prossimi alla pensione costretti a ritardare anche di 8-10 anni il momento del ritiro, la riforma Dini del 1995 cancellata del tutto con l'estensione del sistema contributivo anche a quei lavoratori che avrebbero dovuto ricevere una pensione pagata per metà attraverso il contributivo, e per l'altra metà con il retributivo. A questo si aggiungeva la prospettiva assai concreta, soprattutto per chi da giovane svolge lavori precari per parecchi anni, di dover compensare il futuro, misero assegno pensionistico con una pensione integrativa autofinanziata, il che rendeva la riforma palesemente incostituzionale. Naturalmente Napolitano ha fatto finta di nulla. Non bastasse tutto ciò, nessuno si è accorto del clamoroso errore "tecnico" che ha riguardato gli "esodati", un'infamia assoluta che ha mandato sul lastrico almeno 100 mila persone.

In questo quadro, molti imprenditori non hanno sopportato l'onta del fallimento e in molti casi hanno preferito togliersi la vita. Il numero dei poveri ha raggiunto quota 4 milioni, come quello dei cassintegrati. Nella primavera del 2012, inoltre, la seconda riforma Fornero (il ministro del Welfare) ha mandato a farsi benedire le residue garanzie che ancora i dipendenti privati avevano in Italia (e solo in Italia), rendendo possibile il licenziamento anche per motivi economici di chi è stato assunto con un contratto di lavoro a tempo indeterminato. Fu così che sparì per sempre il posto fisso.
Dell'economia italiana ormai sono rimasti solo i ruderi e tra qualche anno, continuando con questo trend, saranno polverizzati anche quelli. Come chiunque poteva facilmente prevedere, anche uno studente del primo anno di Economia, l'aumento della pressione fiscale non poteva fare altro che dare il colpo di grazia all'economia italiana, con ripercussioni disastrose anche sul debito pubblico, che non a caso ha raggiunto il record storico del 130 per cento di rapporto con il Pil.
L'ultima mazzata del governo Monti è stata l'inserimento nella Costituzione dell'obbligo del pareggio di bilancio (la procedura era stata già avviata dal governo Berlusconi), sbandierato da tutti i partiti come una grande conquista (Dio mio!), ma che in realtà equivarrebbe - se fosse attuato veramente - alla condanna a morte della nostra economia.
E arriviamo così al novembre del 2012, quando Berlusconi, con 12 mesi di ritardo (veramente troppo) decide di staccare la spina al governo Monti, quello stesso governo che lui ha sostenuto per un anno e che invece non avrebbe dovuto neanche far partire. Il Cav arruola nuovamente la Lega e ridiscende in campo come se nulla fosse, sfidando Bersani (che ha sconfitto Renzi alle primarie), il Movimento Cinque Stelle fondato da Beppe Grillo, nonché Monti, anche lui deciso a "salire" in politica. La partita sembra chiusa, tale è il vantaggio del centrosinistra nei sondaggi, ma si sa che in Italia le campagne elettorali, come le fa Berlusconi, non le fa nessuno. La rimonta del Cav è impetuosa, le solite esibizioni da vero mattatore televisivo, accompagnate dalle incertezze del Pd e di Bersani, convincono ancora una volta molti italiani che è sempre meglio lui dei finti progressisti, i quali il 24 febbraio del 2013, alla chiusura dei seggi, se lo ritrovano di nuovo tra le scatole, con soli 110 mila voti in meno. Bel guaio, perché con il movimento di Grillo che si è accaparrato un quarto dei voti degli elettori, il risultato è l'ingovernabilità totale.

Siamo alla fine di questi 17 mesi che hanno devastato l'Italia. A quasi due mesi dalle elezioni non abbiamo ancora un governo, mentre in questi giorni il Parlamento elegge il nuovo Presidente della Repubblica. Le prospettive sono fosche: per l'incapacità dei partiti di trovare un accordo, per la legge elettorale (e il bicameralismo perfetto) che renderebbe complicata, anche in caso di nuove elezioni, la formazione di una maggioranza solida, per i sacrifici sempre più sanguinosi che l'Europa ci chiede e a cui nessuna forza politica ha il coraggio di ribellarsi, magari prendendo in considerazione la possibilità di abbandonare la moneta unica. Non è un esercizio di catastrofismo affermare che la parte peggiore deve ancora venire.